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1.3 Aspetti teorici del Risk management

1.3.1 Principio di irrilevanza del Risk management secondo Modigliani e Miller

Iniziamo quindi la trattazione storica del tema partendo dalle considerazioni poste da Modigliani e Miller. L’utilità del risk management è stata, infatti, criticata dagli economisti Franco Modigliani e Merton Miller26 (1958) sulla base di quello che è stato definito il principio di irrilevanza del risk management (irrelevance principle). Gli autori traggono questa conclusione nel momento in cui analizzano le scelte di finanziamento dell’impresa, ossia le scelte volte a definire la struttura finanziaria della stessa. Definire la struttura finanziaria dell’impresa (o struttura del capitale) significa decidere che peso deve assumere il capitale di rischio (equity) e il capitale di debito tra le fonti di finanziamento dell’azienda. Durante la trattazione di questo tema si vedrà come l’assunzione di capitale di debito sia caratterizzata da benefici ma anche da rischi intrinseci. Infatti, ricollegandosi alla prassi di impresa, è comune osservare come le imprese cerchino di ridurre o comunque contenere entro un livello sostenibile il loro tasso di indebitamento per ridurre il rischio corrispondente. Tuttavia nella formulazione di Modigliani e Miller, in presenza di mercati perfetti e, soprattutto, in assenza di imposte, è possibile dimostrare come la politica di finanziamento delle imprese sia irrilevante, ossia non porti a benefici in termini di valore. Successivamente si vedrà come, anche considerando la presenza di imposte, il modello di Modigliani e Miller non analizzi la necessità di gestire il rischio intrinseco ad un elevato livello di indebitamento se non vengono presi in considerazione i costi del dissesto. Se si seguisse la teoria di Modigliani e Miller si avrebbe, quindi, una prima giustificazione del principio di irrilevanza dell’adozione di tecniche di gestione dei rischi d’impresa (segnatamente con riferimento al rischio di indebitamento).

L’autorevolezza della teoria di Modigliani e Miller è però fondata, come è stato anticipato, sulla definizione di una serie di ipotesi molto forti che sono state messe spesso in discussione perché, nonostante abbiano lo scopo di fornire solidità e coerenza dal punto di vista matematico alla formulazione dei due autori, non trovano riscontro nelle condizioni di mercato e nella complessità degli ambienti di business con cui le imprese e i singoli individui si confrontano quotidianamente.

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F. Modigliani, M. Miller, 1958, The Cost of Capital, Corporate Finance and the Theory of Investment, The

Alla base della formulazione della teoria di Modigliani e Miller sulla struttura finanziaria delle imprese da cui è stato derivato il principio di irrilevanza sta l’ipotesi principale di esistenza di un mercato perfetto, da cui è possibile declinare le seguenti condizioni:

assenza di imposizione fiscale;

assenza di costi del dissesto finanziario;

opportunità simmetriche di accesso al credito e assenza di costi di transazione; Presenza di mercati perfetti

La prima e più forte ipotesi postulata da Modigliani e Miller è la presenza di un mercato perfetto. L’ipotesi di condizioni di mercato perfetto è la più importante delle condizioni di esistenza adottate nella costruzione dei modelli economici della scuola neoclassica. Nello specifico, un mercato perfetto viene identificato in letteratura come un mercato che accorpa le seguenti due caratteristiche: è un mercato efficiente27 e contemporaneamente è un mercato completo28. Da questo postulato fondamentale è possibile declinare le restanti ipotesi fondamentali della teoria di Modigliani e Miller.

Assenza di imposizione fiscale

La seconda ipotesi prevede l’assenza di imposizione fiscale sia sui redditi delle imprese che sui redditi degli individui. Con riferimento alle imprese, sulla base di questa condizione, i due economisti hanno dimostrato (ponendosi come obiettivo la massimizzazione del valore dell’impresa) l’irrilevanza della composizione della struttura finanziaria (suddivisione tra capitale di debito e capitale di rischio) delle imprese. Da tale ipotesi è possibile desumere

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Mercato efficiente: la connotazione di efficienza del mercato si ottiene nel momento in cui il flusso di informazioni relativo a beni e attività finanziarie – che determina variazioni nei prezzi – è immediatamente trasmesso al mercato ed è disponibile per tutti gli operatori del mercato in egual misura. Tale caratteristica preclude la possibilità che si formino asimmetrie informative tra gli operatori del mercato.

