piano epistemologico, esattamente come su quello antropologico, l’errore è un fatto ineludibile, anzi spesso auspicabile, dato che solamente esso può essere riconosciuto con certezza e può divenire un punto fermo della ricerca. All’opposto, la verità è sempre avvolta da un velo di mistero ed incertezza, che non ci permette di progredire sul piano conoscitivo grazie a punti fissi ma per mezzo di quelli instabili. Abbiamo già più volte messo in evidenza la categoria della probabilità come unica base affidabile nella ricerca della conoscenza. Ciò può apparire alquanto strano, dato che la probabilità è, per sua stessa natura, qualcosa di incerto, il cui grado di affidabilità può variare fino ad essere anche molto elevato ma mai totale. Pertanto, l’unica cosa sensata da fare nella costruzione del nostro personale processo conoscitivo è quella di rendere tale grado di probabilità sempre più elevato, tenendo sempre ben presente che, comunque, «la probabilità più grande non significa ancora verità stabilita»235. Molte considerazioni circa ciò, anche se spesso implicitamente, sono già state fatte. Non è nostra intenzione proporle nuovamente, dato che rischieremmo di realizzare un riassunto di quanto già scritto;
comunque, per farci un’idea, pensiamo alle stesse definizioni di errore che abbiamo elaborato, al suggerimento di creare categorie relative agli errori passati ed identificati, nonché alle riflessioni svolte sui limiti e i pregi dei processi induttivo e deduttivo. Tutte queste considerazioni, unitamente a quelle non ricordate, fanno sì che il nostro procedere
234 R. DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, op. cit., pp. 72.
235 E. MACH, Conoscenza ed errore. Abbozzi per una psicologia della ricerca (trad. dal tedesco), Einaudi, Torino, 1982, p. 122.
sulla via della ricerca risulti il meno incerto possibile, prevenendo quegli errori che conosciamo perché abbiamo già commesso.
Il processo conoscitivo, però, è sempre aperto a nuovi quesiti, in quanto, solamente in casi rarissimi, presenta caratteristiche identiche a quelle che determinavano un precedente percorso di ricerca. Ogni giudizio si propone di esprimere la descrizione di una situazione sulla base della relazione fra più variabili. Se già è difficile comprendere le ragioni di ciò che è stato, diviene ancora più complicato interpretare ciò che è e prevedere ciò che sarà. Il futuro, infatti, è la risultante di ciò che è stato unitamente a ciò che è.
Il passato rappresenta per il ricercatore, speso in modo ingannevole, una sicurezza.
Esso, essendo già stato ed ormai immodificabile, appare come portatore di certezze, ma una situazione non è determinata solamente dalle caratteristiche che la contraddistinguono, bensì anche dalle condizioni che hanno condotto a quelle. Facciamo un esempio, forse generico ma dimostrativo delle enormi differenze di condizioni che possono condurre ad uno stesso risultato. In due distinte nazioni è in vigore la pena di morte. Nella prima nazione questa è stata approvata tramite una regolare votazione all’interno di un governo democratico. Nella seconda questa è stata imposta da un regime militare che ha effettuato un colpo di stato, con il fine di reprimere qualsiasi movimento contrario al nuovo potere. È chiaro, prescindendo da qualsiasi giudizio morale sulla pena di morte, che lo stesso risultato si riferisce a contesti assolutamente differenti, tanto che nel primo caso la sanzione capitale si propone come difesa della libertà dei cittadini, dato che si presenta come deterrente nei confronti del crimine, mentre nel secondo caso si propone di togliere la libertà di pensiero, parola ed azione. Ecco che uno stesso risultato è espressione di situazioni completamente differenti, per nulla accomunabili. È evidente, a questo punto, che il passato non deve essere preso in considerazione in maniera superficiale, ma si rende necessaria una sua approfondita analisi, capace di considerare anche le ragioni che hanno condotto ad una determinata situazione.
Il presente, invece, è la dimensione in cui il ricercatore si trova perennemente inserito ed è l’unica che può effettivamente governare, anche se entro certi limiti. Egli, infatti, può impostare a proprio piacere alcuni parametri della ricerca, quelli che solitamente vengono definiti come variabili indipendenti, allo di scopo potere osservare con maggiore chiarezza altre caratteristiche dell’evento in questione. Naturalmente alcuni parametri sono indipendenti anche dalla volontà dello stesso ricercatore e non è nemmeno detto che ne possa avere piena conoscenza. Il presente, pertanto, è una dimensione in parte data ed in parte costruita dal singolo individuo.
