PENSIERI FUNZIONALI E DISFUNZIONALI, VIRUS MENTAL
13.6. Il primo tipo di virus mentali: le distorsioni cognitive
Questo tipo di “virus mentali” ci induce a dare descrizioni, interpretazioni, spiegazioni non corrette di quello che è successo, che sta succedendo o che succederà in futuro.
Tra i principali “virus mentali” di questo tipo, tutti collegati fra di loro e che possono essere presenti contemporaneamente, vi sono i seguenti:
a. Saltare alle conclusioni. Questo virus opera quando arriviamo troppo in
fretta a opinioni definitive senza avere riflettuto abbastanza o senza esserci informati adeguatamente. Può riguardare le opinioni che gli altri hanno nei nostri confronti o le cause di determinati comportamenti o le probabilità che un’iniziativa abbia successo. Il virus potrebbe agire ad esempio quando, nel nostro dialogo interno, ci diciamo senza dubbi: “Lo ha fatto apposta”, “È successo per colpa mia”, “Si è comportato così perché ce l’ha con me”. Qualcuno di noi potrebbe convincersi che gli amici del suo quartiere, dato che non lo cercano più, non ne vogliano più sapere di lui. Ma un esame più approfondito della situazione potrebbe mettere in luce che gli amici lo stimano ancora, e che è stato lui ad allontanarsi da loro a causa di un periodo di scoraggiamento e di chiusura. Per combattere questo virus è opportuno sforzarsi di considerare le cose in modo più realistico, dicendosi ad esempio: “Ci possono essere altre spiegazioni del loro comportamento.
Cercherò di accertare qual è quella più vicina alla verità” oppure “È un peccato che le cose siano andate così, ma non è certo stata tutta colpa mia”, “Non mi piace come si sono comportati, ma non è detto che non vogliano essere più miei amici”.
b. Giudicare globalmente le persone e non i loro comportamenti. Si è già parlato all’inizio del programma di questo virus, che opera quando giudichiamo noi stessi e gli altri in modo totalmente negativo, ignorando gli aspetti positivi che possono avere. Tale virus è presente ad esempio quando diciamo: “È uno stupido totale”; “È cattivo senza speranze” oppure di noi stessi: “Sono una frana”; “Sono uno stupido che non riuscirà mai in nulla”. Per combattere questo virus mentale occorre sforzarsi di valutare solo i singoli comportamenti, ad esempio dicendoci: “Ho sbagliato in questo, ma posso correggermi” oppure “Si è comportato male, glielo dirò e vedrò se riesco a fare in modo che in futuro si comporti meglio”.
c. Catastrofizzare. Questo virus mentale è all’opera ogni volta che tendiamo
a esagerare gli aspetti negativi di quello che ci succede o che ci potrebbe succedere in futuro, quando ad esempio ci diciamo: “Non può che succedere un disastro”. Per combattere questo virus mentale occorre sforzarsi di rendersi conto che non è saggio concentrare la nostra attenzione sulla cosa peggiore che si potrà verificare in futuro. Ci possiamo dire ad esempio: “C’è il rischio che succeda, ma è inutile che mi preoccupi troppo, tanto non ci posso fare nulla” oppure “C’è un certo pericolo; vediamo se posso fare qualcosa perché la probabilità diminuisca”.
d. Generalizzare. Questo virus è all’opera quando vediamo la realtà in bianco
o nero, senza sfumature di grigio, e quando nei nostri pensieri usiamo termini come “mai”, “sempre”, “tutti”, “nessuno”, ad esempio quando ci diciamo: “Non sono simpatico a nessuno” o “Non mi lasciano mai fare quello che voglio”o “Sono tutti così”. È vittima di questa distorsione cognitiva chi pensa che siccome non è riuscito una volta in una cosa non ci riuscirà mai, che perché è stato rifiutato da qualcuno non riuscirà mai a trovare una persona che lo ami, che perché non è riuscito bene in un lavoro, allora non vale nulla. Ma lo è anche chi pensa che, poiché è riuscito a cavarsela una volta con un’astuzia o un inganno, ci riuscirà sempre, o che, dato che adesso riesce a scuola senza fatica, non dovrà mai impegnarsi più di tanto. Per combattere questo virus mentale occorre sforzarsi di vedere il mondo nella sua interezza e usare termini come “qualche volta, raramente, alcuni, talvolta, in qualche occasione”, ad esempio: “Non sono simpatico a quel gruppetto, ma ci sono altri che stanno volentieri con me”, “Non ci sono riuscito questa volta, ma non è detto che non ci riuscirò mai” oppure: “Questa volta mi è andata bene, ma è meglio che la prossima volta mi prepari meglio”, “In questa cosa non riesco, ma ce ne sono altre in cui posso essere abbastanza bravo”.