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Mercato completo: la connotazione di mercato completo, direttamente derivante dalla condizione di efficienza, si ottiene nel momento in cui è possibile acquistare nel mercato qualunque combinazione di rischio- rendimento associata a beni e attività finanziarie, evitando la possibilità di arbitraggi (la possibilità, cioè, di sfruttare asimmetrie nella formazione dei prezzi - dovute alle asimmetrie informative - per acquistare un bene o un’attività finanziaria in un mercato e rivenderlo immediatamente in un altro mercato per ottenere un profitto senza sopportare rischi o costi di transazione).

che la struttura finanziaria ottimale dovrebbe essere costituita al 100% da capitale di rischio (equity). E’ importante sottolineare che Modigliani e Miller hanno rimosso tale ipotesi in una seconda formulazione della loro teoria dimostrando, al contrario, come in presenza di imposte (quindi di introduzione di una nuova fonte di costo per le imprese) la struttura finanziaria ottimale, cioè quella che massimizza il valore dell’impresa (la somma del valore di mercato del debito e del valore di mercato dell’equity) non dovrebbe essere costituita al 100% da equity per la presenza del beneficio fiscale legato all’indebitamento a sua volta dovuto alla deducibilità fiscale degli interessi sul debito contratto. Modigliani e Miller hanno dimostrato, infatti, che la struttura finanziaria ottimale è quella che minimizza il carico fiscale.

Questo concetto può essere chiarito utilizzando la seguente rappresentazione grafica della struttura finanziaria di due imprese analoghe per caratteristiche:

Figura 1.1 – Struttura finanziaria e introduzione delle imposte.

Impresa priva di debito (unlevered) Impresa indebitata (levered)

Fonte29

In questa rappresentazione vengono considerate due imprese il cui valore di mercato è dato dalla somma del valore del capitale azionario e del valore del capitale di debito (indicati dall’area della torta destinata all’equity, contrassegnata dalla lettera E e dall’area destinata al debito, contrassegnata dalla lettera D). Si ipotizza che la dimensione della torta sia analoga per le due imprese (quindi, implicitamente, si fissa il valore massimo per le due imprese) e si

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Adattamento Figura 15.4 tratta da Politiche Finanziarie e Strategie di Investimento, Università Ca’ Foscari Venezia, McGraw-Hill, 2012, pag. 457.

Equity (E) Tax (T) Equity (E) Tax (T) Debt (D)

introducono le imposte societarie, rappresentate dall’area della torta indicata con la lettera T. Considerando le imposte si introduce un nuovo costo per le imprese che va a ridurre il reddito prodotto dalle stesse. Per le ipotesi formulate i due economisti dimostrano che la struttura finanziaria che massimizza il valore è quella per cui il carico fiscale è minore. Come è evidente anche dal grafico, la struttura finanziaria ottimale non sarà composta esclusivamente da equity, ma anche da debito. Introducendo l’ipotesi della fiscalità d’impresa si desume quindi che il debito assume rilevanza nelle decisioni di assetto finanziario delle imprese, rispetto alla prima formulazione della teoria. La rilevanza è dovuta, come è stato anticipato, dalla presenza del beneficio fiscale dell’indebitamento. L’impresa che vuole massimizzare il proprio valore dovrà perciò minimizzare il proprio carico fiscale contraendo anche debito in quanto, a parità di EBIT (Earnings Before Interest and Taxes), il carico fiscale (le imposte che si dovranno pagare) è minore per l’impresa con reddito imponibile minore. L’impresa con reddito imponibile minore, nella rappresentazione grafica che è stata creata, sarà l’impresa che ha contratto debito in quanto può dedurre gli interessi e giungere a un minore EBT (Earnings Before Taxes)30.

