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  108 Ibidem, p. 145. 109 Ibidem, p. 166-167 110

V. Sîrbu, G. Florea, Imagine Юi Imaginar…, p. 103. ϭϭϭ

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L’analisi stilistica delle scoperte archeologiche in riferimento alla toreutica geto- dacica ed al loro studio iconografico ha fatto nascere una serie di problemi interpretativi, primo fra tutti quello dell’esistenza di officine specializzate, la loro funzionalità, il rapporto tra il committente e la creazione artistica richiesta, e la presenza di artigiani orefici.

Come ben osservava P. Alexandrescu112, il termine „officina” doveva essere accettato almeno dal periodo che comprendeva i secoli IV-III a.C., come una convenzione poiché non disponiamo di sufficienti prove archeologiche al riguardo oppure di firme effettuate dai artigiani su oggetti appartenenti alla toreutica geto dacica.

Tra l’altro nella storia degli studi la mancanza di tale firme ha generato discussioni legate al rapporto tra committenti e gli artigiani specializzati. L’opinione prevalente attribuisce alla committenza dei basileis e della aristrocrazia locale, nel periodo dei secoli IV-III a.C., si parla dell’esistenza di gruppi di artisti itineranti che disponevano di metodi e stili di lavoro diversi e che usavano particolari matrici113 (per esempio per la realizzazione di alcuni cavalieri raffigurati sull’elmo di Agighiol, quello presente sulla paragnatide destra e sul paranuca orientato verso la sinistra, si può sostenere l’ipotesi che si e usata la stessa matrice). La lavorazione dell’argento supponeva la realizzazione della temperatura di fusione tra i 910-916 gradi Celsio e la doratura di queste figure richiedeva la tecnica di riscaldamento della superficie d’argento in presenza del mercurio. Non disponendo ancora oggi di testimonianze archeologiche per impianti di lavorazione stabili e si presume che gli artigiani circolassero da una corte aristocratica all’altra, lavorando a richiesta. Ma la mancanza di firme sugli oggetti dimostra dopo alcuni studiosi il ruolo modesto degli artigiani nella gerarchia sociale: l’accento è meno sul committente si di carattere regale che religioso114. La discussione sarà ripresa nel paragrafo successivo della tesi dedicato all’iconografia del cavaliere.

Di conseguenza, il materiale prezioso di lavoro doveva essere fornito dal committente dell’opera, non essendo di facile distribuzione. Questi oggetti avevano una destinazione precisa, è perciò si è ipotizzato che gli artigiani disponessero di una certa mobilità correlata ad un’attività destinata alla circolazione commerciale.

 

112

P. Alexandrescu, Le groupe de trézor … (I), 1983, p. 51 ed anche la nota 25. 113

Per la discussione si deve prendere in considerazione la matrice proveniente la Garcinovo, Rodica Ursu- Naniu, Limbajul mitic…, 2004, p. 53 e ss.

114

D. Gergova, The Find from Rogozen and one Religious Feast in the Thracian Lands, Klio, 71, 1989, pp. 36-50; I. Mazarov, The Rogozen Treasure, 1989, p. 23-24.

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Al di là di questi aspetti, si e parlato115 dell’esistenza di almeno due officine nel medio traco-getico. Si tratta di quella situata a Letnitza e quella di Agighiol. La prima sembrerebbe specializzata in pezzi di bardatura, invece la seconda presta particolare attenzione agli elmi e agli schinieri. Analizzando stilisticamente le quattro categorie di placchette (rettangolare orizzontali, rettangolari verticali, irregolari e rotonde) lo studioso romeno P. Alexandrescu116 evidenzia che l’officina di Letnitza accentua le forme umane, più di quelle degli animali. Lo stesso ricercatore valuta che all’officina di Agighiol appartengono con certezza gli oggetti come l’elmo di Detroit il calice nr. 1 di Agighiol, il calice del Metropolitan Museum of Arts di New York, gli elmi di Agighiol e Peretu ma anche lo schiniere di Agighiol. La stessa officina sembrerebbe aver prodotto anche il calice nr.2 di Agighiol, la testa votiva femminile di Peretu e il frammento del calice della collezione Severeanu. Gli oggetti di questa officina si distinguono attraverso la predilezione dei motivi geometrici per decorare la superficie, e non per esaltare le forme ed i volumi. Se le raffigurazioni animalistiche, soprattutto gli uccelli sono estremamente suggestive per la forza che trasmettono, le raffigurazioni umane sono invece rappresentate maldestramente.

