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Le prime riflessioni e l’esplosione degli studi sul clima organizzativo

CAPITOLO II: Il background della ricerca: il NPM, il clima organizzativo e l’equilibrio

2.2 Il clima organizzativo: dall’origine degli studi agli scenari attuali

2.2.2 Le prime riflessioni e l’esplosione degli studi sul clima organizzativo

Gli studi sul clima furono interrotti dall’avvento del conflitto mondiale e ripresero tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni 6019 (Ashkanasy et al., 2000). Seguendo la traccia aperta da Lewin, la ricerca si concentra sul contesto umano delle organizzazioni20 e sul ruolo della leadership per il clima organizzativo. Argyris enfatizza l’importanza delle variabili situazionali nel determinare il comportamento organizzativo (Schneider & Bartlett, 1970), defininendo il clima come uno “stato omeostatico21” composto da più livelli di analisi (Argyris, 1958: pag. 516), quali le procedure di

selezione, la leadership, gli individui con le loro interazioni, i valori del sistema e la cultura informale. Gli individui tendono, secondo una prospettiva funzionalista, ad adattarsi a tutti questi elementi (Schneider, 1975: pag. 451).

In una simile ottica McGregor (1972) riflette sul rapporto tra leadership e comportamento organizzativo, ipotizzando come i superiori contribuiscano allo sviluppo di percezioni comuni del clima attraverso “indefinibili manifestazioni del modo di comandare” (McGregor, 1972: pag. 147).

18 Questa formulazione è spesso espressa in termini di analisi della varianza includendo sia gli aspetti della persona che dell’ambiente o in una analisi di regressione. Freedheim, D. K., & Weiner, I. B. 2003. History of Psychology .

19 Il 1960 fu definito “magico” per quanto le questioni relative al clima organizzativo suscitassero interesse. Ashkanasy, M. N., Wilderom, C. P. M., & Peterson, F. M. 2000. Handbook of organizational culture and climate..

20 Infatti, in questo periodo: “Si inizia a diffondere nell’organizzazione aziendale una concezione in cui “l’uomo è da considerarsi una risorsa da valorizzare: non più soltanto soggetto passivo di principi di management – peraltro sempre necessari per non ripiombare nel caos organizzativo – ma anche fattore produttivo da scoprire, estraendone le virtù comportamentali e il potenziale innovativo”. Cafferata, R. 2008. Management in adattamento. Tra razionalità economica e imperfezione dei sistemi. Bologna: Il Mulino.

21 La predisposizione alla stabilità (omeostasi) dei sistemi è, secondo Argyris, un problema di grado che può essere definito a seconda dell’apertura del sistema, della complementarietà interna, del potere e della capacità di apprendimento Argyris, C. 1958. Some Problems in Conceptualizing Organizational Climate: A Case Study of a Bank. Administrative Science Quarterly, 2: 501-520.

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Questi studi, sebbene avessero fornito definizioni ed ipotesi di clima, non avevano delineato sufficientemente l’operazionlizzazione del costrutto (Schneider & Bartlett, 1970: pagg. 497-498), aspetto che esplose circa a metà anni 60, dove iniziarono a consolidarsi le diverse linee di ricerca, relative all’approfondimento del costrutto.

La prima definizione compiuta di clima organizzativo viene fornita da Forehand & von Haller (1964), che lo indicarono come “…the set of characteristics that describes an organisation and that (a) distinguish the organisation from other organisations, (b) are relatively enduring over time, and (c) influence the behaviour of people in the organisation”. La visione iniziale del costrutto di clima corrisponde ad una variabile indipendente capace di influenzare il comportamento (Majer & D'Amato, 2005: pag. 9), così come definita dall’impostazione lewiniana, in cui il comportamento è funzione della situazione.

Da questo contributo fondativo si sono delineati due orientamenti di ricerca (Sims Jr & Lafollette, 1975: pag. 371), il primo, positivista, con ipotesi base rappresentata da un rapporto di prevalenza della situazione ambientale sulle percezioni individuali, e l’altro con orientamento soggettivista, con asserto di fondo dato dalla percezione individuale quale caratterizzante le tipologie di clima organizzativo.

