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I L PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM : RECENTI SVILUPPI GIURISPRUDENZIALI INTERNI E PROFILI PROCESSUAL

1.- Tentativi di applicazione del diritto sovranazionale e resistenze interne

Come si è avuto modo di vedere, a fronte delle numerose tensioni interpretative che si riscontrano in materia di divieto di doppio giudizio, testimoni delle evoluzioni dei diversi ordinamenti giuridici in materia, il ruolo dello Stato come legislatore principale di presupposti e limiti di operatività del ne bis in idem, soprattutto se considerato come una libertà fondamentale, deve essere necessariamente rimeditato ed inserito nel quadro di tutela “multilivello”: nel capitolo precedente si è sottolineato che grazie all’integrazione raggiunta in ambito europeo, la tutela del ne

bis in idem ha conosciuto nuovi (e inaspettati) livelli di effettività, sganciati dalle

categorie formali del diritto penale nostrano, che si riflettono sulla ratio dell’istituto in esame e ne impongono una riconsiderazione sistematica418.

Tale aspetto ha ovviamente comportato una serie di conseguenze intese come resistenze e difficoltà di recepimento interno del preminente ruolo ritagliato a giudice e giurisprudenza sovranazionale.

Infatti, se in origine la questione poteva ritenersi di puro diritto interno, confinata nel dialogo fra voci dottrinali e giudici nazionali, e il profilo internazionale di essa dipendeva sostanzialmente dai suoi legami con la disciplina dell’estradizione, ad oggi il tema del ne bis in idem merita di essere rivalutato e nuovamente ricostruito alla luce dei variegati orientamenti interpretativi che ne offrono la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea: difatti, sebbene operanti su assetti normativi diversi dal Codice di procedura penale, tuttavia condizionano l’interpretazione della fonte nazionale.

Si potrebbe disquisire a lungo dei “tormentati” rapporti tra le fonti normative europee e al dialogo in materia tra le Corti nazionali e sovranazionali, già in parte

418 Per la prospettiva di tutela “multilivello”, DI STASI,Garanzie “multilivello” e tutela sostanziale nella CEDU, in Di Stasi (a cura di), CEDU e ordinamento italiano. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento interno, Padova, 2016, 6.

analizzati ed approfonditi, ma quello che più preme è la dinamicità di questi rapporti, tali da alimentare idee nuove, propulsive di interpretazioni rispettose degli irrinunciabili equilibri tra diritto interno e diritto sovranazionale nel tentativo di abbozzare una risposta –seppur mutevole per via della materia– alle dinamiche che condizionano il rapporto tra fonti europee ed interne419.

La complessa opera di recepimento interno dei principi e delle linee guida, che sconta una naturale avversione e ritrosia del sistema nazionale per via di meccanismi e impostazioni stratificate negli anni e ben difficili da modificare, mostra un quadro composito, effervescente (perché attinente a settori fondamentali del diritto, strettamenti aderenti alla realtà di tutti i giorni) e variegato, che si sofferma sulla disamina dei valori fondamentali: ma allo stesso tempo non si può negare come le questioni siano anche altre e ben più significative, quali le ripartizioni di competenze tra Unione europea e Stati membri, nonché la primazia o meno delle fonti dell’Unione europea420.

Si tratta, in breve, di temi di estrema attualità che, pur traendo matrice dal diritto, hanno indubbie radici socio-politiche, ed è anche attraverso questo tipo di inquadramento sistematico che vanno letti alcuni arresti giurisprudenziali ed interpretate alcune prese di posizione interne.

Una preliminare constatazione, è rappresentata dal fatto che l’irrompere nel panorama giuridico interno del diritto sovranazionale possa, in ipotesi, rendere ancor più complessa e complicata la ricerca della certezza del diritto, nel senso che la prevedibilità e la stabilità delle decisioni diviene più difficile da raggiungere, tenuto conto che il giudice si trova a doversi districare in un reticolo normativo multilivello che necessariamente considera anche le norme sovranazionali421.

Assicurare la stabilità delle decisioni in nome della nomofilachia, costituisce infatti uno degli obbiettivi primari per il sistema, e ciò a prescindere che si tratti di tradizione giuridica di common law o di civil law con le relative conseguenze in

419 GIUNCHEDI, Loquacità, moniti silenzi e ripensamenti nella dialettica tra Corti, in Giunchedi (a

cura di), Rapporti tra fonti europee e dialogo tra Corti, Pisa, 2018.

