• Non ci sono risultati.

La riforma Fornero e le prospettive della previdenza complementare

TassoTFR= 1,5% + 75% inflazione

1.5 La riforma Fornero e le prospettive della previdenza complementare

Come detto in precedenza la Riforma Fornero costituisce uno degli ultimi interventi in materia previdenziale, anch’esso finalizzato alla riduzione dell’impatto della spesa previdenziale sulla spesa pubblica e al tentativo di

30

arginare quell’andamento negativo del tasso di sostituzione; andamento che, secondo stime, potrebbe portarlo al 44,40% entro il 2050.

Grafico n°6:

Per quanto riguarda l’adeguatezza delle prestazioni la riforma ha tentato di rendere dipendenti all’aumento della vita attesa due fattori, l’età di pensionamento e l’importo della rata annuale della prestazione pensionistica. L’aumento della vita attesa ha due effetti opposti sulla prestazione pensionistica a seconda che a variare sia il periodo di pensionamento o l’età di pensionamento. Dato, infatti, un capitale da convertire in rendita e una determinata età di pensionamento, l’aumento della durata del periodo di pensionamento farà diminuire la prestazione previdenziale visto che il capitale dovrà generare una rendita per più anni. Viceversa un aumento dell’età di pensionamento farà aumentare la prestazione, sia per i maggiori contributi versati, sia per la riduzione

31

del periodo di godimento della pensione. Le norme ora vigenti determinano una sostanziale costanza della durata del periodo di pensionamento ed un aumento, proporzionale alla speranza di vita media, del periodo lavorativo; in altre parole, quindi, è previsto un aumento graduale del periodo contributivo. Va detto a proposito che, nonostante sia certamente vero che le generazioni più giovani godranno di trattamenti pensionistici in media più bassi, l’effetto di riduzione delle pensioni di base, determinato dalle riforme degli anni ’90, risulta adesso attenuato. Questa conclusione pone sicuramente l’accento su un aspetto molto importante; le implicazioni e gli scenari che si prospettano per la previdenza complementare (COVIP 2011). In particolare bisogna considerare che il tasso di crescita del Pil, parametro al quale è agganciata la rivalutazione delle pensioni di base, dovrebbe risultare più basso di quanto previsto dalla Ragioneria Generale dello Stato. Se così fosse, ci sarebbe una rilevante incertezza circa la possibilità che i trattamenti pensionistici di base calcolati con il nuovo metodo siano effettivamente crescenti rispetto a quelli calcolati con le vecchie regole. In questo contesto quindi rimane inalterato il ruolo della previdenza complementare; consentire, grazie a versamenti addizionali a quelli della previdenza di base, “più

elevati livelli di copertura previdenziale” . Questa considerazione va però

inserita all’interno dell’andamento dell’economia italiana negli ultimi anni, andamento che vede una grande difficoltà a intraprendere un sentiero di crescita. Questa difficoltà, se da un lato può portare ad una “sensibilizzazione” verso il risparmio previdenziale, dall’altro rende necessaria un analisi su quali possano essere gli assetti previdenziali più idonei a favorire, o quantomeno non ostacolare, il processo di crescita. A ciò va aggiunto che, per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, le aliquote per il finanziamento della previdenza pubblica sono in Italia nettamente più alte rispetto a quelle vigenti nei principali paesi industrializzati (OCSE 2011).

32

Grafico n°7

L’alta percentuale di reddito da destinare al finanziamento della previdenza di base, il così detto primo pilastro, pone forti dubbi sul fatto che i diversi settori produttivi siano in grado di sostenere la diffusione generalizzata della previdenza complementare, che infatti in Italia rimane a livelli ancora troppo modesti nonostante le forti opportunità di sviluppo offerte dal settore. A tal proposito un taglio dei contributi sociali, dall’attuale 32,7% ad un più basso 30%, auspicato da Boeri e Pisauro in un recente articolo, potrebbe portare, oltre che ad un aumento della domanda interna, anche a un più marcato sviluppo della previdenza complementare (Boeri, Pisauro, 2014). Con aliquote così alte infatti, risulta difficile per un lavoratore a basso reddito destinare una parte di questo alla previdenza complementare, considerando le esigenze di consumo che possono colpirlo: in una condizione di crisi economica, inoltre, la tradizionale funzione di riserva del TFR viene più apprezzata rispetto ai benefici, di lungo periodo, che una sua destinazione alla previdenza complementare genera. In questa situazione

33

la previdenza complementare potrebbe stentare a decollare, rimanendo limitata a quelle fasce che già oggi ne beneficiano. Questo nonostante l’ormai diffusa convinzione, supportata da istituzioni internazionali e da esperti di sistemi previdenziali, che un sistema a più pilastri sia più solido ed affidabile rispetto ad uno composto solo dalla previdenza pubblica. In particolare l’argomento della differenziazione sembra essere il più convincente; differenziazione dovuta ai diversi rischi che colpiscono i vari pilastri, rischi di tipo demografico colpiscono la previdenza pubblica, basata spesso sul sistema a ripartizione, mentre, per quanto riguarda la previdenza privata, sono i rischi di mercato ad essere influenti dal momento che essa si basa su un sistema a capitalizzazione che va ad investire i contributi sui mercati finanziari. La differenziazione risulta in particolare più auspicabile per i lavoratori più giovani; con la nuova riforma infatti la rivalutazione dei contributi del primo pilastro avviene al tasso di crescita del PIL, non investire in una previdenza complementare significherebbe concentrare il rischio su un unico fattore. L’investimento in una previdenza complementare offrirebbe inoltre maggiori opportunità di lungo periodo, dovute alla possibilità di investire i contributi anche su mercati finanziari non domestici. Lo sviluppo della previdenza complementare è quindi certamente auspicabile, soprattutto vista la nuova situazione previdenziale delineata dalla riforma Fornero; è certamente vero però che essa vada stimolata, sia sotto l’aspetto culturale, facendo capire ai lavoratori più giovani la necessità di destinare parte del proprio reddito a forme previdenziali alternative, sia sotto l’aspetto istituzionale, favorendola con agevolazioni di tipo fiscale o comunque improntate alla riduzione dei costi previdenziali del primo pilastro.

35