Il futuro, infine, è una realtà che ci costruiamo, ma senza alcuna certezza, sia perchè non dipende esclusivamente dalla nostra volontà ed azione sia perché non possiamo avere la certezza che quanto stiamo progettando darà i frutti sperati.
Quest’ultima condizione, ancora una volta, dipende dal fatto che non conosciamo con certezza né tutti i dati che compongono la situazione né le relazioni che li connettono.
Pertanto, ciò che possiamo concretamente fare è adoperarci al fine di ottenere la più alta probabilità di conoscenza e progettazione del futuro, pur sempre consci delle molte
«inferenze erronee che vengono tratte in problemi che attivano molte conoscenze e credenze»236.
Un modo alquanto utile per aumentare tale probabilità è quello di prevedere le conseguenze dell’errore. Questa scelta d’azione è dettata dal fatto che prevedere l’errore è molto complicato; infatti, se fosse semplice verrebbe sempre evitato, nessuno desidererebbe commetterlo, nonostante le implicazioni positive con esso connesse.
Inoltre, prevedere un errore relativo ad una situazione sconosciuta, o che ci è poco abituale, risulta veramente arduo. Se è vero che già processi noti conservano spazi incogniti, ancora di più processi che presentano un alto numero di variabili ignote sono caratterizzati da relazioni e legami difficili da comprendere a priori. Pertanto, è quasi utopico individuare possibili errori, ragionando sul procedimento stesso che li può generare, dato che lo stesso procedimento da seguire ci è ignoto, può essere solo ipotizzato, ma con un alto tasso di indeterminatezza ed incertezza. Un’utile strategia per far fronte a questa difficoltà consiste proprio nell’immaginare le conseguenze negative che possono sorgere da una situazione, per risalire alle cause che possono generarle, così da capire quale sia la via migliore da seguire. Questa metodologia non conduce a risultati certi ma favorisce l’analisi di contesti poco noti. La relatività del metodo d’analisi che stiamo prospettando è accentuata dal necessario e primario ruolo che viene attribuito all’intuizione.
Il processo di previsione delle conseguenze dell’errore, ancora una volta, richiede l’intervento sia dell’intuizione sia della ragione. Esso si presenta come analisi prospettica e retrospettiva. Alla prima è collegata la deduzione e alla seconda l’induzione, ma secondo un procedimento inverso a quello classico. In questo caso, infatti, il ragionamento parte non dall’intuizione delle leggi ma delle conseguenze, che richiederà, in seguito, la scoperta e la verifica delle loro cause scatenanti. Il primo passaggio da effettuare, pertanto, è intuitivo, ma non dei principii generali, bensì dalle determinazioni particolari, dalle quali
236 V. GIROTTO, Il ragionamento, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 146.
potremo tentare di risalire, ora sì, ai principii generali. Il secondo passaggio consisterà, proprio grazie all’utilizzo della ragione e delle sue regole, alla verifica della connessione fra il particolare intuito e una possibile sua causa, generando così un procedimento induttivo che, all’opposto di quanto siamo abituati a considerare, va dall’universale al particolare, dato che ha come dati di partenza le possibili tipologie di relazione fra le variabili e come punto d’arrivo la corrispondenza di una di queste con una conseguenza data. Quanto espresso in queste poche righe può apparire forse un po’ complicato e confuso, ma tale fatto deriva unicamente dalla malsana abitudine di considerare la nostra usuale logica come l’unica valida e, pertanto, di non abituarci a sperimentarne altre che, in realtà, non hanno validi motivi per non essere prese in considerazione.
La previsione delle conseguenze dell’errore richiede, a livello epistemologico, un netto ribaltamento di quanto precedentemente esposto nel lavoro, ma questo non crea problemi di alcun genere. All’opposto, questo cambio d’impostazione s’impone proprio come strategia atta a sondare in profondità quegli spazi di riflessione affrontati solo in modo tangenziale dalla metodologia di riflessione che più ci è familiare.
