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L A PREVISIONE DI UN ’ UNICA PROCEDURA PER INSOLVENZE CIVILI E COMMERCIALI E IL RUOLO DEL GIUDICE

V. GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO E LE SOLUZIONI DELLA CRISI DI IMPRESA

1. I L D ECRETO L EGGE 22 DICEMBRE 2011, N 212: LA COMPOSIZIONE DELLE CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO

1.2 L A PREVISIONE DI UN ’ UNICA PROCEDURA PER INSOLVENZE CIVILI E COMMERCIALI E IL RUOLO DEL GIUDICE

Una importante perplessità è suscitata dalla scelta di fornire eguale tutela rispetto all’insolvenza civile e rispetto all’insolvenza della piccola impresa.

Questa assimilazione, già insinuata nella prima versione dell’art. 182-bis l. fall. (dove si discorreva di “debitore” e non – come a seguito del decreto correttivo – di “imprenditore in crisi”) e sostenuta in via interpretativa in tema di esdebitazione (essendosi da alcuni proposto di interpretare analogicamente le regole sulla esdebitazione del fallito per farne applicazione anche al debitore civile) affonda le sue radici nella storia. E’ facile rammentare il dibattito che a fine Ottocento si accese sulla estensione della disciplina del fallimento al debitore civile275. La proposta si alimentava dalla fiducia sulla vocazione espansiva del diritto commerciale, secondo un moto d’opinione che premeva per la unificazione del diritto privato. E tuttavia, nonostante il generale clima culturale, quella proposta non convinse il legislatore, che pure realizzò per il resto l’epocale “commercializzazione del diritto privato” nel codice civile in vigore: il fallimento e le altre procedure concorsuali furono rielaborate e contenute in una legge speciale dedicata all’insolvenza dell’impresa (cfr. art. 1 l. fall. versione 1942).

274 P. LUISO, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 2004, 1201.

275 E che culminò nel saggio di C. VIVANTE in cui si difende il fallimento civile, poi inserito in appendice nel Trattato

La riforma fallimentare ha confermato la differenza di trattamento legale tra insolvenza civile e insolvenza commerciale, ribadendo la tradizionale limitazione della disciplina concorsuale agli imprenditori276. Tuttavia, non ha riservato quella disciplina a tutti gli imprenditori, ma soltanto agli imprenditori di imprese contrassegnate da limiti dimensionali superiori a certe soglie minime (art. 1 l. fall. nel testo attuale). Inoltre, permane in vigore la tradizionale esenzione dal fallimento dei piccoli imprenditori stabilita nell’art. 2221 cod. civ. e richiamata nel vecchio testo dell’art. 1 l. fall. (quale esclusione – è preferibile ritenere – fondata non sul criterio quantitativo basato sulle soglie dimensionali, ma sul criterio qualitativo stabilito nell’art. 2083 cod. civ. in ragione del rapporto tra capitale investito e lavoro prestato dall’imprenditore nell’impresa).

Perciò, ancora oggi ad essere sottratti alle procedure concorsuali sono non soltanto i debitori civili ma anche talune categorie di imprenditori. Questa residuale assimilazione è presa in considerazione nella legge in esame, la quale se ambisce a colmare una lacuna ordinamentale trova pure in quello spazio privo di rimedi una notevole possibilità esplicativa. Solo che – occorre sottolineare – non vi era, né vi è, un’unica via da percorrere, essendo ben evidente che se il presupposto dell’intervento legislativo è dato dalla mancanza di disciplina, la soluzione avrebbe potuto essere, alternativamente: un’unica disciplina per piccoli imprenditori e debitori civili (come nella nostra legge); oppure due discipline, l’una per il debitore civile e l’altra per il piccolo imprenditore.

Le ragioni della scelta adottata sembrano poggiare sul presupposto della sostanziale assimilabilità dell’insolvenza civile e della insolvenza del piccolo imprenditore sotto un profilo meramente quantitativo: si tratterebbe pur sempre di fenomeni economicamente modesti e non coinvolgenti una apprezzabile organizzazione di impresa. E’ però facile dubitare che il parallelismo sulla quantità tradisca anche una vicinanza qualitativa. Basterebbe considerare che mentre l’insolvenza civile manifesta un carattere essenzialmente patrimoniale, invece l’insolvenza commerciale tradisce una cifra schiettamente finanziaria (cosa che si può anche dire affermando la natura “statica” della responsabilità patrimoniale civile e la natura “dinamica” della responsabilità patrimoniale commerciale).

L’accordo di ristrutturazione dei debiti deve organizzarsi su di un piano che assicuri il regolare pagamento dei crediti estranei. La proposta può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma. Mentre la prima disposizione è chiaramente

276 G. P. MACAGNO, Sovraindebitamento. Accordo e controllo giudiziale. Approvazione ed omologazione, in

Fallimento, 2012, 9, 1073; F. MAIMERI, Sovraindebitamento. Presupposti soggettivi ed oggettivi di accesso, in

influenzata dalla disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti277, invece la seconda disposizione è non meno chiaramente influenzata dalla disciplina dei concordati (organizzabili secondo una libera proposta ai creditori: cfr. artt. 124 e 160 l. fall.). Entrambe le disposizioni – sull’accordo e sul contenuto della proposta – si focalizzano intorno al concetto di “piano”, fondamentale anche nel diritto concorsuale riformato. Come spero di illustrare, proprio il riferimento alla pianificazione solleva perplessità278.

