• Non ci sono risultati.

Presidenza del vice presidente ROGNONI

Nel documento S E NA T O D EL L A R EP U B B LI C A (pagine 34-42)

(Segue RUSSO SPENA). Dalla Camera ci giunge un provvedimen-to che ha alle spalle una discussione serrata, risolta a nostro avviso posi-tivamente, su un punto preciso. È stato ritenuto che la formazione pro-fessionale stia fuori dall’obbligo scolastico, resistendo al parere dell’op-posizione di destra che, appunto, tutto voleva subordinato al mercato.

Ritengo giusto, invece, che l’obbligo sia attuato nella scuola pubblica statale in cui ci si riconosce uguali e differenti, in cui è possibile la libe-ra azione di un sapere critico.

Tutto bene allora in questo disegno di legge? No. Qui è il motivo della nostra sofferenza nel voto positivo. Noi crediamo infatti che in maniera un po’ ipocrita l’ordine del giorno presentato dai Presidenti dei Gruppi della maggioranza, escluso il Partito dei Comunisti italiani, ab-bia fatto furbescamente entrare dalla finestra ciò che era stato escluso nel testo letterale e nella interpretazione della legge. Una furbizia che ri-schia di barattare l’innalzamento dell’obbligo con l’introduzione di prin-cipi mercantili di selezione di classe. L’ordine del giorno, infatti, al se-condo punto recita: «impegna il Governo» – e il Governo si è impegna-to accogliendolo – «ad assicurare che nell’assolvimenimpegna-to dell’obbligo sia-no realizzate iniziative sperimentali nei centri di formazione professio-nale accreditati». Si vuole, cioè, iniziare a scardinare il nesso unitario tra educazione, istruzione e formazione, che è dato per lo più dalla pos-sibilità di un egualitario svolgimento concreto dei percorsi della forma-zione culturale di base.

Si introducono in tal modo anche sul piano normativo elementi mercantili di concorrenza, di produttività, suddividendo e articolando gli studenti in ordine alle domande del sistema produttivo e del mercato del lavoro che trasformano la scuola in terreno di divisione di classi e per censo. Le scuole vengono suddivise in scuole di serie A e scuole di serie B; ne deriva che la scuola confindustriale procede essa stessa dalla formazione di base sino alla formazione

professionale, selezionando e costruendo dalla base la futura classe dirigente economica e finanaria.

Noi crediamo che la formazione professionale non debba rientrare nel segmento dell’obbligo perché la selezione di classe, che già oggi è visibile drammaticamente nell’abbandono, nella cosiddetta «mortalità»

scolastica e poi nella disoccupazione, verrebbe anticipata fino a colpire i processi formativi unitari.

A me pare pertanto che, precedendo una discussione molto seria che dovrà svolgersi sul disegno di legge sulla parità scolastica, per il quale ci impegniamo a un confronto molto netto partendo dalla Costitu-zione, male abbiano fatto i Capigruppo della maggioranza, escluso il Presidente del Gruppo dei Comunisti italiani, a introdurre in qualche modo all’interno di un provvedimento quale quello dell’innalzamento dell’obbligo, che, per quanto parziale, ha avuto una discussione comun-que soddisfacente, un principio – che non condividiamo – di tipo mer-cantile e di selezione di classe che andrebbe a rafforzare gli elementi negativi che sono stati già introdotti con le forme previste, e interpretate in maniera assoluta e totalizzante, di «autonomia scolastica».

Per questo, come Rifondazione Comunista voteremo a favore di questo provvedimento, ma segnalando la preoccupazione profonda che ci deriva dal fatto che il Governo abbia accettato un ordine del giorno che riteniamo sbagliato e pericoloso. (Applausi dalla componente Rifon-dazione Comunista-Progressisti del Gruppo Misto).

MANIS. Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANIS. Signor Presidente, vorrei dichiarare in premessa, senza in-dugi, il voto favorevole di Rinnovamento Italiano a questo provvedi-mento; ma questa dichiarazione, addirittura antecedente alle considera-zioni che mi accingerò a svolgere, non vuole assolutamente significare una totale condivisione dei contenuti del provvedimento medesimo.

Allora iniziamo dalle buone ragioni per le quali intendiamo votarlo per passare, poi, ai motivi di forte riserva e, infine, chiudere col voto fa-vorevole, che vuole significare un auspicio di riforma coraggiosa per un versante – quello della scuola – tanto delicato quanto strategico.