Il nuovo metodo d’analisi richiede, come primo strumento di lavoro, l’intuizione che, in questo specifico caso, dato che non si riferisce al momento temporale primo ma all’ultimo, è forse meglio definire immaginazione. Questa può essere identificata come l’abilità di creare nella propria mente un’immagine della situazione che si presenterà;
questa immagine, però, non coincide semplicemente con la fotografia virtuale delle caratteristiche che contraddistinguono un avvenimento, ma deve comprendere anche le relazioni che esso ha instaurato con l’ambiente e gli elementi in esso contenuti. Pertanto, possiamo dire che le immagini create «dovrebbero essere più simili a delle “disposizioni mentali” che a delle “raffigurazioni mentali” e che esse dovrebbero rappresentare la struttura di un ambiente tridimensionale»237. Porci in quest’ottica ci consente di creare, fin dalle fasi iniziali dell’attività di ricerca, una visione panoramica dell’intera situazione.
Questo fatto non risulta affatto superfluo; all’opposto, si deve sottolineare che «le rappresentazioni di tipo figurale si rivelano particolarmente utili prevalentemente nelle fasi iniziali del ragionamento, ossia nelle fasi in cui: occorre tenere in considerazione l’intera situazione (…); si tratta di cogliere la struttura essenziale, trascurando i particolari inutili o fuorvianti; è più proficuo esplorare contemporaneamente, attraverso strategie di tipo parallelo, varie direzioni di ricerca (…); è bene evitare di fissarsi sulle funzioni e sulle
237 C. CORNOLDI, Memoria e immaginazione, Casa Editrice Pàtron, Bologna, 1976, pp. 251-252.
relazioni date, ma (…) prospettare trasformazioni e ricombinazioni anche inusuali»238. È evidente, però, che un simile modo di iniziare pone, come minimo, una questione in rilievo.
Una ricerca svolta secondo la metodologia classica parte dai dati offerti dalla percezione, i quali, se possono comunque essere ingannevoli e non esaustivi, si presentano comunque sempre come chiari e precisi. Invece, le immagini elaborate dalla mente non hanno confini ben accurati, dato che, allo stesso modo in cui sono state create con determinate caratteristiche, possono essere modificate ed assumerne di nuovi.
Insomma, «i percetti – tranne alcune eccezioni (vedi il caso della percezione di figure ambigue) – sono stabili in quanto riflettono la realtà circostante: essi tendono a permanere finché permane lo stimolo esterno, mentre le immagini mentali sono instabili, tendono a decadere rapidamente a meno che non vengano rigenerate continuamente»239. Ne deriva il pericolo che risultino poco chiari e stabili i presupposti del ragionamento. Al ricercatore, pertanto, è richiesta l’abilità di creare distinzioni chiare fra le possibilità intuite; tale operazione è agevolata dall’applicazione sistematica di criteri che favoriscano la classificazione delle opzioni secondo la presenza o meno di caratteristiche comuni.
Questo, inoltre, rende più facile il confronto fra situazioni differenti e la conseguente comprensione delle possibili cause di un evento.
A questo punto, è utile effettuare una chiarificazione. Finora abbiamo usato, e continueremo a farlo, il termine immaginazione, mai fantasia. Tale scelta deriva dal fatto che queste due attività della mente non coincidono, anzi differiscono chiaramente, benché la seconda presupponga la prima e non viceversa. Questa differenza è amplificata dal fatto che «nel lessico delle lingue neolatine vige infatti una relativa concordia:
immaginazione è la ritenzione dell’assente, fantasia la sua rielaborazione»240. L’immaginazione, di conseguenza, richiama alla mente qualcosa di cui si è già fatta esperienza, riprende in considerazione un dato concreto con il quale siamo già stati in contatto: non si può immaginare un oggetto di cui non abbiamo coscienza. L’esperienza dell’oggetto può essere di vario genere. Infatti, per immaginare una spiaggia tropicale non dobbiamo essere andati per forza in vacanza alle Maldive, basta averne visto alcune fotografie. Addirittura, possiamo immaginare l’emozione di gioia vissuta da una persona il giorno delle nozze senza esserci mai sposati, grazie al suo racconto e al fatto di essere stati, almeno una volta nella vita, felici. La fantasia, invece, partendo dai dati offerti
238 A. ANTONIETTI, Stimolare la scoperta cognitiva attraverso la visualizzazione mentale, in S. DI NUOVO, Mente e immaginazione. La progettualità creativa in educazione e terapia, Franco Angeli, Milano, 1999, pp. 176-177.
239 A.M. BRADIMONTE, Memoria, immagini, rappresentazioni, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1997, pp. 51-52.