Dalle precedenti considerazioni si può concludere che, se l’obiettivo di massimizzazione del valore implica la minimizzazione del carico fiscale (o alternativamente la massimizzazione del beneficio fiscale) e se l’impresa mirasse a mantenere comunque un posizione di utile, la struttura finanziaria ottimale dovrebbe essere costituita quasi completamente da debito. Questa affermazione è stata smentita sia dalla successiva letteratura in materia, sia dall’analisi delle strutture finanziarie delle imprese nei vari contesti economici. Il motivo è legato al fatto che Modigliani e Miller non hanno considerato nella loro formulazione il peso dei costi del dissesto e del fallimento che verranno analizzati nel punto successivo31.

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Implicitamente si ipotizza un ammontare di interessi sul debito inferiore all’EBIT e un’aliquota fiscale sui redditi d’impresa inferiore al 100% per permettere all’impresa di conseguire un utile dopo il pagamento delle imposte.

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Nella sezione intitolata “Financial distress” verrà affrontato il problama dei costi del dissento finanziario analizzando la ricerca condotta da G. David Haushalter, Randall A. Heron e Erik Lie intitolata Price uncertainty

Assenza di costi del dissesto finanziario

La terza ipotesi implicitamente considerata da Modigliani e Miller nella loro formulazione teorica è l’assenza di costi del dissesto e del fallimento. Come è stato anticipato, in presenza di imposte sui redditi societari, le imprese sono incentivate a contrarre debito per massimizzare il beneficio fiscale che è funzione crescente del rapporto di indebitamento. Tuttavia all’aumentare del livello di indebitamento aumentano una serie di rischi per l’impresa a cui corrispondono una serie di costi attuali e potenziali che possono condurre al dissesto della stessa e, nella peggiore delle ipotesi, al fallimento. Le imprese dovrebbero, quindi, indebitarsi considerando, da un lato, i vantaggi del beneficio fiscale del debito e dall’altro lato dovrebbero considerare che l’assunzione di debito genera impegni inderogabili per l’impresa: il pagamento periodico degli interessi e la restituzione del capitale32. Il cosiddetto “servizio del debito”, ossia l’attività volta a far fronte a tali impegni inderogabili, dipende da diversi fattori, dalla performance dell’impresa e, in ultima istanza, dalla capacità di generare flussi di cassa adeguati. E’ intuibile, quindi, che la decisione di aumentare il rapporto di indebitamento deve essere definita, programmata e scadenzata in modo opportuno per non incorrere, ad esempio, in deficit di cassa che possono pregiudicare o perfino impedire il servizio del debito e generare una condizione di dissesto. In situazioni di dissesto vengono a generarsi una serie di costi che possono essere suddivisi tra:

 costi del dissesto diretti;

 costi del dissesto indiretti.

Costi del dissesto diretti

I costi del dissesto diretti sono rappresentati sia da costi amministrativi (spese amministrative e contabili) sia da spese legali (ad esempio per parcelle di avvocati e per perizie di esperti) che vengono sostenuti per risolvere i contenziosi che si vengono a generare tra l’impresa e i soggetti prestatori di capitale a titolo di debito e, in caso di

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L’emissione di capitale di rischio, al contrario, non genera obblighi simili nell’impresa in quanto gli azionisti non hanno diritto alla corresponsione dei dividendi, il cui pagamento resta una decisione volontaria del

fallimento, anche tra l’impresa e le altre categorie di stakeholder (tra cui i fornitori e lo Stato) che vantano dei crediti verso la società.

Costi del dissesto indiretti

I costi del dissesto indiretti possono manifestarsi, ad esempio, a causa della rottura dei rapporti commerciali con i clienti e, in particolare, con i fornitori, i quali venendo a conoscenza della situazione di dissesto dell’impresa possono essere propensi a interrompere i rapporti commerciali con la stessa. Questi soggetti valuteranno rispettivamente la capacità dell’impresa di garantire le consegne attuali e future (i clienti) e la capacità di saldare le forniture già accordate (i fornitori). L’impresa sarà quindi posta nella condizione di dover sostenere una serie di costi (o in modo speculare, a dover rinunciare a una parte dei profitti) per rinegoziare i contratti in essere in modo da mantenere il parco clienti e fornitori in essere. Potrebbe essere inoltre costretta a sostenere costi per ricercare nuovi fornitori e nuovi sbocchi commerciali per i propri prodotti.

