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2. Le prime applicazioni dei principi posti dalle S.U.: le principali pronunce del
Le prime pronunce di legittimità successive all’intervento delle Sezioni Unite si sono sostanzialmente attenute ai principi enunciati dalla Suprema Corte. Questa, lo
ricordiamo, aveva stabilito che compito del giudice è quello di verificare la fattibilità giuridica del piano. La verifica della fattibilità economica era invece rimessa ai
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creditori, essendo essa intrisa di “valutazioni prognostiche fisiologicamente opinabili e comportanti un margine di errore, nel che è insito anche un margine di rischio, del
quale è ragionevole siano arbitri i soli creditori, in coerenza con l’impianto generale prevalentemente contrattualistico dell’istituto del concordato”. Il Supremo Collegio
però, nella stessa pronuncia, aveva anche sottolineato che, in presenza di una assoluta e manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a realizzare quanto
proposto nel caso specifico, il sindacato del giudice può estendersi anche alla fattibilità economica, risultando inutile ogni valutazione dei creditori a fronte della
manifesta irrealizzabilità del piano stesso.
L’applicazione in concreto di questi principi, apparentemente chiari, si è rivelata non sempre agevole. Bisogna in particolare stabilire quali fatti siano idonei ad integrare una assoluta e manifesta irrealizzabilità del piano proposto ai creditori.
Fra le prime sentenze successive all’intervento delle Sezioni Unite, merita senz’altro di essere segnalata quella pronunciata dalla prima sezione civile della Corte di
Cassazione: la sentenza 9 maggio 2013, n. 1101496. Essa ha confermato la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Firenze, che aveva a sua volta censurato la
dichiarazione di fallimento pronunciata dal Tribunale di Lucca a seguito del rigetto della domanda di concordato preventivo proposta dal debitore. La Corte d’Appello infatti aveva evidenziato che “l’ottimismo delle previsioni di vendita degl’immobili formulate nella proposta concordataria e nella relazione allegata, pur ponendosi in
contrasto con la grave crisi economica in atto, con il crescente immobilismo del
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mercato immobiliare e con la posizione geografica dei beni, incidesse sulla fattibilità
del concordato in termini non già di certezza, ma di mera probabilità”. La Cassazione,
in questa occasione, ha confermato la decisione dei giudici fiorentini, ritenendo che i rischi e i vantaggi connessi alla liquidazione concorsuale dei beni aziendali era stata effettuata in modo ponderato ed effettuando un corretto giudizio di merito in ordine all'intrinseca serietà logica della proposta concordataria, procedendo “ad una valutazione delle possibilità di attuazione della stessa, sotto il profilo della concreta
realizzabilità delle previsioni di vendita degli immobili e delle connesse prospettive
di soddisfacimento dei creditori, poste a confronto con i rischi ai quali questi ultimi
sarebbero rimasti esposti in caso di fallimento”. “L’esclusione dell’irrealizzabilità”,
ad avviso della Suprema Corte, “è di per sé sufficiente, sotto il profilo logico, a collocare l’attuazione del piano nell’arco delle probabilità astrattamente attingibili
dal giudizio di fattibilità, la cui valutazione in concreto costituisce proprio l’oggetto dell’apprezzamento demandato al giudice di merito”. Questa pronuncia dunque, pur
ponendosi in linea con quanto affermato dalle Sezioni Unite, lascia trasparire i primi germi dell’espansione del controllo del tribunale, sulla base del fatto che la verifica dello stesso in ordine alla sussistenza del requisito della fattibilità, non può essere ridotta ad un’operazione di puro “segretariato giudiziale”, ma implica un giudizio di merito in ordine “all’intrinseca serietà logica della proposta concordataria”. La verifica del tribunale quindi, non è circoscritta alla sola attestazione del
professionista, ma è estesa anche alle possibilità di attuazione della proposta, accertando la sua concreta realizzabilità. La Corte dunque sottolinea come la
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valutazione della fattibilità del piano spetti non solo ai creditori ma anche al giudice, con la differenza però che mentre l’apprezzamento dei primi è totalmente
discrezionale, quello del giudice non può essere compiuto in termini meramente probabilistici, ma deve arrivare alla soglia della certezza, poiché esso può negare l’ammissione al concordato solo quando l’inattuabilità del piano risulti appunto con certezza.
