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2.5. Orvieto

2.5.3. La Prima età del Ferro

Il quadro insediativo dell'area di Orvieto diviene più significativo nel corso della Prima età del Ferro, quando il generale aumento delle tracce di occupazione sembra suggerire una crescita del popolamento: accanto ai due giacimenti già noti per le fasi precedenti (Chiesa di Sant'Andrea e Cannicella), che mostrano un decisivo incremento quantitativo delle evidenze, si conoscono molti altri punti di rinvenimento distribuiti in vari settori del pianoro, sui versanti e ai piedi della rupe. Anche per questo periodo la documentazione disponibile consiste per lo più in nuclei di materiali di tipo abitativo, cui si aggiungono alcune evidenze di non facile inquadramento funzionale e scarse attestazioni funerarie; i rinvenimenti, effettuati in epoche, circostanze e condizioni di giacitura molto diversificate, restano spesso inediti e per molti contesti si dispone soltanto di notizie preliminari che non permettono di approfondire oltre un certo livello l'analisi delle dinamiche insediative del periodo.

Forse anche a causa della frammentarietà della documentazione disponibile, le attestazioni di carattere abitativo non suggeriscono significativi cambiamenti nell'assetto insediativo dell'area di Orvieto tra le diverse fasi della Prima età del Ferro; esse presentano, però, un'ampia distribuzione topografica in più punti del rilievo - sulla sommità, sui versanti e alla base -. Le stesse considerazioni valgono anche per quei contesti che hanno restituito evidenze di scarsa entità, prive di elementi dirimenti che permettano di ricondurle ad un preciso ambito funzionale e che possono essere considerate solo come testimonianze di una presenza insediativa sull'altura o nelle sue immediate vicinanze.

Le più cospicue testimonianze d'abitato della Prima età del Ferro, seppur limitate a reperti ceramici, sono state individuate nella Chiesa di Sant'Andrea, sul terrazzo sommitale, e nelle aree delle due necropoli etrusche della Cannicella e di Crocifisso del Tufo, poste

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di Gennaro 1986, p. 22; Scarpignato - di Gennaro 1988, p. 34.

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rispettivamente alle pendici meridionali e nord-occidentali della rupe ma i cui rinvenimenti sono stati ricondotti ad un fenomeno di caduta dal pianoro sovrastante.

In particolare, uno dei contesti che ha restituito i dati più consistenti per il PF è la Chiesa di Sant'Andrea [98], ubicata nel settore centro-occidentale del pianoro: i risultati dei saggi in profondità condotti alla fine degli anni '60 del XX sec. e il recente riesame di una parte della ceramica protostorica rinvenuta suggeriscono la continuità di occupazione dell'area per tutto il PF (PFI e PFII) e il notevole incremento quantitativo dei materiali d'abitato rispetto al BF. Le scarne relazioni di sintesi pubblicate dopo le indagini fanno, inoltre, riferimento ad una struttura muraria del PF di difficile lettura: l'autore dello scavo identificava il sito come un'area sacra villanoviana ed etrusca, recintata da un muro in mattoni crudi del PFI che sarebbe stato sostituito da uno in blocchi irregolari di tufo nel corso dell'VIII sec. a.C. (PFII) e, poi, da un altro ad andamento semicircolare in blocchi ben squadrati del VI sec. a.C.; secondo la sua ipotesi, prima dell'impianto della basilica cristiana del VII sec. d.C., il sito avrebbe avuto una connotazione sacra fin da un'epoca molto antica237. Tuttavia, in mancanza dell'edizione completa dello scavo, tale interpretazione resta ancora incerta per l'impossibilità di verificare la natura e la funzione della struttura muraria.