Motivi di perplessità. Diciamolo subito: avremmo preferito che questo provvedimento fosse contestualmente presentato insieme alla ri-forma dei cicli scolastici. Avremmo sicuramente evitato la contraddizio-ne di applicare una legge che prevede l’innalzamento dell’obbligo scola-stico solo fino al compimento del quindicesimo anno di età, e non già fino al sedicesimo, e non già – in una frontiera ancora più avanzata – addirittura fino al diciottesimo, come in quasi tutti i paesi in Europa.

Avremmo evitato soprattutto di impantanarci – perché di pantano si trat-ta – nel problema della formazione professionale che ci dividerà sicura-mente analogasicura-mente alla questione della parità scolastica.

Perché ci dividerà la questione della formazione professionale?

Questa, senza scomodare il dettato costituzionale, che pure attribuisce

alle regioni competenza primaria in merito, è comunque una tappa di un complesso processo formativo che serve ad evidenziare le qualità e le capacità critiche del ragazzo, a formarne la personalità, a fornirgli no-zioni e contenuti tali da metterlo in posizione problematica, autonoma e responsabile nel processo lavorativo e quindi in quello di produzione della ricchezza.

Che il sapere abbia un contenuto di unitarietà non lo affermo io.

Non esiste un sapere letterario, un sapere scientifico, un sapere tecnolo-gico, un sapere artistico intesi in senso stretto, fine a se stessi, con bar-riere che impediscano ogni forma di interconnessione: il sapere di per se stesso è unitario e come tale anche la formazione professionale, conce-pita in funzione delle capacità individuali, dei ritmi di apprendimento e quindi anche della capacità di elaborazione di ogni singolo studente fini-sce per essere un fatto altamente formativo e, quindi, indispensabile per lo sviluppo della personalità dello studente.

Ecco perché noi riteniamo ingiusto considerare che la formazione professionale non concorra alla formazione della personalità, non con-corra a quel processo formativo e come tale debba essere esclusa, in quanto circuito di serie B, dalla frequenza e dall’adempimento dell’ob-bligo scolastico.

Dico questo perché tutta la riforma, i cui contenuti noi conosciamo, in fin dei conti è imperniata sulla capacità di trasmettere allo studente sì un contenuto di base forte, che fornisca uno zoccolo culturale tale da potergli garantire un inserimento disinvolto in tutte le situazioni e in tut-ti i processi produttut-tivi, compresi i corsi di studio successivi, qualora in-tendesse proseguire gli studi, ma anche quella flessibilità e quella spen-dibilità in un mercato del lavoro sempre più mutevole, dominato da un altissimo tasso scientifico e tecnologico e, come tale, non in grado di garantire punti fermi, al contrario di quello che caratterizzava le società pre-industriale e post-industriale.

Ora, se è vero che lo spirito di questa riforma trova ragione in un mercato in continua trasformazione, in una flessibilità ed elasticità men-tale da parte dello studente, allora non si comprende perché l’adempi-mento dell’obbligo scolastico non possa essere compiuto anche con la frequenza di un anno a livello di formazione professionale. Così operan-do, infatti, ritardiamo un processo che dovrà pur iniziare, perché non è pensabile che tutti – anche se noi lo auspichiamo – possano proseguire gli studi a livello di curricula ritenuti classici fino al compimento del diciottesimo anno di età. Anzi, in una visione futura riteniamo che l’in-nalzamento dell’obbligo a 18 anni consenta proprio l’opzione rispetto ai corsi tradizionali, se pur rinnovati con la riforma dei cicli, della frequen-za di un corso di formazione professionale. Quest’ultima poi non deve essere considerata come pura manualità, come mero allenamento all’uso di un utensile o, nella migliore delle ipotesi, alla trasmissione di cogni-zioni puramente tecniche, bensì quale preciso curricula formativo, volto all’applicazione diretta della propria versatilità e delle proprie inclina-zioni in un processo produttivo a livello manuale. Cosa diversa, quindi, da quel concetto riduttivo da me precedentemente enunciato.