420 Ancora GIUNCHEDI, Loquacità, moniti silenzi e ripensamenti nella dialettica tra Corti, cit. 421 MANES, Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni tra diritto e fonti sovranazionali, Roma,

punto di vincolatività del precedente giurisprudenziale, nel tentativo di offrire una chiave di lettura per la risoluzione delle vicende processuali che verranno e per consentire all’interprete e, prima ancora, alle parti di prevedere l’esito di una vicenda giudiziaria: il tutto riassumibile anche nel concetto di prevedibilità del giudizio e dell’eventuale pena, propugnato a più riprese dalle Corti sovranazionali. Sembrerebbe a prima vista, quindi, che immettere ulteriori fonti (quelle sovranazionali ed eurounitarie) non possa che aumentare il disordine sul piano ermeneutico: in realtà, però, la valorizzazione dei diritti fondamentali anche attraverso l’ausilio dell’attività legislativa e giurisprudenziale delle alte Corti deve guidare l’attività del giudice interno. D’altronde è lo stesso giudice delle leggi che, pur ribadendo il proprio ruolo di paladino dei valori fondamentali del nostro ordinamento, esorta il giudice a proferire gli sforzi alla ricerca di un’interpretazione europeisticamente conforme422 che non perda di vista, però, il «predominio

assiologico della Costituzione sulla CEDU»423, aspetto quest’ultimo che sposta il

baricentro verso una discutibile posizione di retroguardia.

Comunque, a tacer di ulteriori considerazioni dettate da altri leading cases, si può affermare che law in the books e law in action sono ancora a latitudini differenti e che i possibili motivi di un dialogo internazionale tra Corti ed operatori di sistema rimasto allo stato embrionale, potrebbero ricercarsi nel fatto che addentrarsi da parte del legislatore in determinati contesti comporta una fastidiosa invasione di campo in settori che risentono maggiormente delle scelte politiche e delle ideologie ad esse connesse424.

La prima constatazione da farsi è che i settori dove si registra un dialogo tra Corti vanno aumentando, posto che è sempre più avvertita la necessità di uniformare i princìpi interni con quelli degli altri Paesi che hanno deciso di fruire della medesima base garantistica costituita dai diritti fondamentali della Convenzione europea, oltre che ad ottemperare alle altre fonti normative dell’Unione europea.

422 Così esemplarmente le citate sentenze gemelle del 2007 (n. 348 e n. 349) e del 2009 (n. 311 e n.

317).

423 In tal senso, Corte cost., 26 marzo 2015, n. 49.

Il compromesso in realtà dovrebbe canalizzarsi positivamente in un arricchimento delle tradizioni giuridiche interne e sovranazionali finalizzato ad un’incorporazione reciproca e volto alla massima espansione dei diritti e delle tutele del singolo individuo.

Ma poste queste premesse metodologiche, l’idea di fondo che emerge è che la dialettica tra Corti tende a manifestarsi in modo assai variegato, talvolta con ricchezza di soluzioni, quasi ad “imporre” ai singoli Stati quella da adottare; talaltra lanciando dei moniti e palesando sanzioni in assenza di adeguamento; altre volte ancora il dialogo non si è realizzato o quantomeno non si è adeguatamente sviluppato lasciando “campo libero” ad interpretazioni anche assai antitetiche con i princìpi europei; in altri casi vi sono stati dei ripensamenti425.

425 Cfr. DINACCI, Giudice terzo ed imparziale quale elemento “presupposto” del giusto processo tra Costituzioni e fonti sovranazionali, in Giunchedi (a cura di), Rapporti tra fonti europee e dialogo tra Corti, Pisa, 2018.

2.- L’impatto della casistica della Corte di Strasburgo

Si è già avuto modo di analizzare l’incidenza di alcuni dei più famosi leading cases provenienti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: è però opportuno considerare che l’impatto di questo tipo di giurisprudenza sovranazionale è in realtà potenzialmente ancor più ampio e vasto (verrebbe da dire sconfinato ed illimitato), data la molteplicità di Paesi e di ricorrenti che si rivolgono alla Corte alsaziona e considerata la continua evoluzione interpretativa che accompagna l’operato dei giudici, tale da rendere particolarmente farraginoso “tenere il passo” ed adeguarsi per i singoli Paesi aderenti alla Convenzione.

Per restare in tema, quanto all’applicabilità dell’art. 4 protocollo aggiuntivo n. 7, nei vari settori più disparati la Corte di Strasburgo è stata chiamata ad intervenire chiarendo come dovesse interpretarsi tale disposizione: il che, d’altra parte, ha sollevato ulteriori questioni circa il recepimento interno di tali interpretazioni, seppur emerse nell’ambito di procedimenti estranei alla situazione giuridica italiana.