Un nutrito gruppo di frammenti ceramici di tipo abitativo, riferibili a tutte le fasi della Prima età del Ferro, proviene dagli scavi effettuati tra gli anni '70 e '90 del XX sec. nella necropoli etrusca della Cannicella [97], ai piedi del versante meridionale della rupe orvietana: tali reperti sono stati rinvenuti nelle medesime condizioni di giacitura secondaria di quelli del BF recuperati nello stesso sito ed è probabile che siano ugualmente scivolati dal terrazzo sommitale; rispetto al periodo precedente si nota, però, un sensibile incremento quantitativo dei materiali che tendono a diventare molto numerosi soprattutto nel PFII (VIII sec. a.C.).

Una considerevole quantità di reperti ceramici molto frammentati e di tipo verosimilmente abitativo fu recuperata anche nello scavo dell'altra grande necropoli etrusca ubicata sul versante opposto dell'altura di Orvieto, precisamente alle pendici nord-occidentali in località Crocifisso del Tufo [99]: come alla Cannicella, anche in tal caso i materiali erano contenuti nel terreno di riempimento delle tombe monumentali di età successiva ed è probabile che siano franati dalla sommità della rupe in epoca post-antica; la selezione di frammenti editi dopo le indagini degli anni '50-'60 del XX sec. si riferisce all'intero arco cronologico della Prima età del Ferro (PFI e PFII).

Tracce insediative di minor entità provengono anche da altre parti del pianoro. Pochi frammenti vascolari d'impasto databili al momento iniziale della Prima età del Ferro (PFI, IX sec. a.C.) sono stati rinvenuti negli scavi effettuati nel sottosuolo del Palazzo del Capitano del Popolo [101], durante le recenti operazioni di restauro architettonico dell'edificio: l'area, ubicata nel settore centrale del pianoro, avrebbe avuto un ruolo importante nel successivo assetto urbanistico di epoca etrusca e medievale ospitando grandi edifici di carattere sacro e pubblico.

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Nel corso degli scavi eseguiti alla fine del XIX sec. tra Porta Maggiore e Porta Romana (nell'area del Foro Boario di età romana) [108], all'estremità occidentale del pianoro, furono recuperati alcuni frammenti di ceramica d'abitato riferibili genericamente al PF tra i materiali degli "scarichi urbani" etruschi238.

Un'altra limitata traccia dell'occupazione dell'area sommitale del rilievo è rappresentata da una ciotola d'impasto ad orlo rientrante appartenente a un tipo molto diffuso nel PF, sulla cui scoperta e interpretazione gravano varie incertezze e inesattezze. Contrastanti sono le notizie relative all'esatta ubicazione del rinvenimento: a seconda delle testimonianze, il reperto sarebbe stato recuperato fortuitamente dalla terra di riporto durante gli sterri degli anni '50 del XX sec. per la costruzione del campo sportivo presso Piazza Marconi oppure in prossimità del Monastero di San Paolo [103]; entrambi i luoghi, molto vicini tra loro, sono ubicati a poca distanza dal ciglio meridionale del pianoro. Al momento della scoperta la ciotola fu frettolosamente identificata come un coperchio di urna cineraria, nonostante mancasse qualsiasi dato sul contesto di riferimento 239; tale interpretazione ha suscitato molte perplessità negli studi successivi e la funzione della ciotola resta ancora difficile da precisare240.

L'unica area dell'altura orvietana nella quale sia stata individuata una piccola porzione dell'abitato protostorico con evidenti tracce di strutture oltre che materiali è quella occupata dal tempio etrusco del Belvedere [96], lungo il margine nord-orientale del pianoro (in prossimità del Pozzo di San Patrizio) e in una posizione dominante sul punto di confluenza tra il fiume Paglia e il Chiani. Gli scavi degli anni '20 del XX sec. rinvennero presso l'angolo meridionale dell'edificio sacro una stratificazione intatta che conteneva molti frammenti ceramici d'impasto protostorico, quasi tutti privi di decorazione; all'interno dell'area occupata dal tempio furono messe in luce anche numerose cavità scavate nel banco roccioso, interpretate al momento della scoperta come tombe a pozzetto della Prima età del Ferro, pur essendo riempite solo di terra e di qualche frammento vascolare poco significativo e pur in mancanza di elementi che facessero pensare ad una funzione funeraria241; fu, invece, scartata l'ipotesi che gli studi successivi hanno considerato come la più probabile e che appare tuttora la più verosimile, vale a dire che si trattasse di buchi di palo pertinenti a strutture capannicole242. Nonostante l'importanza documentaria del contesto, a causa delle scarne descrizioni dei reperti e delle succinte relazioni di scavo edite, è possibile solo datarlo tra la tarda età del Bronzo e la Prima età del Ferro e non si riesce a precisarne ulteriormente l'orizzonte cronologico di riferimento.