240 M. FERRARIS, L’immaginazione, Il Mulino, Bologna, 1996, p. 7.
dall’immaginazione li elabora secondo schemi che possono condurre a qualcosa di irreale, di cui, pertanto, non possiamo aver fatto alcuna esperienza. Pensiamo alla chimera, animale mitologico con testa di leone, una testa di capra sul dorso e al posto della coda un serpente. È così che si giunge alla costruzione di interi mondi fantastici sempre più complessi ed irreali. Tutt’al più, una volta elaborata una fantasia, quale quella della chimera, essa si trasformerà in prodotto dell’immaginazione ogni qual volta la nostra mente si accosterà ad essa, ma solo per il fatto che di essa abbiamo già elaborato la fantasia. Quello che ci interessa, però, è il processo generativo e non serve sottolineare che nessuna persona senza alcuna nozione di mitologia greca nell’udire il termine chimera penserà a qualcosa di simile a quanto descritto. Al fine della nostra ricerca, ciò di cui dobbiamo occuparci è l’immaginazione, dato che il nostro oggetto di studio sarà sempre qualcosa di reale. Sconfinare nel mondo della fantasia ci potrebbe condurre a ragionare su qualcosa che non ha senso d’essere né, tanto meno, d’essere indagato ai fini conoscitivi.
Con ciò non vogliamo screditare la fantasia, la quale riveste un ruolo importantissimo nella vita di ogni individuo e può essere uno speciale strumento ludico d’apprendimento, basti pensare agli insegnamenti morali celati più o meno attentamente nelle favole per bambini.
Quello che vogliamo sottolineare è cosa sia e quale sia il ruolo dell’immaginazione, strumento a noi utile in questo contesto, per non confonderla con la fantasia, la quale ci condurrebbe ad errori facilmente evitabili.
Una volta immaginate le conseguenze negative di un errore ed ottenuta una visione panoramica, pertanto non dettagliata, della situazione, il ricercatore deve elaborare uno schema a ritroso che permetta di risalire all’errore stesso. L’immagine possiede anche una funzione simbolica, visto che nasce da una percezione concreta ma può rappresentare una moltitudine di situazioni e significati con essa connessi; per questo possiamo mettere in risalto come «l’immaginazione sia essenziale per rappresentare la realtà in termini simbolici: essa forma infatti la base degli schemi mentali su cui si fonda l’intero processo di costruzione della conoscenza, dalle forme più semplici a quelle più complesse di simbolizzazione»241. Gli schemi dovrebbero essere in grado di sondare il numero più elevato possibile di opportunità che conducono ad uno stesso errore, tenendo in considerazione anche le opzioni più remote. Tale obiettivo, però, non può essere raggiunto casualmente. Il cammino a ritroso che il ricercatore compie deve prevedere regole d’azione che facilitino tale compito e diano un minimo di sistematicità alla ricerca.
Insomma, riprendendo un concetto tipico della teoria dei giochi, possiamo affermare
l’utilità di elaborare una strategia di ricerca, dove «il termine “strategia” sta ad indicare un piano d’azione globale. Non importa se il piano sia buono o cattivo, se conduca alla vittoria o alla sconfitta, ciò che conta è che sia completo. (…) S’intende che il piano deve prendere in considerazione tutti i possibili piani d’azione (…), deve cioè analizzare tutti i casi per poter prevedere i risultati»242. Nessuna strategia, purtroppo, può garantire la visualizzazione di tutte le vie percorribili; quello che conta, in realtà, è ottenere un procedimento che, perfezionandosi man mano, garantisca un livello d’analisi sempre più elevato, nella coscienza che nuove tipologie di problemi possono essere sempre in agguato e, in riferimento a quanto detto su immaginazione e fantasia, quasi impossibili da prevedere.