e le cose ben fatte o viceversa, ad esempio: “Visto che ho preso un voto basso nel compito sono un pessimo studente”. Occorre, invece, cercare di pensare a tutte le risorse che si hanno, alle cose che si è capaci di fare e ai successi ottenuti.
f. Giudicare in base alle emozioni, cioè credere e basarsi sulle emozioni
che stiamo provando come la prova e la conferma che quello che avevamo pensato sia vero, ad esempio se ci sentiamo depressi significa che quello che avevamo pensato, ad esempio di valere poco, è confermato dalla nostra emozione triste; oppure se si prova rabbia vuol dire che quello che avevamo pensato (es. di aver subito un torto grave) è confermato dalla rabbia stessa, altrimenti non la proveremmo.
g. Sopravvalutare l’importanza di un evento passato o le conseguenze di un evento presente sul futuro. Si tratta di una forma particolare del
virus della generalizzazione, che opera quando ci convinciamo che, se una cosa è successa in passato, è destinata a ripetersi inevitabilmente in futuro e che, se adesso stiamo male per qualcosa, siamo destinati a stare male per sempre o che un evento negativo avrà per noi conseguenze più gravi di quelle che in realtà avverranno. Nel primo caso chiediamoci: “Voglio davvero lasciarmi condizionare dal passato?” “Sono così giovane. È possibile che non possa cambiare, qualunque cosa sia successa?”. Nel secondo caso chiediamoci: Che differenza farà fra una settimana? E fra un anno? E fra dieci anni? Mi importerà ancora?”.
13.7. Esercitazione a tre
Mettiamoci tre a tre. Uno dei tre racconti un episodio in cui gli sembra che qualcuno sia stato vittima di uno dei sette virus mentali descritti sopra. Gli altri due sono d’accordo?
Durata del lavoro a tre: 10 minuti. Alla fine del lavoro a tre, almeno un portavoce sarà invitato a raccontare in plenaria come è andata, che difficoltà hanno incontrato i componenti del suo terzetto, se pensano che la conoscenza di questi sette virus mentali potranno essere utili. Gli altri commenteranno, cercando di dare un feedback costruttivo.
Durata della seconda parte: 10 minuti.
13.8. Il secondo tipo di virus mentali: le pretese assolute
I pensieri disfunzionali possono trarre origine anche da un altro tipo di virus mentale, quello che consiste nel pretendere, nell’esigere che il mondo sia diverso da quello che è, e nel volere ottenere le cose senza fare fatica.
Questi tipi di virus2 sono all’opera quando, come si è già visto nell’Unità 2, si scambiano i nostri desideri per bisogni assoluti. Si manifestano di solito con il fatto che pensiamo che qualcosa sia terribile, o tremendo, ad esempio quando ci diciamo: “È terribile che mi abbia detto di no” o “È insopportabile che non ce l’abbia fatta”, “Devo avere assolutamente quello che voglio, altrimenti è insopportabile” o “Gli altri mi devono trattare sempre bene, altrimenti è un ingiustizia disgustosa”. Sarebbe meglio che ci abituassimo a dirci: “Mi piacerebbe che…” o “Sarebbe bello, sarebbe preferibile se…” o “Se le
cose non vanno come voglio io, è spiacevole, ma posso sopportarlo, andrò avanti e cercherò di fare qualcos’altro di valido” o “Si tratta di una cosa spiacevole o anche dolorosa, ma che può essere superata” o “Posso non avere certe cose e vivere bene lo stesso”.