Infine, tra i rinvenimenti dell'area dell'attuale centro urbano si ricorda la scoperta di due fornaci per ceramica effettuata da A. Minto nel 1934 presso Piazza San Domenico, nel settore centro-settentrionale del pianoro243: in alcuni studi successivi il contesto fu 238 Fiorelli 1881, p. 103. 239 Bizzarri 1958, p. 190; Talocchini 1958, p. 192. 240 Tamburini 1992, pp. 19-20; Tamburini 2003, p. 86. 241 Stefani 1925, p. 161. 242 Tamburini 1992, pp. 18-19; Tamburini 2003, pp. 85-86. 243 Minto 1936, pp. 258-267.

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erroneamente attribuito alla Prima età del Ferro, equivocando la natura del vasellame d'impasto d'uso domestico ivi rinvenuto244; in realtà, la struttura delle fornaci e la presenza tra i materiali di ceramiche a vernice nera e sovradipinte rimandano ad epoca tardo-etrusca, in particolare ai decenni immediatamente precedenti alla distruzione di Orvieto del III sec. a.C.

Un altro punto di rinvenimento è stato riconosciuto sull'unico pendio poco scosceso della rupe dal quale avveniva in epoca antica l'accesso al pianoro sommitale: durante un sopralluogo effettuato negli anni '80 del XX sec. in un'area a mezza costa del versante sud- occidentale del rilievo [106] furono recuperati casualmente alcuni frammenti ceramici, venuti alla luce in seguito ad un taglio del terreno di pendice e riferibili all'intero arco cronologico del PF (PFI e PFII). Considerando la posizione del luogo, è probabile che tali materiali siano franati dall'alto e che siano da ricondurre all'insediamento posto sull'area difesa soprastante.

Grazie all'ampio programma di ricognizioni di superficie condotte tra il 1987 e il 1995 da S. Stopponi nell'antico territorio volsiniese il quadro documentario si è recentemente arricchito di nuove evidenze individuate alla base della rupe. Diverse aree di affioramento di ceramica d'impasto non tornito sono state riconosciute in località Incannellato [100], alle pendici occidentali del rilievo, ma lo stato molto frammentario dei materiali ha permesso di riferirli solo genericamente al PF (per l'unico reperto attribuito da S. Stopponi all'età del Bronzo Finale245 - un frammento di ansa cornuta - si è ritenuto in seguito preferibile un riferimento alla Prima età del Ferro246). Le stesse ricognizioni hanno, inoltre, individuato affioramenti ceramici riferibili genericamente al periodo protostorico nelle località di Riorso [105] e Pescara [102], alle pendici settentrionali dell'altura di Orvieto.

A differenza delle aree di Crocifisso del Tufo e della Cannicella, poste immediatamente a ridosso dell'altura, tali rinvenimenti sono ubicati ad alcune centinaia di metri dalle pareti rocciose e hanno, pertanto, alimentato il dibattito sulla configurazione insediativa dell'area circostante alla rupe in epoca protostorica: i materiali potrebbero essere esito di uno scivolamento dall'alto ed essere ricondotti all'abitato del pianoro sommitale oppure - considerando la loro distanza dal rilievo - potrebbero essere indizio di una forma diversa di distribuzione del popolamento e segnalare l'esistenza di piccoli insediamenti di pendice247.