L’obiettivo degli schemi mentali è fondamentalmente utopico ma perfettibile: utopico perché deve considerare anche circostanze assolutamente indipendenti dal ricercatore e, pertanto, da lui difficilmente prevedibili; perfettibile perché l’esperienza permette, ad ogni successivo tentativo, di avere una maggiore quantità di informazioni per rendere sempre più valido ed estendibile lo schema. Ciò detto, è chiaro che l’atteggiamento del ricercatore deve essere quello di chi «non può trascurare nessuna circostanza accessoria che intervenga senza la sua intenzione, perciò deve prendere in considerazione tutte le fonti d’errore»243. La costruzione di uno schema d’azione deve divenire una modalità d’azione abituale, se lo reputiamo come lo strumento più affidabile d’analisi. Questa abitudine non va confusa con la proposta continua, seppure in ambiti diversi, dello stesso schema. Ogni qual volta ci troviamo dinnanzi ad una nuova questione, dobbiamo elaborare uno schema ad essa appropriato, il quale può sfruttare le indicazioni offerte da precedenti schematizzazioni, ma da esse si deve differenziare per, almeno, alcuni particolari. Infatti,
«lo schema è un prodotto della immaginazione produttiva (…): l’immagine è un dato, lo schema è un costrutto aniconico (una traccia)»244 e, sulla base di quanto detto antecedentemente, vale a dire che le immagini sono instabili, esso molto difficilmente potrà presentare lo stesso disegno che ne caratterizzava uno precedente. La tentazione di far uso di schemi che hanno già dato cospicui frutti è certamente sempre forte, ma quando questa tendenza si trasforma in abitudine non meditata ci porta, inevitabilmente, al rischio
241 S. DI NUOVO, Stimolare la scoperta cognitiva attraverso la visualizzazione mentale, in ID., Mente e immaginazione. La progettualità creativa in educazione e terapia, Franco Angeli, Milano, 1999, p. 24.
242 K. FILINIS, Teoria dei giochi e strategia politica (trad. dall’inglese), Editori Riuniti, Roma, 1971, pp. 19-20.
243 E. MACH, Conoscenza ed errore. Abbozzi per una psicologia della ricerca, op. cit., p. 122.
244 M. FERRARIS, L’immaginazione, op. cit., p. 117.
di dare «moltissime cose per scontate e questo talvolta può farci cadere in errore»245. L’errore diviene, in questo frangente, la connessione errata fra una conseguenza negativa e la causa che l’ha generata o, per meglio dire, che non l’ha generata.
Molte volte una conseguenza può essere il frutto di diversi errori consecutivi, ognuno dei quali ha amplificato e aggravato la situazione che passo dopo passo si stava creando. Spetta al ricercatore determinare quanto a ritroso voglia andare e a che punto della catena decida di fermarsi. Ovviamente, più indietro si desidera andare più il processo si rende complicato. Specialmente in questi casi il passaggio dalla conseguenza finale ad un errore che ne prevede molti successivi è molto azzardato e difficile da compiere.
Pertanto, è sempre utile proporsi di procedere con calma, analizzando ogni singolo passaggio, senza compiere voli pindarici altamente rischiosi.
Affrontare una tappa per volta ci permette, inoltre, di comprendere in modo più accurato le dinamiche esistenti fra le variabili in interazione, riuscendo a render il viaggio a ritroso, che più si allontana dall’origine più diviene ricco di insidie, sempre meno rischioso.
Fare ricerca significa comprendere che «tutti gli obiettivi intermedi costituiscono tappe di viaggio nella ricerca di qualcosa di più profondo e basilare»246. Essi non sono semplici
“mezze verità” o traguardi di poco valore; all’opposto, sono passaggi necessari ed ognuno rappresenta una grande conquista. La visualizzazione di uno schema rende molto più semplice la considerazione di errori molteplici che, interagendo fra di loro, generano una medesima conseguenza. Diviene, pertanto, strumento utile alla mente che non riesce a prendere in considerazione più di un ristretto numero di soluzioni differenti nello stesso istante, per cui ne effettua una selezione grazie all’intuizione di quelle che ritiene essere più probabili. Lo stesso discorso lo possiamo effettuare se, ancora una volta, ci rifacciamo alla teoria dei giochi e, in particolare al gioco degli scacchi.
Tale gioco, che presenta un elevato grado di difficoltà ed una possibilità di situazioni elevatissima, è determinato dalla volontà dei contendenti la quale, a sua volta, dipende in gran parte da ben precise regole che vincolano i medesimi. Nonostante i migliori giocatori al mondo sviluppino un’eccezionale capacità nel ragionamento retrospettivo, «il numero delle combinazioni possibili è in realtà così elevato che il giocatore non può prendere in considerazione e valutare tutte le possibili mosse ed è infine costretto a esaminare soltanto quelle che per intuito o in base alla conoscenza delle regole del “gioco corretto” gli
245 H. ALDER, Idee brillanti e soluzioni efficaci. Come sfruttare il potenziale della mente per ottenere il successo personale e professionale (trad. dall’inglese), Franco Angeli, Milano, Milano, 1996, p. 64.
246 Ibidem, p. 78.