Oltre a questi centri artigianali, alcuni ricercatori considerano che doveva esistere almeno nel medio nord-balcanico un’officina a Băiceni117 che ha prodotto la maggior parte degli oggetti d’oro di questo tesoro. Nello stesso centro potrebbe essere stato prodotto anche l’elmo d’oro di Poiana-Co܊ofene܈ti. Quanto al rhyton di Poroina, attribuito in una prima fase di ricerca all’arte locale118 oppure all’arte scitica119, si considera oggi finalmente un prodotto realizzato dagli artigiani locali, nonostante i suoi influssi greci oppure iraniani120. Nello stile di questo centro artigianale si può osservare la mancanza di una plasticità delle forme, con una certa tendenza verso „ la decomposizione cubica delle forme”121, osservabile nella raffigurazione della pelle dei cavalli alati o nella forma degli occhi stellati. Si deve però specificare che nel medio sud-balcanico si può oltremodo parlare dell’esistenza di altri due centri artistici: quello situato a Lukovit e quello di

 

115

P. Alexandrescu, Un art thraco-gète?, in Dacia, NS, XVIII, 1974, pp. 273-288; Idem, Le groupe de trézor

… (I), 1983, p. 51 ed anche la nota 25.

116

P. Alexandrescu, Le groupe de trézor … (I), 1983, pp. 52-54. 117

In favoarea acestei ipoteze, P. Alexandrescu, Le groupe de trézor … (I), 1983, p. 54; Rodica Ursu-Naniu,

Limbajul mitic…, 2004, pp. 56-57; contra, I. Marazov, NakolennikЖt ot Vraca, Sofia, 1980, p. 52.

118

Al Odobescu, Tezaurul de la Pietroasa, ed. 1976, p. 496. 119

V. Pârvan, Getica, ed. 1982, p. 18 120

Rodica Ursu-Naniu, Limbajul mitic…, 2004, p. 57. 121

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Borovo, con uno stile fortemente marcato dall’influenza ellenistica122 ma che presenta anche una grande tendenza verso la semplificazione caratteristica soprattutto dell’arte tracia in generale.

Per quanto riguarda l’epoca classica dello regno dace123, i centri di produzione di tali oggetti in bronzo o argento sono abbastanza pochi, ma alcuni sono attestati a Pecica , nel distretto di Arad oppure a Tă܈ad, distretto di Bihor, dove si sono scoperti oggetti finiti o in fase di elaborazione e barrette di argento. Però si deve sottolineare il poco materiale archeologico rinvenuto, legato all’attività di lavorazione del metallo pregiato, specie l’argento, facendo un confronto con il numero degli oggetti scoperti124. Le scoperte archeologiche attestano invece l’esistenza di alcune occupazioni “miste”125 degli artigiani, ed in questo senso esistono centri in cui si fabbricava il ferro insieme al bronzo (Grădi܈tea de Munte, Bucure܈ti-Că܊elu Nou, Socu-Bărbăte܈ti) ma anche cittadelle o insediamenti che testimoniano il mestiere degli orefici, tramite gli strumenti scoperti a Barbo܈i-Gala܊i, Poiana-Gala܊i, Pope܈ti-Giurgiu, Ocni܊a-Vâlcea, Răcătău-Bacău). Il rapporto tra committente e artigiano rimane ancora oggi un problema da approfondire, perche anche se gli storici accettano una certa mobilità degli artigiani orefici, tuttavia le testimonianze archeologiche sembrano indicare il concentramento di tale officine artigianali solo nelle vicinanze delle davae situate negli Monti di Oră܈tie126.