A fronte dell'assoluta mancanza di attestazioni funerarie dell'età del Bronzo Finale, per la Prima età del Ferro sono noti pochi materiali decontestualizzati di provenienza tombale del PFI e alcune sepolture del PFII. L'esatta localizzazione delle necropoli del periodo resta ancora sconosciuta, sebbene sia possibile formulare qualche ipotesi a partire dalle scarse evidenze disponibili: i rinvenimenti di cui è noto il contesto di provenienza si distribuiscono all'esterno del pianoro, in particolare alla base nord-occidentale e nord- orientale della rupe (rispettivamente nell'area della necropoli etrusca di Crocifisso del Tufo e sul fondo del Pozzo di San Patrizio) e nella parte alta del versante occidentale del rilievo 244 Klakowicz 1979, pp. 39-41. 245 Stopponi 1999, p. 44. 246 Delpino 2000, p. 82; Schiappelli 2008, p. 161. 247 Stopponi 1999, p. 44; Schiappelli 2008, p. 159.

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(nei pressi della località Surripa); l'entità della documentazione non permette ulteriori considerazioni sull'organizzazione dello spazio sepolcrale della Prima età del Ferro e molti interrogativi restano ancora aperti. È possibile, tuttavia, distinguere le attestazioni riferibili alla fase iniziale del PF (PFI) da quelle della fase avanzata e finale del periodo (PFII). Per il PFI, le uniche testimonianze di carattere funerario sono rappresentate da tre vasi biconici, probabilmente utilizzati come urne cinerarie, rinvenuti verso la fine del XIX sec. e sicuramente provenienti da Orvieto: per due di essi, che furono subito venduti al Museo Archeologico di Firenze [109], non è precisabile l'esatta località di rinvenimento, sebbene ne sia stata ipotizzata la provenienza da una delle future necropoli urbane248; un terzo ossuario, inizialmente acquisito dal Museo dell'Opera del Duomo di Orvieto e poi entrato nella collezione del Museo "Claudio Faina", fu ritrovato sicuramente nella "necropoli nord di Orvieto", vale a dire nell'area della necropoli etrusca di Crocifisso del Tufo [99] posta alle pendici nord-occidentali della rupe.

Più significative, seppur numericamente limitate, sono le attestazioni funerarie del PFII, per le quali si conosce con maggiore certezza il luogo di rinvenimento.

Ad un contesto di carattere funerario del PFII sembrerebbe riferirsi la più antica scoperta di materiali protostorici di cui si ha notizia per Orvieto, effettuata nel 1532 all'estremità nord- orientale del pianoro. Come si evince dal testo latino delle Riformanze Comunali di quell'anno, durante i lavori di escavazione del Pozzo di San Patrizio [104], fu intercettata alla profondità di 54 m circa rispetto al piano di calpestio esterno - quasi in corrispondenza del fondo del pozzo e della base della rupe - una cavità che conteneva alcuni materiali antichi: "alquanti vasi, parte sani e parte invece rotti" (uno dei quali "conteneva molte ossa umane"), "due istrumenti di ferro" e "una piccola navicella di rame" (in cui è stata poi riconosciuta una fibula bronzea del tipo a navicella)249. Il deposito è stato successivamente riferito da P. Perali e da M. Bizzarri250 ai resti di una piccola tomba villanoviana a incinerazione di tipo ipogeo, scavata alla base della rupe con accesso dall'esterno e ricoperta nel corso del tempo da accumuli di materiali caduti dall'alto, ed è stato datato alla fase avanzata della Prima età del Ferro (PFII, VIII sec. a.C.). Alcuni decenni più tardi, G. Colonna confermava tale interpretazione parlando di "tombe villanoviane in grotta" e ritenendo che l'ubicazione della sepoltura potesse provare l'esistenza di aree abitative alle pendici della rupe ("stante la troppo grande distanza dall'unica uscita naturale dalla rupe, rappresentata dalla Porta Maggiore" al margine occidentale del pianoro), anche se in conclusione lasciava aperta la questione dell'organizzazione insediativa dell'area che meritava di "essere ristudiata alla luce delle più recenti acquisizioni sul popolamento villanoviano"251.

