CAPITOLO III – Italia: la compensazione impropria
III.1. Osservazioni introduttive e storico-giuridiche
III.1.2. Le prime manifestazione della compensazione c.d impropria nei decenni success
Il quadro normativo cambia considerevolmente con l’approvazione del r.d. 16 marzo 1942, n. 262 contenente il Codice civile e con la promulgazione del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, c.d. legge fallimentare.
Innanzitutto il codice civile del 1942 disciplina espressamente, di fianco alla compensazione legale, l’istituto della compensazione giudiziale337, il quale viene estrapolato dal diritto vivente e ricondotto a disciplina unitaria e legislativamente determinata.
La compensazione giudiziale viene, dunque, disciplinata dall’art. 1243, 2° co., c.c. secondo cui “Se il debito opposto in compensazione non è liquido ma è di facile e pronta liquidazione, il giudice può dichiarare la compensazione per la parte del debito che riconosce esistente, e può anche sospendere la condanna per il credito liquido fino all'accertamento del credito opposto in compensazione”.
In secondo luogo, la scelta di ammettere espressamente la compensazione nell’ambito del fallimento, seppur nei limiti previsti dall’art. 56 l.f.338, risolve la maggior parte dei
335 Corte di Cassazione del Regno, 30 luglio 1935, n. 3128, in Foro it. 1936, c. 267.
336 Corte di Cassazione del Regno, 15 maggio 1934, in Foro it. 1934, c. 1068; Corte di cassazione del Regno, 27 luglio 1933, Cristofannini c. Società bancaria Marchigiana, in Foro it. 1934, c. 1106.
337 Oltre, naturalmente a quella volontaria, che risulta tuttavia di minore interesse per l’oggetto di questo lavoro.
338 La Relazione del Guardasigilli affermava che “è degna di particolare rilievo la norma dell’art. 56, la quale, innovando radicalmente il sistema del codice, ammette i creditori a compensare i loro debiti che vantano verso il fallito, ancorchè non siano scaduti prima della dichiarazione di fallimento”, in PICELLA - POTENZA, Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della
113 problemi derivanti dalla legislazione precedente e legati, come si è già visto, alla generale impossibilità di ammettere la reciproca estinzione delle pretese dopo la dichiarazione di fallimento.
L’art. 56 l.f. dispone, infatti, che “I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento.
Per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra i vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore.”
Per quanto, tuttavia, vengano esplicitamente ammessi dall’ordinamento sia la compensazione giudiziale che la possibilità di invocare la compensazione anche nell’ambito del fallimento, tali previsioni sembrano inadatte a risolvere tutte le ipotesi che la pratica presenta339.
Nonostante queste modifiche normative, infatti, esigenze di equità portano la giurisprudenza – che non ha più “mani libere” nel gestire la compensazione giudiziale – a ricercare attraverso la compensazione impropria una diversa soluzione del caso concreto.
La prima sentenza che, a quanto consta, espressamente sembra limitare l’applicabilità della compensazione in senso tecnico – cioè quella disciplinata dal codice civile nelle forme di legale e giudiziale – alle ipotesi di obbligazioni derivanti da titoli diversi risale
339 In ambito fallimentare, ad es., la distinzione tra compensazione propria e impropria è richiamata, da taluno, per giustificare la necessità o meno di chiedere l’ammissione al passivo del credito. Commentando una pronuncia del Tribunale di Milano del 1970, che aveva escluso la necessità dell’insinuazione in ipotesi di compensazione impropria, un Autore sottolinea come “la soluzione che configura un diverso regime della compensazione in sede fallimentare a seconda che essa riguardi obbligazioni derivanti da uno stesso rapporto o da rapporti autonomi … sembra però riallacciarsi alla giurisprudenza e alla dottrina formatesi sotto il codice di commercio abrogato sul regime della compensazione nel fallimento. Come è noto, mancando nel codice di commercio una norma corrispondente al vigente art. 56 l.f., si riteneva generalmente che la compensazione non potesse perfezionarsi dopo o al momento della dichiarazione del fallimento. A tale regola si faceva eccezione per la compensazione fra debiti e crediti derivanti da una stessa causa, considerando tali anche le obbligazioni conseguenti alla risoluzione o all’annullamento di un contratto a prestazioni corrispettive, e ciò in ragione del nesso di sinallagmaticità o corrispettività che unisce tali obbligazioni” (AUTERI, Compensazione e ammissione al passivo fallimentare, in Riv. Dir.
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al 1954, quando la Cassazione340 afferma che “può farsi luogo a compensazione giudiziale qualora si verta nella ipotesi di persone obbligate l’una verso l’altra per titoli diversi341 e venga accertata nel corso del giudizio la liquidità dei contrapposti crediti nonché l’esistenza di due diverse richieste”.