Esemplificativamente.

In riferimento ai procedimenti disciplinari, la Corte si è pronunciata su una serie di casi riguardanti i condannati/perseguiti per reati e che sono anche oggetto di un procedimento disciplinare. Nella sentenza Kremzow c. Austria426, la Corte ha

rilevato che il Tribunale di disciplina non “condannava” di per sé il ricorrente per i reati in questione: il compito del tribunale di disciplina era sostanzialmente limitato all’esame della questione se nel caso del ricorrente quale giudice a riposo la commissione dei gravi reati di cui era stato dichiarato colpevole costituisse anche un reato disciplinare. A parere della Corte, le sanzioni disciplinari sono state le sanzioni tipiche che molti Stati contraenti hanno previsto negli statuti disciplinari dei funzionari in questi casi, ovvero la revoca dei diritti connessi allo status

426 Corte E.d.u., Quinta Sezione, 29 maggio 1997, Friedrich Kremzow c. Austria. Il caso riguardava

un giudice in pensione condannato per omicidio. Successivamente, in un procedimento disciplinare, gli stessi fatti sono stati posti alla base della contestazione disciplinare, tanto che lo stesso ricorrente è stato condannato alla perdita di tutti i diritti connessi alla sua precedente posizione di giudice, compresa la perdita dei suoi diritti pensionistici. Il ricorrente, dunque, lamentava la possibile violazione del principio di ne bis in idem.

professionale di dipendente pubblico, compresa la perdita dei diritti pensionistici: di talché, non potendosi qualificare il procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente come ulteriore procedimento “penale”, si è ritenuto che non si dovesse applicare l’articolo 4 del protocollo n. 7.

A simili conclusioni, e quindi volte alla netta divisione tra sanzioni disciplinari e sanzioni penali, si è pervenuti nei casi Kurdov e Ivanov c. Bulgaria427, in cui la

Corte ha constatato che la prima serie di procedimenti disciplinari non soddisfaceva i criteri per essere classificata come penale ai sensi del l’articolo 4 del protocollo n. 7, nonostante l’analisi per cui le caratteristiche del reato in questione erano comunque basate su un assetto tipicamente disciplinare (§ 42). Valutazioni analoghe relative a sanzioni disciplinari sono riscontrabili anche nella sentenza

Luksch c. Austria428 in tema di sospensione temporanea dell'esercizio della

professione di contabile, Banfield c. Regno Unito429 sempre riguardo il

licenziamento di un agente di polizia e la decadenza dai diritti pensionistici, e Klein

c. Austria430 in punto di sanzione penale e diritto ad esercitare la professione di

avvocato.

In tema di revoca della patente di guida in seguito a condanna penale, la Corte di Strasburgo, nel caso Hangl c. Austria431, ha rilevato che la revoca della patente di

guida del ricorrente costituisce una misura preventiva ma non di natura penale e, di conseguenza, ha ritenuto che il ricorrente non fosse stato giudicato o punito nuovamente per un reato per il quale era già stato condannato in via definitiva. Invece nella vicenda Nilsson c. Svezia432, in cui il ricorrente era stato

condannato per guida in stato di ebbrezza e per guida senza patente (con

427 Corte E.d.u., Quarta Sezione, 23 agosto 2011, Kurdov e Ivanov c. Bulgaria. I ricorrenti, impiegati

della compagnia ferroviaria nazionale bulgara, impegnati nell’effettuazione di alcune saldature su un carro, davano fuoco allo stesso. Sulla base di ciò, era stato intrapreso un procedimento amministrativo contro uno dei richiedenti per inosservanza delle norme di sicurezza con annessa condanna al pagamento di un'ammenda. In seguito erano stati intentati procedimenti penali nei confronti di entrambi i richiedenti per aver incendiato deliberatamente oggetti di valore.

428 Corte E.d.u., Prima Sezione, 17 luglio 2008, Luksch c. Austria.

429 Corte E.d.u., Quarta Sezione, 18 ottobre 2005, Banfield c. Regno Unito. 430 Corte E.d.u., Prima Sezione, 3 marzo 2011, Klein c. Austria.