Abbiamo veramente bisogno dell’approvazione, dell’ammirazione e anche dell’amore degli altri, o di essere trattati con giustizia, o di aver successo, o, più in generale, di raggiungere i nostri obiettivi? Certo è meglio, è desiderabile essere amati da tutte le persone da cui vorremmo esserlo; è meglio, è desiderabile vivere in un mondo in cui tutti si comportano con giustizia ed equità; è meglio, è desiderabile raggiungere i nostri obiettivi e raggiungerli con facilità, senza troppi ostacoli sulla strada, ma se trasformiamo i nostri desideri in pretese assolute, possiamo andar incontro a grossi guai, ad esempio convincerci che, se qualcuno non ci apprezza, non potremo più accettarci o essere felici o che, se non otteniamo ciò che desideriamo, saremo dei falliti.
È importante convincerci che non vi sono bisogni, ma solo preferenze, aspirazioni e desideri. Riuscire a raggiungere i propri obiettivi può ovviamente essere causa di soddisfazione e di gioia. Ma è meglio non dipendere dal successo.
Consideriamo il caso in cui uno dei nostri desideri non venga soddisfatto, ad esempio che un ragazzo (o una ragazza) che ci piace non ne voglia sapere di mettersi con noi o, peggio, che ci lasci o che scopriamo di non avere talento musicale e quindi di non potere mai imparare a suonare bene la chitarra. Dovremmo per questo disperarci? Un minimo di saggezza ci dice che non dovremmo trattare noi stessi più duramente di quanto tratteremmo i nostri amici con le stesse esperienze e difetti e che qualunque cosa accada, abbiamo il diritto e il dovere di accettare noi stessi.
L’autoaccettazione porta ad essere più contenti, aumenta le probabilità di successo e riduce l’ansia, la rabbia e la depressione. Accettare se stessi rende più
facile accettare gli altri, sebbene non sempre possano piacerci i comportamenti altrui. L’auto accettazione ha un ruolo importante nel motivare se stessi a raggiungere certi obiettivi e nella gestione delle relazioni.
Quando pensi di non valere niente, sforzati di trovare un pensiero razionale alternativo come: “Non sono una persona perfetta, sono fallibile con pregi e difetti come tutte le altre persone. Proverò a non rendere ancora più triste me stesso”.
Molti individui, che soffrono di depressione e di bassa auto accettazione e autostima, cascano in modelli di pensiero irrazionali e in dialoghi interni che portano a odiare se stessi. Il problema di fondo di queste persone è migliorare se stesse o imparare ad accettare se stesse? La risposta è: lavorare per accettare costantemente se stessi per poi migliorare se stessi.
In linea di massima esistono quattro contenuti delle pretese disfunzionali, che ciascuno di noi ha in diverso grado e combinazione.
a. La competenza e il successo. “Devo assolutamente riuscire, altrimenti non mi posso accettare (o gli altri non mi accettano)”; “Devo assolutamente essere il migliore, altrimenti sono un fallito”. L’ambizione ad essere bravi, a raggiungere l’eccellenza è veramente positiva, ma la sua esagerazione può diventare controproducente, perché può indurre a sacrificare aspetti importanti della vita, a reagire male di fronte ad eventuali insuccessi, a fare troppi sforzi e a dedicare troppo tempo per miglioramenti poco importanti. Se ti dici che devi fare una cosa, cioè se esigi assolutamente di riuscire a
fare qualcosa, è più facile che provi un’ansia eccessiva che ti rende meno efficiente; se non ci riesci, è poi più facile che ti possa demoralizzare molto e anche deprimere.
