IL SISTEMA PREVIDENZIALE AMERICANO
4.1 Principali caratteristiche
Come indicato in precedenza, a seguito degli interventi attuati dalle varie riforme intraprese nell’ultimo ventennio, l’Italia ha cominciato quel processo che dovrebbe portarla ad adeguarsi ad un sistema previdenziale radicato essenzialmente su tre pilastri, il primo pubblico e obbligatorio, gli altri facoltativi complementari, con una linea molto sottile di demarcazione fra il secondo ed il terzo. Il “sistema Italia” è chiaramente un sistema dove il peso del welfare state è molto forte, per questo motivo il passaggio sopramenzionato potrebbe risultare di difficile attuazione o comunque richiedere un lungo periodo di tempo per essere portato a compimento. A questo proposito può essere utile un confronto con paesi culturalmente diversi dal nostro, di stampo anglosassone, che, a causa di storie profondamente diverse, presentano un impianto statale totalmente differente. La differenza del sistema stato si riflette, chiaramente, anche su quello che è il sistema previdenziale che con il peso dello stato nell’economia è strettamente connesso. Un confronto utile può essere quello fatto con il sistema previdenziale americano, vale a dire il primo stato che ha sviluppato un sistema di previdenza privata collettiva, da sempre basato sul sistema della capitalizzazione. Curioso è osservare come, mentre in Italia si cercava di introdurre il sistema previdenziale obbligatorio, negli USA nasceva il primo piano pensionistico complementare, creato da “The American Express Company” nel 1889. Il sistema pubblico obbligatorio nasce invece anni dopo,
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precisamente nel 1935 introdotto dal presidente Roosvelt, il sistema prende il nome di social security e copre il 96% dei lavoratori attivi negli Stati Uniti; a fronte di un contributo fisso per tutti gli aderenti, 6,2% per il lavoratore dipendente e 6,2% per il datore di lavoro, 12,4% per il lavoratore autonomo, eroga prestazioni crescenti al diminuire del reddito medio percepito dal lavoratore nell’arco dell’intera vita lavorativa, da un minimo del 20% per i lavoratori più ricchi fino ad un massimo dell’80%. Un lavoratore con reddito medio può prevedere di percepire un sussidio di pensionamento pari al 40% del suo reddito medio sull’arco della vita lavorativa (Social security administration 2013, A). Per quanto riguarda l’età di pensionamento è posta a 65 anni per i nati prima del 1938, essa aumenta gradatamente fino ai 67 anni per i nati dal 1960 in avanti. E’ possibile posticipare la pensione fino ai 70 anni guadagnando crediti speciali per ogni mese in cui non si percepisce il sussidio, crediti che andranno ad incrementare l’ammontare della pensione (Social security administration 2013, B). Comprendere come funziona il sistema americano può essere utile per non cadere nell’errore di credere che l’importazione totale del modello possa avere il medesimo successo anche in Italia; un esempio può essere quello rappresentato dai numeri sugli occupati negli Stati Uniti dal 1970 al 1999, passati da 78,7 milioni a 146,7 milioni, con un rapporto tra pensionati e occupati passato dal 3,0% al 3,1% (Department of Labor, website). Numeri non paragonabili a quelli dell’economia italiana che negli stessi anni ha visto gli occupati passare da 18,7 milioni a 20,8 con un rapporto tra pensionati e occupati nel 1999 sceso all’1,26 dall’1,7 (INPS, ISTAT, website). Oltre al social security appena indicato il sistema americano si compone di altri due pilastri, la cui distinzione è molto sottile, tanto da poter essere ricompresi in uno solo della previdenza complementare essendo entrambi a base volontaria. Chiaramente a necessitare in maniera più significativa di questo tipo di previdenza saranno i lavoratori a medio ed alto reddito che trovano nella social security una copertura minore. Questa volontarietà fa si che il lavoratore scelga tra la forma previdenziale in grado di offrirgli rendimenti maggiori per quando andrà in pensione, questo aspetto fa si che la concorrenzialità fra le forme previdenziali sia molto accesa
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facendo si che l’offerta sia molto vasta per andare incontro alle diverse esigenze dei lavoratori. Tra i principali strumenti del sistema previdenziale americano vanno ricordati i piani collettivi a beneficio definito, i piani collettivi a contribuzione definita, i piani pensionistici individuali a contribuzione definita e le annuity. I piani collettivi a beneficio definito sono sicuramente i piani più diffusi negli USA, anche se il trend attuale sta conducendo ad una loro progressiva riduzione. La non eliminabilità di questi fondi è dovuta al fatto che la copertura della previdenza obbligatoria è molto bassa e questi tipi di piani rappresentano una fonte di reddito sicura per i sottoscrittori. In questo caso è la prestazione spettante al lavoratore ad essere definita in sede di stipulazione del contratto; essa è rappresentata da una formula decisa dallo sponsor del fondo, ad esempio i piani definiti come final average pay (FAP) vedono la loro rendita mensile calcolata moltiplicando il numero di anni lavorati con il salario percepito al momento del pensionamento moltiplicato per un fattore conosciuto come
accrual rate (United States Code (USC)). La sicurezza della prestazione è data da una forma di riassicurazione, stipulata presso la pension benefit guaranty
corporation, che il fondo è obbligato a sottoscrivere (COVIP 2002, A); in questo
modo è garantita sia la stabilità finanziaria che l’erogazione delle prestazioni. I piani collettivi a contribuzione definita sono, invece, dei piani in cui i benefici ottenuti da ciascun aderente dipendono dai contributi versati e dai guadagni derivanti dagli investimenti, a queste componenti vanno dedotte le spese di gestione ed eventuali perdite. Essi sono sponsorizzati dai datori di lavoro, e i contributi, versati dal datore di lavoro o dal lavoratore, confluiscono in un conto separato per ogni partecipante (Internal Revenue code). I contributi sono successivamente investiti nei mercati finanziari e dopo il pensionamento il lavoratore riceverà un rendita spesso attraverso l’acquisto di una annuity , un contratto finanziario in forma di prodotto assicurativo. Alcuni esempi di questa tipologia di piani sono i piani 401 (k); in questa tipologia di piani il risparmio previdenziale è assicurato dal datore di lavoro e dedotto dallo stipendio del lavoratore prima delle tasse con un limite di 17500 $ l’anno. Fra i piani individuali a contribuzione definita il più importante è sicuramente l’IRA,
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individual retirement account, un piano individuale offerto da molte istituzioni finanziarie, solitamente siglato dal lavoratore accanto ad un piano collettivo. Il versamento annuale massimo è fissato a 5500 $, l’investitore può scegliere di investire in qualunque prodotto del mercato finanziario ad eccezione dei prodotti del ramo vita offerti dalle compagnie di assicurazione (Internal Revenue Service 2012) . Questo tipo di previdenza individuale è solitamente utilizzata dai lavoratori più ricchi rispetto a quelli che sottoscrivono esclusivamente i 401(k), l’agevolazione fiscale di questi strumenti è inoltre decrescente all’aumentare del reddito del sottoscrittore. Come accennato in precedenza negli ultimi anni i piani a contribuzione definita stanno costantemente aumentando rispetto a quelli a beneficio definito, percepiti come sempre più rischiosi dai datori di lavoro e per questo sempre meno sponsorizzati. Distinguendo tra piani individuali e piani collettivi va notata invece la preferenza del legislatore per i secondi, incentivati grazie a una minor pressione fiscale, sia in termini di soglie di deducibilità che di esenzione fiscale.