Non deve sfuggire che il piano ripete una natura non giuridica ma aziendale279: la pianificazione null’altro è che la formalizzazione di una determinata strategia d’impresa. In particolare, nel diritto della crisi d’impresa rileva il piano di superamento della crisi: la strategia di composizione della crisi mediante accordo con alcuni creditori e fatto salvo il regolare pagamento degli estranei è formalizzata nel piano sottostante all’accordo di ristrutturazione; la strategia di composizione della crisi mediante deliberazione della proposta è formalizzata nel piano sottostante al concordato (che non si preoccupa degli estranei e dei dissenzienti per essere cogente per tutti i creditori concorsuali)280.

Il piano di superamento della crisi d’impresa si compone solitamente di tre elementi noti alla scienza aziendalistica come Business restructuring, Asset restructurung e Debt restructuring; e provvede a organizzare secondo precise scelte strategiche (di conservazione dell’impresa o di liquidazione dell’attività) il superamento della crisi. Alla base dell’idea stessa di piano è l’impresa come attività; essenziale presupposto concettuale del rilievo del piano nel diritto nella crisi d’impresa è la dimensione dinamica della responsabilità patrimoniale, e, dunque, la consapevolezza che la capacità adempitiva dell’imprenditore è strettamente connessa – piuttosto che al patrimonio staticamente considerato – allo svolgimento dell’attività produttiva281.

Dietro queste osservazioni, come possa trasporsi la cultura aziendale della pianificazione nell’ambito non aziendale della insolvenza civile sarebbe problema davvero difficile da risolvere, e forse quell’interrogarsi nemmeno si mostrerebbe sufficientemente sensato. Il debitore civile, infatti, non ha che un patrimonio incapiente e una massa di debiti. Non svolge alcuna azione sul mercato.

277 Che devono assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei: cfr. art. 182 bis l. fall.

278 G.MINUTOLI, Sovraindebitamento. Fase esecutiva dell’accordo. L’adempimento dell’accordo, in Fallimento, 2012,

9, 1085.

279 I.PAGNI, Procedura delle crisi da sovraindebitamento. Procedimento e provvedimenti cautelari ed esecutivi, in

Fallimento, 2012, 9, 1063.

280 G.FALCONE, Prestito “responsabile” e sovraindebitamento del consumatore, in Dir. Fall., 2010, 5, 1, 642.

281 Illuminante, a riguardo, la riflessione di G. FERRI JR, Impresa in crisi e garanzia patrimoniale, in AA.VV. Diritto

Non deve procedere a nessuna ristrutturazione di attività produttive. Deve piuttosto controllare e limitare la dannosa propensione al consumo, e aborrire il consumo irresponsabile (nella legge è tra l’altro stabilito che l’accordo di ristrutturazione possa indicare limitazioni all’accesso al mercato del credito al consumo, all’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronico a credito e alla sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari: cfr. art. 8, comma 3). Non vi sarebbe dunque nessuno spazio apprezzabile per la pianificazione del recupero della solvibilità.

In conclusione, mentre la pianificazione può essere utile ed è certamente comprensibile per il trattamento della crisi della piccola impresa non fallibile, invece in nessun modo sembra essere proficuamente utilizzabile (e nemmeno effettivamente comprensibile) per il trattamento dell’insolvenza civile282.

Quanto al ruolo affidato al Magistrato, si legge nell’art. 12 che, verificato il raggiungimento dell’accordo (ossia della maggioranza prescritta di aderenti) e l’idoneità dello stesso ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, il giudice procede all’omologazione dell’accordo. E’ ben vero che l’art. 17, comma 2, dispone che l’organismo di composizione della crisi provvede a certificare la veridicità dei dati contenuti nella proposta e dei documenti allegati e ad attestare il piano con riguardo all’essenziale requisito della fattibilità; ma, quanto interessa, è chiarire i poteri del giudice. Infatti, è rimesso al giudice di sindacare l’idoneità dell’accordo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei. Spetta dunque al giudice un penetrante giudizio di merito283 sulla superabilità, nel caso concreto, della crisi d’impresa o da sovraindebitamento. Il che segna una discontinuità rispetto al diritto della crisi d’impresa, nel quale il controllo giudiziale su accordi di composizione del debito e proposte di concordato è scevro da venature paternalistiche, e invece saldamente arginato su di un piano di verifica logico-formale delle ragioni spese dall’attestatore per asseverare la ragionevolezza del piano (facendo eccezione, per la più convincente opinione, soltanto il caso in cui siano state sollevate opposizioni).

Le regole appaiono sfornite di una trasparente ragione. Se infatti si osserva la posizione del piccolo imprenditore, non si comprende perché mai il giudice debba farsi occhiuto sul piano di superamento della crisi d’impresa. E lo stesso è a dirsi se l’autore del piano è il debitore civile. Né per l’uno né per l’altro caso si ravvisa l’esigenza di una speciale attenzione del giudice, che supplisca al controllo eventualmente disattento del creditore o ne integri l’insufficiente giudizio. Non potrebbero

282 L.GIRONE, Il tentativo del legislatore italiano di allinearsi agli ordinamenti internazionali con un provvedimento in

materia di “sovraindebitamento” dei soggetti non fallibili, nonché interventi in materia di usura ed estorsione (disegno di legge C. 2364), in Dir. Fall., 2009, 6, 1, 818.

mai rilevare, infatti, le caratteristiche sociali culturali tecniche ed economiche verosimilmente proprie di questi soggetti e tali da consentirne l’identica considerazione nella prospettiva di tutela (come propone il movimento interpretativo sulla estensione della tutela del consumatore anche al professionista, al lavoratore autonomo e al piccolo imprenditore).