b. L’atteggiamento degli altri. “Tutte le persone importanti per me mi devono assolutamente amare”; “La gente deve assolutamente avere una buona opinione di me”; spesso dietro questa pretesa vi è un’eccessiva dipendenza dal giudizio degli altri, come se il proprio valore dipendesse completamente dal giudizio degli altri. Chi pensa: “Non devo assolutamente mostrare nessun segno di debolezza” con il sottinteso: “altrimenti sarebbe vergognoso, orribile” è vittima di questo tipo di pretesa disfunzionale. Lo è anche chi è convinto di non doversi mai mostrare in disaccordo con gli
altri, con il sottinteso che: “Altrimenti mi rifiuterebbero e ciò sarebbe segno che non valgo nulla”. Chi è incline alla depressione spesso crede che ciò che determina il suo valore sia al di fuori di se stesso, e può pensare: “Ho
assolutamente bisogno di essere amata per accettarmi e avere una vita soddisfacente”; oppure: “Non posso tollerare che non mi ami, è un disastro”. Se pensiamo che qualcuno deve assolutamente fare qualcosa
per noi, ad esempio che “Dovrebbe capire come mi sento”, con ogni probabilità riusciremo ad essere meno efficaci nell’ottenere dall’altro quello che vogliamo e, se non lo farà, andremo più facilmente incontro a collera e risentimento. Invece di dirci: “Avrebbe dovuto capire come mi sentivo”, proviamo a dirci: “Avrei preferito che capisse come mi sentivo”; costateremo che le nostre reazioni saranno diverse, più di dispiacere e di rammarico che di rabbia, e che ci sentiremo più capaci di essere assertivi (vedi l’Unità 7).
c. Il mondo. “Devo assolutamente avere subito tutto ciò di cui mi sembra di avere bisogno”; “Tutto quello che mi serve deve assolutamente essere disponibile”; “Non devo in nessun modo essere costretto a fare fatica, a superare ostacoli”; “È ingiusto e inaccettabile che debba rinunciare a questa cosa che mi piace”. Si tratta di una pretesa che porta spesso a rimandare, a procrastinare gli impegni e che è alla base di una delle sorgenti maggiori di infelicità a lungo termine, cioè la mancanza di autodisciplina, l’incapacità di rinunciare a piaceri immediati o di fare sacrifici e sforzi nel presente per avere vantaggi maggiori in futuro (vedi l’Unità 10). La vita è piena di fastidi, di seccature, di compiti faticosi e noiosi. Accettarli, se è necessario per conseguire i nostri obiettivi o evitare grossi guai, aiuta a raggiungere stati di vera serenità, di legittimo orgoglio di sé, di vera soddisfazione per la propria vita.
d. Il controllo. “Devo assolutamente controllare tutto quello che può accadere”; “Devo assolutamente evitare ogni rischio”. Niente sarà mai assolutamente sicuro. Si tratta ovviamente di una pretesa che può essere paralizzante e che ci impedisce comunque di vivere una vita piena.
e. Il danno. La pretesa di chi pensa ed è convinto di aver subìto un danno e
che deve essere risarcito, quindi: “Deve soddisfare tutti i miei desideri o bisogni, perché mi ha fatto soffrire”.
È controproducente anche tormentarsi per come le cose dovrebbero essere. Angustiarsi troppo perché le cose non sono come dovrebbero essere o perché non siamo come dovremmo essere ci fa stare male e non ci aiuta a risolvere i nostri
problemi. Mettiamo in dubbio ogni “devo” e ogni “non posso tollerare che”. Perché le cose dovrebbero proprio essere come desideriamo? È senz’altro spiacevole che le cose siano diverse da come le vorremmo, ma non è necessariamente una catastrofe; è meglio cercare di cambiare la situazione o, se proprio si decide che per il momento è troppo difficile o rischioso o inefficace fare qualcosa, lasciare per il momento da parte il problema e dedicarsi ad altro.
13.9. Esercitazione a tre
Mettiamoci di nuovo tre a tre, tra persone che si conoscono abbastanza bene e si fidano l’una dell’altra. Uno dei tre dica una cosa di cui pensa di avere bisogno e quindi discuta con gli altri se si tratta davvero di un bisogno, senza il quale non può vivere decentemente, o di un desiderio, che può arricchire la sua vita ma di cui potrebbe fare a meno.
Durata del lavoro a tre: 7 minuti. (Si ricorda che un esercizio analogo è già stato fatto all’inizio di questo programma, nell’ambito dell’Unità 2).
Alla fine almeno un portavoce sarà invitato a raccontare in plenaria come è andata, che difficoltà hanno incontrato i componenti del suo terzetto e se pensano che la conoscenza di questi virus mentali delle pretese potrà essere utile. Gli altri commenteranno, cercando di dare un feedback costruttivo.