La zona di Crocifisso del Tufo [99], posta alle pendici nord-occidentali dell'altura, ha restituito oltre agli abbondanti materiali d'abitato del PFI e del PFII, verosimilmente franati

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Tamburini 2003, p. 83.

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Il testo italiano relativo alla notizia del rinvenimento è riferito da: Perali 1919, p. 39. La presenza della fibula a navicella è stata supposta per la prima volta da: Bizzarri 1962, p. 12.

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Perali 1919, p. 39; Bizzarri 1962, p. 12, nota 15.

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dal pianoro, e al cinerario biconico del PFI, conservato nel Museo "Claudio Faina", anche altre attestazioni di carattere funerario. Alla fine del XIX sec. negli scavi della necropoli etrusca furono individuate due tombe a fossa semplice, parallele e vicine tra loro, poste 3 m circa al di sotto del piano stradale del sepolcreto di età storica e i cui corredi ne hanno suggerito una datazione al momento avanzato del PFII (PFIIB). L'area continua, poi, ad essere utilizzata ininterrottamente a scopo funerario per tutta l'epoca etrusca fino alla distruzione della città nel III sec. a.C.

Del tutto analoghe a quelle di Crocifisso del Tufo per tipologia e cronologia (momento avanzato del PFII) sono alcune tombe a fossa messe in luce nella parte alta del versante occidentale della rupe, poche centinaia di metri a N della località Surripa [107]: gli scavi, effettuati alla fine del XIX sec. in occasione dei lavori di regolarizzazione del pendio e di sistemazione del sovrastante Campo del Mercato di Orvieto, permisero di identificare le suddette sepolture del PF tra un gruppo di altre strutture funerarie di epoca etrusca.

Considerando complessivamente le attestazioni note, è possibile formulare alcune considerazioni in merito all'organizzazione insediativa dell'area di Orvieto nella Prima età del Ferro e riflettere su alcuni punti cruciali del dibattito attuale.

Mentre i dati disponibili per l'età del Bronzo Finale non sono ancora sufficienti per stabilire se il terrazzo sommitale della rupe fosse occupato solo in parte o nella sua interezza, per la Prima età del Ferro l'abbondanza e la distribuzione delle evidenze sembra indicare che l'abitato interessasse l'intera superficie difesa del pianoro con gruppi sparsi di capanne alternati ad ampi spazi liberi funzionali alle attività di sussistenza, secondo uno schema ricorrente e ben documentato in altri insediamenti coevi d'Etruria. Osservando l'ubicazione dei rinvenimenti, è stato ipotizzato che i vari nuclei abitativi si disponessero principalmente lungo i margini del pianoro, in aree strategiche per il controllo dell'area circostante: in effetti, le maggiori concentrazioni di materiali d'abitato e le strutture capannicole sono state individuate non tanto nell'area centrale del pianoro, bensì all'estremità nord-orientale, da cui si dominava il punto di confluenza del Chiani nel Paglia, nel settore nord-occidentale, dove si trovava l'antico percorso di accesso alla rupe, e all'estremità meridionale, in corrispondenza di una sporgenza del ciglione roccioso; questa ricostruzione sembra avvalorata anche dai cospicui materiali d'abitato rinvenuti nelle necropoli etrusche di Crocifisso del Tufo e della Cannicella, immediatamente a ridosso della base nord-occidentale e meridionale della rupe, e da quelli recuperati a mezza costa del versante sud-occidentale del rilievo, le cui condizioni di giacitura fanno presumere, come si è visto, un fenomeno di scivolamento dall'alto e di accumulo a valle dei reperti. La concentrazione dei nuclei d'abitato in questi settori "strategici" del pianoro potrebbe essere suggerito anche dalla dislocazione delle poche tracce di sepolture del PF individuate sui versanti e alle pendici del rilievo, che tendono a concentrarsi proprio in corrispondenza delle due estremità occidentale e nord-orientale252.

