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3.3 L A PRESUNZIONE DI NON COLPEVOLEZZA

internazionali, la Costituzione e il Codice di procedura penale.

3.3 L A PRESUNZIONE DI NON COLPEVOLEZZA

l’art. 27 della Costituzione identifica taluni caratteri della tutela e della repressione penale che conferiscono all’intero sistema la propria peculiarità.

Si tratta di principi che trovano il proprio substrato nel pensiero filosofico dei centocinquantanni che hanno preceduto la Costituzione e in quello dei principali criminalisti europei. In tal senso il costituente si è limitato a raccogliere quanto apparteneva ad un bagaglio culturale che, sia pure nella diversità delle sfumature, possiamo ritenere condiviso. Il problema della funzione della pena, dell’inutilità della tortura e della pena di morte, la posizione dell’imputato e la presunzione di innocenza, con tutte le conseguenza in ordine alla funzione del giudice e delle prove nel processo penale vennero restituiti ad un fulgore che era, in fondo, già loro prima dell’avvento del fascismo e delle oscurità legate a quella ideologia totalitaria.

Non è davvero discutibile che la facoltà di non rispondere riconosciuta al soggetto interrogato è direttamente proporzionale, in una relazione per di più reciproca, con la presunzione di non colpevolezza, come contemplata dall’articolo 27, comma 2. Da essa discende, infatti, che lo Stato assume interamente su di sé l’onere di ricercare e conseguire quegli elementi conoscitivi che sono funzionali alla dichiarazione di responsabilità penale e che legittimano il ricorso alla massima delle sanzioni: la pena limitativa della libertà personale. In nessun caso, ove tale compito non abbia prodotto apprezzabili risultati, sarà per l’ordinamento possibile ricavare elementi funzionali alla decisione dal

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in questi termini V.PATANE’, Il diritto al silenzio dell’imputato, Torino, 2006, p.81 e ss.

51 comportamento di quel prevenuto che abbia deciso di tacere o addirittura di mentire. Egli, come chiunque altro sottoposto a giudizio penale, è presunto non colpevole, e come tale continua a dover esser trattato sino al conseguimento della prova della sua responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio ( secondo il disposto dell’art. 533 comma 1 c.p.p. che ha recepito, dal 2006 nel nostro ordinamento la c.d. formula

BARD – beyond any resonnable doubt ).

Due sono gli aspetti che la dottrina ha ricavato da questo principio: da una parte esso è stato concepito come canone informatore della condizione da riservare all’imputato durante il processo - diversamente noto come regola di trattamento - dall’altra parte, come parametro su cui modellare le regole probatorie e di giudizio - altrimenti detto regola di giudizio.

Per ciò che attiene il primo aspetto, la regola di trattamento fissa il divieto a carico del giudice di assimilazione dell’imputato al colpevole. Per quanto attiene invece al secondo, esso implica il fatto che l’imputazione non assurga a valore logico maggiore di quello di tesi di mera accusa e cioè di assunto di parte, e di conseguenza che, nei casi dubbi, il giudice debba orientarsi sulla non colpevolezza. Effetto inequivocabile di tale affermazione è che l’onere di provare la sussistenza degli elementi costitutivi di un reato incombe sull’accusa: tale principio deve essere provato dall’inizio alla fine dell’intero procedimento penale. La presunzione di non colpevolezza rappresenta l’ulteriore coordinata all’interno della quale va inquadrato lo statuto di tutela dello ius tacendi nel processo penale.

Nel sistema attuale il principio contemplato dall’articolo 27, comma 2, rappresenta la garanzia nella quale trovano la loro matrice logica, e,

52 prima ancora, ideologica, tutti i diritti e tutte le garanzie che, nel quadro costituzionale, sono riferibili all’imputato56.

E’ proprio la presunzione di innocenza, nella sua duplice dimensione di regola di trattamento di giudizio, a conferire ad entrambi i versanti dell’autodifesa una più chiara dimensione operativa, attraverso l’individuazione di un contenuto non tanto minimo quanto necessario: la legittima pretesa che sia l’accusa a provare tutti gli elementi della fattispecie esclude le sussistenza, sotto qualsiasi forma, di un onere di difesa. L’imputato ha la più ampia libertà di scegliere se svolgere o no attività probatoria, se controdedurre per confutare le accuse o limitarsi alla negativa: può decidere se portare avanti una linea difensiva attiva, oppure avvalersi dello ius tacendi57. L’obbiettivo che l’accusatore deve perseguire non è più la confessione, ma la “ prova oggettiva di reità, una prova che valga a vincere, nell’ordine, la presunzione di non colpevolezza e l’incertezza, se e quando questa si manifesti”58. D’altra parte, la ricostruzione fattuale operata in giudizio ha ruotato per secoli attorno all’imprescindibile esigenza di ottenere il contributo conoscitivo dell’inquisito, sul presupposto , distorto proprio dalla scarsa considerazione di cui godeva la presunzione di innocenza, che la confessione “ apparisce come una testimonianza di se medesimo e per conseguenza merita fede, perché l’imputato si riposta alla sua

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in tal senso C.GREVI, Garanzie individuali ed esigenze di difesa sociale nel processo penale, 1997, in ID., Alla ricerca di un processo penale “giusto”,p.7.

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G.ILLUMINATI, La presunzione di innocenza dell’imputato , Bologna, 1979, p.191.

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A.GAITO, Onere della prova e processo penale. Prospettive di indagine, in G.P. 1975, III, c.522.

53 propria percezione e dee percio stesso conoscere meglio di chiunque lo stato dei fatti”59.

La portata percettiva dell’articolo 27, comma 2 impone di guardare all’imputato come alla persona meno informata dei fatti a lui ascritti , escludendo che costui possa, direttamente o indirettamente, essere costretto a collaborare e a fornire prove contra se, del pari, contribuisce a fondare la ragione giustificativa dell’assenza di un dovere di rispondere e dell’assoluta insindacabilità delle scelte autodifensive. L’imputato non deve essere considerato come depositario di una verità da carpire ad ogni costo, ma come soggetto che interviene nell’accertamento per libera scelta e nel proprio interesse difensivo, non potendo pretendere da tale soggetto un apporto conoscitivo in ordine ai fatti e circostanze che si debbono ritenere da lui non conosciuti, in quanto presunto innocente.60In questo modo ogni comportamento posto in essere dal soggetto inquisito che sia caratterizzato dalla non collaborazione in ordine all’accertamento fattuale contra se, non potrà essere considerato come elemento probatorio a suo carico, ma semplice espressione del suo diritto di difesa, una risposa passiva ai tentativi probatori dell’accusa61.