Da segnalare è poi la sentenza 27 maggio 2013, n. 1308397. La Corte qui ammette un sindacato sulla fattibilità economica della proposta ma solo in via mediata, potendo verificare la congruenza tra le informazioni offerte al debitore ed i contenuti
dell’attestazione del professionista. La Corte infatti afferma che la corte d’appello è si andata oltre i limiti posti al potere di controllo della proposta segnati dalle Sezioni Unite, poiché ha svolto valutazioni di convenienza e di fattibilità economica riservati
ai creditori, ma sottolinea che questi sconfinamenti non sono in concreto decisivi ai fini della cassazione della sentenza, in quanto la corte di merito ha fondato le proprie valutazioni anche sulla rilevata carenza “di chiarezza e completezza dell’attestazione del professionista sulla base di quanto emerge ictu oculi dal raffronto tra la
documentazione prodotta ed il contenuto dell’attestazione del professionista”. Essa
dunque, pur andando oltre il controllo di veridicità dei dati aziendali, non ha invaso i compiti del commissario giudiziale.
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In linea con questo orientamento è poi la sentenza 25 settembre 2013, n. 2190198. In questa pronuncia la Suprema Corte afferma che il controllo giudiziale sulla corretta formulazione della proposta di concordato, deve essere effettuato attraverso l’esame critico della relazione del professionista. Compito del giudice è infatti verificare che “l’attestazione di veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano non solo
trovi puntuale riscontro nella documentazione allegata, ma sia sorretta da
argomentazioni logiche, idonee a dar conto della congruità delle conclusioni assunte
rispetto ai profili di fatto, oggetto di esame”. In conseguenza di questo, guardando al
caso concreto, la Corte afferma che il giudizio negativo espresso dal tribunale rispetto all’esito della nuova proposta, si fonda sul fatto che l’attestatore non ha spiegato perché un piano che fosse fondato sulla cessione degli stessi beni ai medesimi soggetti che non erano stati in grado di acquistarli nel corso del precedente
concordato, potesse invece trovare realizzazione pochi mesi dopo l’esito negativo della prima procedura. In questa sentenza dunque la Corte ammette in concreto un vero e proprio sindacato di merito, ampliando i contorni della verifica giudiziale sulla fattibilità, in quanto la valutazione del giudice deve essere effettuata tenendo in
considerazione non solo i riscontri documentali e la coerenza logica dell’attestazione, ma anche le “condizioni al contorno” della proposta concordataria.
Altra pronuncia molto interessante è la sentenza 6 novembre 2013, n. 2497099. In essa infatti la Corte effettua una valutazione sui limiti del sindacato giudiziale sulla
fattibilità economica del piano di concordato in modo chiaro ed esplicito, andando ad
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esaminare i singoli rilievi evidenziati dal commissario nella relazione finale e posti a fondamento della pronuncia del giudice di prime cure. Nella fattispecie sottoposta all’esame dei giudici di Cassazione veniva negata l’omologazione del concordato preventivo in continuità proposto dal debitore ed approvato dalla maggioranza dei creditori, a seguito della rilevazione ex officio della non fattibilità del concordato stesso, sulla base di elementi evidenziati già dal commissario giudiziale nel parere motivato di cui all’art. 180, comma due. La Corte d’Appello di Firenze, già investita del reclamo proposto dal debitore contro la sentenza che lo aveva dichiarato fallito, aveva accolto le doglianze dello stesso, ritenendo illegittima la valutazione effettuata dal giudice di primo grado sulla fattibilità del concordato, essendo essa riservata ai creditori purché debitamente informati e consapevoli delle criticità relative alla proposta presentatagli. I giudici fiorentini avevano rilevato che, nel caso di specie, “non sussisteva alcun deficit di consapevolezza da parte del ceto creditorio al momento della votazione, posto che gli elementi evidenziati dal commissario nel
suo parere finale altro non erano che una riconsiderazione delle criticità già riferite
in precedenza ai creditori, in particolare evidenziando l’aumento dell’entità dello
sbilancio fra attività e fabbisogno concordatario”. Lo stesso orientamento viene ribadito anche dalla Suprema Corte, che riafferma l’importanza delle informazioni che devono essere offerte ai creditori al fine di consentirgli di votare la proposta sottoposta al loro esame in maniera consapevole.
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