431 Corte E.d.u., Terza Sezione, 20 marzo 2001, Hangl c. Austria. Il ricorrente era stato condannato

per aver superato il limite di velocità e condannato al pagamento di un'ammenda; successivamente, poche settimane dopo l’accaduto, la sua patente era stata temporaneamente ritirata per due settimane.

conseguente ritiro della patente di guida per 18 mesi), la Corte ha rilevato che, poiché quest'ultima misura era stata adottata diversi mesi dopo la condanna penale, il suo scopo non era unicamente volto alla prevenzione ed alla protezione della sicurezza degli utenti della strada, bensì aveva anche un chiaro carattere punitivo, donde la necessità di dichiararne il carattere penale (nonostante il ritiro della patente in Svezia fosse classificato come misura prettamente amministrativa) ed il divieto di applicare una duplice sanzione ai medesimi accadimenti.

Nel caso Palmen c. Svezia433, in materia di revoca del porto d’armi, la Corte aveva

sottolineato che la revoca della licenza di porto d’armi del ricorrente non costituiva, né per la sua natura né per la sua gravità, una sanzione penale ai sensi dell’articolo 4 del protocollo n. 7, e ciò in quanto tale sanzione, di carattere amministrativo ai sensi del diritto nazionale, non è una conseguenza automatica della condanna penale, che non costituisce il fattore decisivo per la revoca della licenza da parte delle autorità, tenendo inoltre in considerazione che l’obiettivo della misura era preventivo piuttosto che punitivo e che il richiedente non dipendeva professionalmente dalla licenza. Un approccio analogo è stato adottato anche nella causa Manasson c. Svezia434 per quanto riguarda la revoca di una licenza di guida

per violazione degli obblighi fiscali da parte del ricorrente.

In materia di permessi di soggiorno, nel caso Davydov c. Estonia435, la Corte ha

ritenuto che il rifiuto di concedere un permesso di soggiorno sia una misura amministrativa che non costituisce una sanzione penale ai sensi dell'articolo 4 del protocollo n. 7.

Quanto all’interazione tra un procedimento disciplinare in carcere (che nello specifico aveva comportato l’isolamento del detenuto per 21 giorni) e nozione di

433 Corte E.d.u., Terza Sezione, 18 febbraio 2006, Palmen c. Svezia. il ricorrente era stato condannato

per aggressione al suo partner. In seguito, l'autorità di polizia aveva revocato la sua licenza per armi da fuoco, sostenendo che non era idoneo a possedere un’arma perché l’aggressione era da considerarsi più grave in quanto la violenza aveva avuto luogo in circostanze domestiche e nei confronti di una persona con cui il ricorrente aveva stretti rapporti.

434 Corte E.d.u., Quarta Sezione, 20 luglio 2004, Manasson c. Svezia.

435 Corte E.d.u., Terza Sezione, 13 maggio 2005, Davydov c. Estonia. Il richiedente non aveva

ottenuto il permesso di soggiorno in parte a causa di precedenti condanne penali, lamentando una duplicazione di sanzioni penali in merito.

sanzione penale, nel caso Toth c. Croazia436, la Corte ha statuito che la procedura

disciplinare non era di natura penale, e che la reclusione in isolamento non aveva prorogato il periodo di detenzione del ricorrente e quindi non aveva comportato un'ulteriore privazione della libertà personale, ma solo un aggravamento delle condizioni della sua detenzione.

In tema di violenza negli stadi e lotta al fenomeno di c.d. hooliganismo, nel caso

Seražin c. Croazia437, la Corte ha rilevato che nel diritto nazionale croato la misura

di esclusione operava indipendentemente da un’azione penale e da una condanna di una persona e che la sua applicazione non ne era una conseguenza diretta di qualsivoglia procedimento penale: in realtà, sostengono i giudici di Strasburgo, la misura di esclusione dagli stadi era stata applicata per prevenire una minaccia futura di possibili violenze durante gare sportive o eventi analoghi a beneficio della sicurezza pubblica. Questa natura prevalentemente “preventiva” della misura di esclusione associata alla sua durata e alle modalità di applicazione, nonché alla sua gravità (imposizione di un'ammenda o di una privazione della libertà solo in caso di inosservanza) ha portato alla conclusione che non si trattasse di una sanzione prettamente penale ed all’inapplicabilità dell’art. 4 del protocollo n. 7: in aggiunta, la Corte ha osservato che tale strumento è particolarmente utilizzato anche nel diritto internazionale e comparato in materia, ponendo un forte accento sul carattere preventivo delle misure di esclusione nel contesto della soppressione e prevenzione del tifo violento.

Addirittura in materia di procedimento di impeachment, nel caso Paksas c.