E che ci sia bisogno di una formazione professionale seria nel no-stro paese non lo diciamo noi, ma gli stessi contenuti del «patto di Na-tale» firmato con i sindacati, laddove si è stabilito di destinare una som-ma impressionante – mi sembra 1.600 miliardi – a tal fine. Quindi, pri-ma di approvare un provvedimento sull’innalzamento dell’obbligo scola-stico, che comunque e lo dirò dopo, costituisce una frontiera di demo-crazia evoluta e compiuta, avremmo gradito che il Governo, e ancor pri-ma il Parlamento, avessero messo pri-mano alla complessa problepri-matica della formazione professionale. Oggi questa è divisa tra due soggetti, entrambi per certi versi «voraci», scoordinati e con idee poco chiare, che non contribuiscono certo al processo di formazione delle classi la-voratrici, dei quadri intermedi e di quelli dirigenti. Il primo è lo Stato, che dispone in proposito di una direzione specifica a livello ministeriale e che dagli intendimenti dimostra di non voler dismettere questa sua competenza, che non gli deriva né da un dettato costituzionale, né da un processo di federalismo, da tutti noi evocato, né da un concetto di auto-nomia, che deve valere anche per gli istituti di formazione professiona-le, né per competenza di area geografica, e quindi di vocazione territo-riale. Esso se ne è appropriato e se ne appropria per una vocazione cen-tralistica volta a tenere fortemente in mano le leve della formazione, non solo quella generale, ma anche quella professionale, in ossequio ad una cultura ministeriale che noi riteniamo definitivamente superata.

L’altro soggetto che detiene la competenza in materia di formazio-ne professionale è costituito dalle regioni, enti che non hanno certamen-te capacità di coordinamento e che finiscono, attraverso le proprie strut-ture strumentali, per creare grandi sacche di sperpero e di clientelismo.

Ecco perché prima di questo provvedimento – riguardo al quale com-prendiamo la motivazione del Ministro, lo apprezziamo per questo e quindi lo invitiamo a proseguire nella direzione intrapresa – avremmo gradito fossero varate la riforma dei cicli scolastici e poi quella della formazione professionale.

Non posso abusare del tempo a mia disposizione, quindi, mi avvio alla conclusione illustrando i motivi per i quali il Gruppo Rinnovamento Italiano e Indipendenti voterà a favore del provvedimento al nostro esa-me. Innanzitutto perché, nonostante gli aspetti contraddittori, disorganici e non omogenei rispetto ad un complessivo processo di riforma, questo provvedimento costituisce un’ulteriore tappa di quel percorso, avviato con coraggio alcuni anni or sono, già dai tempi del Governo Prodi, di riforma complessiva dell’intero sistema scolastico e formativo. È questo uno dei talloni d’Achille del «sistema paese»; è questo uno dei versanti sui quali si misura non soltanto il tasso di democrazia di una collettività, ma anche la stessa efficienza e la stessa capacità produttiva e di compe-titività a livello di mercati. È uno di quei versanti – ripeto – nei quali il

«sistema paese» si deve misurare.

Allora, noi riteniamo che un sistema così complesso non possa es-sere riformato – sarebbe bellissimo – con una legge organica, con un te-sto unico che rimetta ordine in tutti quanti i settori. È quete-sto un proble-ma sul quale vi sono diverse posizioni, vecchie culture, pur varie proble-ma che comunque devono essere superate.

PRESIDENTE. Senatore Manis, le ricordo che i dieci minuti a sua disposizione sono stati superati.

MANIS. Ci sono sospetti e, quindi, si corre il rischio che, per voler ricercare a tutti i costi il meglio, si finisca per danneggiare il bene ed il bene è la riforma della scuola nell’interesse del paese.

Con questo auspicio, chiediamo che gli ordini del giorno approvati e recepiti dal Governo costituiscano un impegno solenne. Noi, per la parte che ci compete, vigileremo affinchè, strada facendo, non si perda-no gli indirizzi generali di fondo e concludiamo affermando che, quando si risolverà definitivamente il problema del sistema pubblico integrato, che si basa su un concetto di parità tra scuola di Stato e scuola cosid-detta privata, avremo raggiunto quei traguardi di democrazia e di mo-dernismo che tutti noi auspichiamo.

Porgiamo, pertanto, i nostri auguri al Ministro e ribadiamo il nostro voto favorevole al provvedimento. (Applausi dal Gruppo Rinnovamento Italiano e Indipendenti e del senatore Bertoni. Congratulazioni).