Tale sentenza, infatti, sembra esplicitamente limitare l’ambito di operatività della compensazione regolata dal codice civile alla sussistenza della diversità di titolo su cui sono fondati i reciproci crediti.
Con maggiore chiarezza, tuttavia, è nel 1960 che la Cassazione, per la prima volta a quanto consta, decreta il presupposto dell’autonomia dei reciproci rapporti per l’operare della compensazione in senso tecnico-giuridico: si afferma, infatti, che “presupposto generale per la compensazione è la reciproca autonomia dei contrapposti rapporti di credito e debito: pertanto quando i due crediti contrapposti non abbiano origine in due distinti rapporti giuridici, ma in un unico rapporto bilaterale, ovvero in due rapporti in cui uno sia accessorio dell’altro, non può parlarsi di compensazione in senso tecnico- giuridico: in tale ipotesi, l’accertamento del dare ed avere postula un semplice calcolo, che può chiudersi in pareggio o indicare la risultante differenziale”342.
Anche questa sentenza è inedita e non è pertanto possibile capire quale fosse il caso concreto che aveva dato origine alla controversia.
Basti tuttavia notare, per il momento, che da questo istante in poi, soltanto a sfogliare i repertori di giurisprudenza, quasi ogni annata contempla almeno una massima che accoglie questo medesimo principio: la compensazione presuppone l’autonomia dei rapporti ai quali i debiti delle parti si riferiscono.
In generale, dunque, la giurisprudenza giunge a negare l’applicabilità della compensazione tecnica nel caso in cui i contrapposti rapporti di credito e debito abbiano origine da un unico rapporto bilaterale ovvero in due rapporti distinti di cui uno
340 Cass. Civ. 23 ottobre 1954, n. 4023, in Rep. Foro it. 1954, v. Compensazione, n. 9. 341 Corsivo aggiunto, nda.
115 accessorio dell’altro343, oppure anche nell’ipotesi in cui si tratti di un unico rapporto “ancorché complesso”344.
Non mancano, tuttavia, voci dissonanti345, le quali al contrario ammettono la compensazione “propria” anche quando le reciproche obbligazioni hanno fonte nel medesimo contratto.
Quel che, tuttavia, deve notarsi è che l’utilità e il senso di questo istituto extracodicistico possono essere apprezzati solo se letti in stretta corrispondenza con gli effetti pratici che il ricorso a tal istituto comporta. Quello della c.d. compensazione impropria appare, infatti, proprio come un caso di produzione inversa del diritto: non è infatti dalla pregressa esistenza della fattispecie che si ricavano e discendono gli effetti, bensì è sulla base degli effetti che si vogliono ottenere che viene costruita la fattispecie astratta346.
Fattispecie che, a ben vedere, viene costruita a contrario mediante negazione dei presupposti necessari per l’operare della compensazione in senso tecnico. Come a
343 Ex plurimis Cass. civ., 8 ottobre 1960, n. 2608, in Rep. Foro it. 1960, v. Compensazione, n. 3; Cass. civ., 9 giugno 1961, n. 1339, in Rep. Foro it. 1961, v. Compensazione, n. 3; Cass. civ., 8 febbraio 1963, n. 229, in Rep. Foro it. 1963, v. Compensazione, n. 6; A. Messina, 31 luglio 1963, in Giur. Sic. 1964, p.60; Cass. civ., 8 ottobre 1965, n. 2092, in Rep. Foro it. 1965, v. Compensazione, n. 1 e n. 2; Cass. civ., 1 marzo 1967, n. 464, in Rep. Foro it., 1967, v. Compensazione, n. 1; Cass. Civ., 14 ottobre 1970, n. 2019, in Rep. Foro it. 1971, v. Obbligazioni in genere, n. 78; Cass. civ., 20 dicembre 1972, n. 3654, in Rep.
Foro it. 1972, v. Obbligazioni in genere, n. 56; Cass. civ., 18 settembre 1972, n. 2748, in Rep. Foro it.
1972, v. Obbligazioni in genere, n. 57; Cass. civ., 12 ottobre 1972, n. 3021, in Rep. Foro it. 1972, v.
Obbligazioni in genere, n. 58; Cass. civ., 24 giugno 1972, n. 2143, in Rep. Foro it. 1972, v. Obbligazioni in genere, n. 61; Cass. civ., sez. lav., 3 dicembre 1984, n. 6320, in Giust. Civ. Mass, 1984; Cass. civ., sez.
lav., 3 novembre 1986, n. 6426, in Giust. civ. Mass. 1986.