252

di Gennaro 1986, p. 133; Scarpignato - di Gennaro 1988, p. 32; Tamburini 1992, pp. 20-21; Tamburini 2003, p. 106.

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Più problematica è l'interpretazione dei materiali del PF rinvenuti alla base della rupe: l'ipotesi che tali reperti non provenissero dal pianoro, ma fossero pertinenti a "piccoli insediamenti di pendice" fu proposta per la prima volta da G. Colonna nel 1985 che, sulla base delle poche attestazioni allora note, riteneva che l'area difesa della rupe fosse utilizzata principalmente come luogo di "rifugio"253; le successive acquisizioni e l'incremento delle tracce di frequentazione sul pianoro hanno rafforzato, invece, l'idea che l'abitato fosse essenzialmente concentrato sul terrazzo sommitale e che l'accumulo dei materiali sui versanti e nelle aree di pendice della Cannicella e di Crocifisso del Tufo fosse dovuto ai movimenti franosi254. I recenti rinvenimenti effettuati nel corso delle ricognizioni di superficie dirette da S. Stopponi hanno, infine, riaperto su basi nuove la questione della frequentazione delle pendici dell'altura in epoca protostorica: l'identificazione di altri punti di rinvenimento a distanze maggiori dalla rupe (ad es. nelle località Incannellato, Riorso e Pescara) ne rende incerta la correlazione con l'abitato sommitale e suggerisce la possibilità dell'esistenza di un sistema di popolamento più articolato, costituito da piccoli nuclei insediativi circostanti al rilievo e coesistenti con l'abitato più esteso ubicato sul pianoro255.

2.5.4. ASPETTI DI CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ TRA FASE PROTOSTORICA E STORICA: IL PASSAGGIO ALL'ORIENTALIZZANTE

A differenza di altri grandi centri d'Etruria, che nell'Orientalizzante mostrano una forte accelerazione dei processi insediativi e socio-politici in atto nella Prima età del Ferro, nel caso di Orvieto il periodo orientalizzante è poco rappresentato e l'insediamento conosce una fioritura considerevole solo con il passaggio all'età arcaica256.

Sebbene la documentazione archeologica relativa all'Orientalizzante lasci intravedere una certa continuità nelle forme di occupazione del sito, essa appare molto esigua rispetto a quella disponibile per la Prima età del Ferro. I pochi frammenti ceramici rinvenuti negli scavi della Chiesa di Sant'Andrea e quelli recuperati in giacitura secondaria alla Cannicella, verosimilmente franati dall'alto, sono le uniche attestazioni della continuità di sviluppo dell'abitato sul pianoro sommitale257. L'individuazione di alcune sepolture del VII sec. a.C. e la presenza di alcuni reperti musealizzati di provenienza tombale documentano la frequentazione a scopo funerario dei due siti della Cannicella e di Crocifisso del Tufo258 - rispettivamente alle pendici meridionali e settentrionali della rupe-, che prosegue in misura più consistente in età arcaica con la pianificazione spaziale delle due principali necropoli urbane e la disposizione regolare delle tombe a camera lungo assi stradali ortogonali; mentre a Crocifisso del Tufo le deposizioni erano già iniziate nella 253 Colonna 1985, p. 102, nota 4. 254 Scarpignato - di Gennaro 1988, pp. 32-33. 255 Stopponi 1999, pp. 43-44. 256

Per un inquadramento generale dello sviluppo della città etrusca di Orvieto: Stopponi 2010 (con bibl. prec.).

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Scarpignato - di Gennaro 1988; Babbi - Delpino 2004.

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