RONCONI. Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RONCONI. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi senatori, non vi è dubbio che un paese è veramente civile quando garantisce un’educazione, anche scolastica, a tutti i giovani, e, che quando viene ulteriormente innalzato l’obbligo scolastico, è evidente che il livello me-dio di apprendimento culturale subisce un’impennata che condizionerà, in modo assolutamente positivo, tutta la vita e le relazioni dell’intera so-cietà italiana. Non vi è dubbio, quindi, che l’innalzamento dell’obbligo è da considerare, di per sè, fatto assolutamente positivo e, tuttavia, questa grande riforma dovrebbe essere inserita in un sistema formativo idoneo a garantire una reale pluralità di insegnamento e anche un insegnamento differenziato almeno negli ultimi anni, perchè chi sceglie un percorso scolastico più lungo e complesso, che porta alla frequentazione di corsi universitari, necessiterà evidentemente di un apprendimento qualitativa-mente diverso da quei giovani che invece, concluso l’obbligo, entreran-no nel mondo del lavoro.

Invece, in questo disegno di legge appare, con tutta chiarezza, la determinazione ad elevare l’obbligo scolastico, senza però definire l’es-senziale quadro di contorno che dovrebbe accompagnare una legge che comunque modifica, in modo profondo, il modello preesistente. Rimane incomprensibile, per esempio, perchè si faccia coincidere, almeno ini-zialmente, la fine dell’obbligo con i 15 anni e quindi con il prolunga-mento di un solo anno della scuola inferiore. Tutto questo tra l’altro de-terminerà gravi conseguenze nell’organizzazione del ciclo della scuola media superiore, con un evidente appiattimento in basso del livello for-mativo. Non è possibile – voglio dire – imporre una così radicale rifor-ma, senza trasformare in modo credibile tutto il ciclo formativo. È vero che è stata annunciata, tra le altre cose, nella scuola la riforma dei cicli

scolastici e tuttavia siamo ancora in attesa di capire perchè la riforma dei cicli e l’innalzamento dell’obbligo, non più a 15 ma a 16 anni, non debbano procedere in modo contestuale.

Il CCD è assolutamente convinto che la scuola italiana necessiti di una profonda riorganizzazione che riguardi, oltre all’innalzamento dell’obbligo, anche la riorganizzazione dei cicli, l’autonomia scolastica e la parità scolastica. Invece, continuiamo ad assistere ad una riforma anzi ad una tentativo di riforma a macchia di leopardo, ad una serie di inizia-tive non concluse, a progetti e ad enunciazioni che, tutti insieme, rendo-no ancora più caotica e poco credibile la scuola italiana.

Oggi, con questo innalzamento dell’obbligo a metà, si rende ancora più difficile, ed in alcuni casi assolutamente inutile, l’ultimo anno, an-che perché questo sarà inserito in una scuola ancora non riformata nei suoi cicli, oltre a creare scompiglio rispetto ai corsi di formazione pro-fessionale, in particolare in quelli non statali. Non è pensabile un innal-zamento dell’obbligo senza interrogarsi seriamente su cosa il mondo della produzione, la società, richiedono ai giovani, ma soprattutto non sarà più possibile pensare ad un positivo inserimento dei nostri giovani se la loro preparazione, anche professionale, non sarà in linea con quella dei giovani degli altri paesi europei.

A me pare, invece, che questo disegno di legge risponda più a do-mande d’ordine politico, alla necessità che questa maggioranza ha di ap-parire propositiva e innovativa rispetto al mondo della scuola, che non alla volontà di rendere la scuola italiana realmente strumento di forma-zione moderna.

Abbiamo chiesto, in più occasioni, un disegno di legge che si po-tesse coniugare con assoluta contestualità alla riforma dei cicli, alla defi-nizione di una credibile e reale autonomia, che non sia in contraddizione con la parità scolastica, rispetto alla quale non siamo disposti a transige-re. Invece, continua la politica della toppa e si sa che, con una toppa qua ed una là, il vestito certo non si rinnova, ma si corre invece il ri-schio di una definitiva e grave lacerazione.

Per tali motivi, il voto del CCD sarà negativo. (Applausi dal Grup-po Centro Cristiano Democratico e del senatore Asciutti).