Lituania438, la Grande Chambre della Corte è stata chiamata a pronunciarsi in tema

di possibile bis in idem, sostenendo che il procedimento di impeachment contro il presidente della Repubblica per una grave violazione della Costituzione o una

436 Corte E.d.u., Prima Sezione, 9 luglio 2002, Toth c. Croazia.

437 Corte E.d.u., Prima Sezione, 8 novembre 2018, Seražin c. Croazia. Il caso riguardava

l’applicazione di quello che in Italia è il Daspo (v. infra), ovvero l’irrogazione di misure di esclusione che vietavano al ricorrente di partecipare a determinate partite di calcio e lo obbligavano a presentarsi alla stazione di polizia più vicina quando si svolgeva la competizione sportiva in questione, che facevano seguito alla condanna della ricorrente in procedimenti d'infrazione di minore entità per violenza negli stadi.

violazione del giuramento presidenziale, che comporta la sua rimozione dalla carica ed impedisce allo stesso di presentarsi alle elezioni, non rientrava nell’ambito della della sfera penale e dunque era da considerarsi estraneo agli articoli 6 e 7 della convenzione e dell'articolo 4 del protocollo n. 7.

Quanto appena enunciato rappresenta solo una parte del mare magnum su cui è stata interpellata la Corte E.d.u. negli ultimi anni circa la possibile violazione del divieto di doppio giudizio, il che spiega bene come il nostro ordinamento abbia dovuto in un certo qualmodo rimboccarsi le maniche e adottare strumenti di recepimento interni in alcuni casi, ed allo stesso tempo (manifestando un modo di approcciarsi al diritto sovranazionale piuttosto d’antan) meccanismi di difesa dei propri valori e delle tradizioni giuridico-culturali, per ristabilire una primazia politica-giudiziaria.

3.- La risposta interna alla marea sovranazionale: il concetto di giurisprudenza “consolidata”

Quanto appena segnalato nelle pagine precedenti permette di far ulteriore luce sul difficile adeguamento interno agli obblighi internazionali, sempre più vasti e diversificati anche a seconda dei singoli casi e degli ordinamenti coinvolti.

Per arginare, o comunque provare a porre un freno credibile all’ondata di sentenze provenienti da Strasburgo con relativa interpretazione dei principi vincolante ai sensi degli artt. 42 e 46 C.e.d.u., negli ultimi anni il giudice nostrano è stato in un certo qualmodo costretto a rivisitare il rapporto tra le fonti, plasmando, in vece del legislatore, spesso -e colpevolmente- silente o -a conti fatti- inadeguato, criteri e meccanismi ultronei rispetto al mero e freddo dato normativo.

Si è spesso osservato ed enfatizzato in materia l’orientamento “protezionistico” che la Corte costituzionale è andata sviluppando nella sua giurisprudenza sull’articolo 117, co. 1, della Costituzione appunto con riguardo alla portata e agli effetti del vincolo legislativo di osservanza degli obblighi internazionali di natura pattizia, a dispetto delle manifestate aperture verso il principio di massima espansione delle garanzie quale canone generale e presupposto di interpretazione439, degli strumenti

di protezione dei diritti fondamentali. Un protezionismo che, forse, ha finito per condizionare l’attitudine complessiva del sistema italiano e delle Corti in particolare nella considerazione dei rapporti tra l’ordinamento costituzionale e le fonti extra ordinem, nel loro complesso, rifuggendo da una logica di sistema ed unitaria440.

L’osservazione della relativa applicazione nella giurisprudenza costituzionale successiva alle citate sentenze gemelle del 2007, e delle ricadute sul piano legislativo e sulle decisioni dei giudici comuni consente di avanzare alcune ipotesi sul retaggio delle sentenze citate.

439 Cfr. D’AMICO, La massima espansione delle libertà e l’effettività della tutela dei diritti, in Pin (a

cura di) Il diritto e il dovere dell’uguaglianza. Problematiche attuali di un principio risalente, Napoli, 2015, 17 ss.

440 Cfr.COLACINO, Obblighi internazionali e ordinamento costituzionale a dieci anni dalle sentenze gemelle: breve cronaca di un lungo assedio, in Giunchedi (a cura di), Rapporti tra fonti europee e dialogo tra Corti, Pisa, 2018.

Appare evidente come la Corte costituzionale del 2007 intendesse, da un lato, introdurre un nuovo assetto di rapporti tra le fonti internazionali pattizie e l’ordinamento costituzionale e, dall’altro, ribadire la centralità del proprio ruolo di interprete unico sul piano domestico delle possibili contaminazioni provenienti dall’Europea convenzionale: infatti la norma convenzionale, seppur elevata al

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