L’approccio oggettivo (Sims Jr & Lafollette, 1975: pag. 371) si caratterizza per enfatizzare l’impatto della situazione sul comportamento, richiamando il framework lewiniano secondo cui il soggetto viene influenzato dal contesto in modo non ricorsivo. Secondo gli orientamenti principali di Sells (1963)22 e Bloom (1964) i fattori situazionali o le misure ambientali sono indipendenti dalle percezioni individuali. Attraverso un condizionamento su queste ultime, la struttura organizzativa produce un clima che influenza il comportamento dell’individuo (Majer & D'Amato, 2005). Questa impostazione, che teorizza l’esistenza di correlazioni tra struttura organizzativa e percezioni degli individui (Payne & Pugh, 1976), concepisce la struttura organizzativa come una “bedrock reality” che configura e crea l’atmosfera (Ashforth, 1985: pag. 837) per cui simili contesti forniscono simili percezioni (Schneider & Reichers, 1983, pag. 26). L’oggetto delle ricerche impostate secondo questa visione è focalizzato sulla misura delle variabili organizzative come la dimensione, la struttura, il grado di specializzazione e formalizzazione, la complessità del sistema ed i livelli di autorità. Le variabili organizzative influenzano le percezioni degli individui in modo omogeneo, creando un clima che può differire da organizzazione ad organizzazione in funzione dell’ambiente lavorativo. I risultati di questi studi indicano che le percezioni del clima organizzativo variano tra gli impiegati a differenti livelli di analisi nella gerarchia manageriale (Hellriegel & Slocum Jr, 1974: pag. 274). Il punto di forza di questo orientamento è rappresentato dall’accuratezza e dall’affidabilità delle misure, in quanto oggettive e replicabili. Come punto di debolezza emerge invece l’incapacità di considerare l’influenza delle risorse umane (soggetto) nella creazione del clima organizzativo, che viene messa invece in risalto nella concezione percettiva.

Diversamente infatti dagli studi che analizzano il clima organizzativo come prodotto dell’ambiente, in grado di influenzare le attitudini delle persone, i valori e le percezioni di eventi organizzativi (Schneider & Reichers, 1983: pag. 26) si pone la visione percettiva. Questa teorizza che gli individui sono influenzati dalle loro percezioni, cioè dal significato psicologico che attribuiscono alle caratteristiche organizzative.

Il clima in questa impostazione gestaltista ed interazionista (James, Hater et al. 1978: pag. 747; Sims Jr & Lafollette 1975: pag. 20), si operazionalizza attraverso una focalizzazione diretta sulla rilevazione delle attitudini degli individui in relazione agli aspetti rilevanti del loro work

22 Contrariamente a molti altri interazionisti, Sells era confinato esecutivamente alle dimensioni fisico-sociali delle situazioni ambientali. Ekehammar, B. 1974. Interactionism in personality from a historical perspective. Psychological Bulletin, 81: 1026-1048.

enviroment, rappresentandolo come una variabile che interviene tra le caratteristiche oggettive dell’organizzazione e le motivazioni individuali correlate al lavoro (Sims & LaFollette, 1975)23.

“Litwin & Stringer (1968), Thornton (1969), Schneider & Bartlett (1970), Payne & Pheysey (1971), Meyer (1968), e Friedlander & Margulies (1969) sono gli autori più rappresentativi di questa linea di pensiero” (Sims Jr & Lafollette, 1975: pag. 20).

Tagiuri e Litwin (1968) affermano che il clima è “una qualità relativamente duratura dell’ambiente interno di una organizzazione che è esperienziata dai suoi membri, influenza i loro comportamenti e può essere descritta in termini di valori di un particolare set di caratteristiche o attributi dell’organizzazione” (Ashkanasy et al., 2000: pag. 341; Majer & D’Amato, 2005; Siegel, 1969: pag. 522; Woodman & King, 1978: pag. 817). Il clima si riferisce ad un insieme di proprietà dell'ambiente di lavoro (work environment) percepite, direttamente o indirettamente, dalle persone che vivono e lavorano in questo ambiente e ne influenzano il comportamento e la motivazione (Sims Jr & Lafollette, 1975: pag. 20).

Tagiuri & Litwin in particolare considerano l’originaria definizione di Forehand & Gilmer come inefficiente in quanto non considera l’influenza delle percezioni individuali nel work environment, pochè il clima di una organizzazione è interpretato dai suoi membri in una modalità che influenza le loro attitudini e motivazioni. “Organizational factors such as structure, leadership, managerial practices, and the decision processes are realities. But these realities of the organization are understood only as they are perceived by members of the organization, allowing climate to be viewed as a filter through which objective phenomena must pass (Litwin & Stringer, 1968, p. 43).” (Sims Jr & Lafollette, 1975: pag. 20).

Il clima organizzativo è in questa prospettiva una variabile interveniente che media fattori organizzativi ed il comportamento organizzativo. In accordo con il loro punto di vista il clima percepito suscita la motivazione, causa un comportamento emergente, che porta come risultato a diversi outcome organizzativi come la soddisfazione, la produttività, la ritenzione o il turnover.

Il dibattito circa la contrapposizione tra gli approcci originari allo studio del clima organizzativo è proseguito poi nel corso degli anni (Walter & Ilgen, 2003: pag. 572), anche se le maggiori linee di ricerca si sono orientate verso l’approccio percettivo (Sims & LaFollette, 1975; Muchinsky, 1976). Mentre si tentava di dar risposta a questi interrogativi, nel dibattito sul clima organizzativo ne emergevano altri relativi alla corretta unità di analisi (se dovesse essere l’individuo o l’organizzazione), alla demarcazione del costrutto e alla sua speficità in relazione ad un contesto preciso. Tali dibattiti sono maturati però solo nel decennio successivo.