CORTIANA. Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORTIANA. Signor Presidente, i Verdi esprimeranno un voto fa-vorevole. Pur riconoscendo la parzialità del provvedimento in esame, che comporta l’innalzamento di un anno dell’obbligo di istruzione, e la sua contradditorietà, ne sottolineiamo il valore simbolico straordinario, che si basa su due elementi.

Innanzitutto, infatti, esso elimina finalmente e concretamente una reale inerzia istituzionale e legislativa sull’innalzamento. In secondo luo-go, questo disegno di legge è riuscito ad arrivare in porto senza condi-zionamenti – lo dico in modo molto esplicito – legati ad altre leggi in discussione, anche molto importanti, come quella sulla parità, ma che

hanno una loro dimensione, una loro importanza, una loro autonomia e non hanno a che vedere con questo provvedimento in termini di condi-zionamento; forse potranno avervi a che vedere in termini di prospettive future, ma la cosa importante, espressione di maturità di questa maggio-ranza, è – ripeto – che essa porta finalmente in porto questo provvedi-mento, fuori da altri condizionamenti.

Reputo questo un segno molto importante, anche per discutere, con serenità e fuori da pregiudizi ideologici, i provvedimenti che ci aspetta-no in Commissione.

NAVA. Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NAVA. Signor Presidente, signora Sottosegretario, onorevoli colle-ghi, l’elevamento dell’obbligo scolastico spero possa aggiungere una ri-sorsa non marginale ed una condizione utile alla trasformazione della scuola italiana, della sua cultura, della sua prospettiva pedagogica ed an-che della sua funzione civile.

Certamente la conferma del testo ha evitato l’introduzione di novità che ne avrebbero potuto convenientemente modificare, in alcuni punti nodali, l’articolazione dei significati e degli orientamenti, perché è stata prevalentemente condivisa la preoccupazione che il prolungarsi dell’iter avrebbe potuto impantanare il processo di riforma in una problematicità interminabile e irrisolubile, con l’oscillazione del giudizio, in modo con-fuso, dal riferimento metodologico a quello strategico, dal ritmo crono-logico dell’attuazione espansiva dell’obbligo, alla logica dell’impianto complessivo dell’ordinamento scolastico.

L’attenzione critica si può ora concentrare, all’interno della plura-lità delle ipotesi costruttive, sulla riforma, lasciando a questo testo un ri-lievo applicativo subordinato al respiro strategico generale, il cui oriz-zonte e le cui connessioni sono ancora da ridefinire e da regolare. E nel-la ridefinizione è decisiva nel-la stessa indicazione di obbligo, che non può riguardare solo l’ambito dell’istruzione, a cui circoscrive l’incidenza normativa la stessa intitolazione del disegno di legge, ma deve coinvol-gere, in modo diretto e imprescindibile, il luogo della formazione e le dimensioni stesse del lavoro; luogo e dimensioni che sono stati esclusi, purtroppo, dalla storia reale della scuola italiana e dei processi di matu-razione della personalità umana nel suo divenire di soggetto responsabi-le e libero dentro responsabi-le dinamiche tormentate e compresponsabi-lesse della condizione sociale ed economica del paese, dell’Europa e del mondo.

L’ordine del giorno, a firma dei senatori Salvi, Elia, Napoli Rober-to ed altri apre, con qualche timidezza, una prospettiva risolutiva e ria-nima e motiva una disponibilità dialogica più ampia e più attenta a veri-ficare e a perfezionare l’intero assetto giuridico-istituzionale del sistema

«cultura-educazione-società-famiglia-persona», introducendo due condi-zioni essenziali: la libertà e il lavoro, senza le quali si altera la stessa si-stematica costituzionale e si corrompe l’evoluzione della cittadinanza, costituita entro l’assetto vitale famiglia-scuola-lavoro.

Si affacciano, infatti, pur tra inevitabili occasioni di confusione, di parzialità e di diffidenza, talvolta di inutili ostilità, orientamenti all’inte-grazione dei soggetti e dei campi dell’educazione; si profilano linee di

Si affacciano, infatti, pur tra inevitabili occasioni di confusione, di parzialità e di diffidenza, talvolta di inutili ostilità, orientamenti all’inte-grazione dei soggetti e dei campi dell’educazione; si profilano linee di

Nel documento S E NA T O D EL L A R EP U B B LI C A (pagine 34-42)

Documenti correlati