344 Cass. civ., 16 maggio 1964, n. 1196, in Rep. Foro it. 1964, v. Compensazione, n. 2.
345 V. per citare solo la prima sentenza a noi nota al riguardo Cass. civ., 14 marzo 1964, n. 578, in Banca,
borsa e titoli di credito, 1964, II, p.172, su cui infra.
346 Sembrano ammetterlo pressocché apertamente Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2009, n. 15796 in Giust. civ.
Mass. 2009, 1042 e Cass. civ., sez. II, 8 agosto 2002, n. 11943, in Giust. civ. Mass. 2002, 1508, le quali
affermano che “Il principio secondo il quale l'istituto della compensazione - postulando l'autonomia dei rapporti cui si riferiscono le contrapposte ragioni di credito delle parti - non trova applicazione nel caso in cui non sussista la predetta autonomia di rapporti per avere origine i rispettivi crediti nell'ambito di un unica relazione negoziale (ancorché complessa) non esclude la possibilità della valutazione, nell'ambito del medesimo giudizio, delle reciproche ragioni di credito e del consequenziale accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite di dare - avere derivanti da un unico rapporto, valutazione che, per contro, può sempre aver luogo ed alla quale, anzi, il giudice deve procedere anche d'ufficio, trovando il detto principio applicazione, per converso, al solo fine di escludere che, a tale operazione, possano
essere opposti i limiti di carattere tanto sostanziale quanto processuale stabiliti dall'ordinamento per l'operatività della compensazione stessa quale regolata, in senso tecnico-giuridico, negli art. 1241 ss. c.c.”
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contrario sono individuati gli effetti che scaturiscono dalla fattispecie, posto che consistono nella (quasi) totale disapplicazione delle regole sostanziali e processuali dettate per la compensazione in senso stretto.
È d’obbligo, d’altronde, anteporre “quasi” poiché, per il vero, non è possibile stilare una disciplina completa ed esaustiva dell’istituto considerato che, nelle pronunce che ne hanno fatto applicazione, sono stati affrontati solo alcuni aspetti della sua disciplina, quelli cioè strettamente necessari alla soluzione del caso concreto. Né, d’altra parte, una maggiore chiarezza è stata fatta a livello dottrinale, poiché raramente ci si è spinti verso una ricostruzione analitica della questione, che andasse oltre ai dettati pretori, dividendosi invero gli interpreti tra chi si limita a dare conto dell’esistenza dell’istituto, chi ne condivide il dictum pur senza spingersi nel fornire l’istituto dell’adeguato supporto motivazionale e chi, invece, ne critica il fondamento347.
Per poter condurre, dunque, un’analisi critica della fattispecie è necessario affrontare inizialmente la giurisprudenza che ne ha fatto applicazione. Giurisprudenza che sembra dividersi in due diversi orientamenti: l’uno che distingue le due forme di compensazione sulla base dell’autonomia dei rapporti da cui traggono origine le obbligazioni e l’altro che ritiene che l’area di operatività della compensazione propria possa estendersi fino al limite del rapporto di sinallagmaticità delle obbligazioni, dato che solo in quest’ultimo caso esse potrebbero dirsi non autonome.
347 Il rilievo riferito alla poca considerazione del tema da parte della dottrina si riscontra anche in BASILONE, Compensazione di crediti reciproci derivanti dalla medesima fonte obbligatoria: la c.d.
compensazione impropria, nota a Cass. civ., sez. III, 25 agosto 2006, n. 18498, in Nuova giur. civ. comm.,
2007, I, p. 461, nonché in DE SANTIS, Debiti derivanti da un medesimo rapporto giuridico e applicabilità
della c.d. compensazione “impropria”, in Corriere giuridico, 2007, p. 808, in nota alla medesima
pronuncia e in MERLIN, Compensazione e processo. II. Il giudicato e l’oggetto del giudizio, Milano, 1994, p. 177, n. 196 la quale sottolinea come “il tema apare nel complesso trascurato dalla dottrina civilistica (nonostante la sua enorme rilevanza pratica)”. La difficoltà che si riscontra nel tentativo di precisare il principio dell’autonomia dei rapporti per l’operare della compensazione è sottolineata anche da AUTERI,
op. cit., p. 38 il quale afferma che individuare ratio e portata del principio “è tutt’altro che facile perché
nelle sentenze che lo hanno affermato si conosce solo la massima che non dice molto. Né maggiori lumi si ricevono da quella dottrina che fra i presupposti della compensazione enumera l’autonomia dei titoli da cui derivano le obbligazioni contrapposte, perché le motivazioni che si incontrano, appena accennate” sono argomenti non decisivi.
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