Un’altra forma di costi indiretti del dissesto si genera internamente all’impresa. Essa è dovuta all’adozione da parte del management di comportamenti subottimali e non efficienti in termini di valore per l’impresa. Questo atteggiamento dei manager operanti in imprese che fronteggiano un periodo di dissesto è stato definito con l’espressione “politiche egoistiche” del management. Questo atteggiamento si sostanzia generalmente in tre tipologie di comportamenti inopportuni:

 propensione ad intraprendere investimenti rischiosi;

 propensione al sotto-investimento;

 propensione a “mungere la proprietà”33.

In tutti e tre i casi i manager dell’impresa in dissesto mettono in atto azioni che, in modo sub-ottimale, avvantaggiano esclusivamente gli azionisti (o addirittura, come nel secondo caso, nemmeno essi) a discapito dei portatori di capitale di debito e del valore complessivo dell’impresa. Bisogna ricordare, infatti, che il management ha la scopo di amministrare

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Mungere la proprietà: questo termine indica la propensione dei manager di imprese in dissesto a pagare dividendi straordinari o a effettuare altre forme di pagamenti agli azionisti sottraendo così liquidità che sarebbe utile per risolvere in parte la condizione di difficoltà della società.

l’impresa nel suo complesso per garantirne la continuità nel tempo. Tuttavia il primo portatore di interessi a cui i loro sforzi sono diretti è proprio l’azionista e, in situazioni di difficoltà dell’impresa, si può notare come spesso il management sia indotto a perseguire gli interessi esclusivamente di questa categoria a discapito degli altri portatori di interessi. Questo è un classico esempio di manifestazione di asimmetrie informative 34 e costi di agenzia tra azionisti e obbligazionisti 35. La categoria degli obbligazionisti, conoscendo quella che potrebbe essere la propensione del management in periodi di dissesto, si difende richiedendo un tasso di rendimento superiore sui capitali che concedono all’impresa e, specificamente, il tasso di rendimento richiesto dagli obbligazionisti sarà maggiore per le imprese con un tasso di indebitamento più alto. Un maggiore costo del capitale di debito implica un maggiore costo del capitale complessivo dell’impresa (quindi del tasso utilizzato per l’attualizzazione dei flussi di cassa futuri necessario ai fini della valutazione dell’azienda) con effetti negativi sul valore di mercato della stessa. Quindi, in ultima istanza, è possibile affermare che i costi delle “politiche egoistiche” vengono sopportati dagli azionisti.

Dopo l’analisi dei costi del dissesto finanziario è possibile affermare che Modigliani e Miller, non considerando esplicitamente questa tipologia di imperfezione del mercato nella loro formulazione teorica, non abbiano, in sostanza, tenuto conto della rischiosità intrinseca dell’indebitamento. La rischiosità del debito si può infatti manifestare in specifiche tipologie di rischi di tipo finanziario che dipendono sia dalle caratteristiche del soggetto finanziato sia dalla tipologia del finanziamento; essi sono rappresentati generalmente dal rischio di

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Per asimmetria informativa si intende la condizione dei soggetti interni all’impresa, in particolare i manager, i quali hanno a disposizione informazioni più complete inerenti l’organizzazione dell’impresa nel suo complesso rispetto ai soggetti esterni e al mercato. I manager hanno inoltre a disposizione maggiori informazioni rispetto agli stessi azionisti e il problema si manifesta nel momento in cui i manager sfruttano queste informazioni per fini personali e non nell’interesse dell’organizzazione (tra i principali contributi accademici si ricorda il modello elaborato nel 1984 dagli economisti S.C. Myers e N.S. Majluf per la definizione della strategia di finanziamento delle imprese il quale tiene in considerazione il problema delle asimmetrie informative).

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La teoria dei costi di agenzia, formulata dagli economisti Michael Jensen e William H. Meckling nel 1976, descrive il problema di conflitto di interesse tra gli individui facenti parte di un’organizzazione nel momento in cui un soggetto (definito principale), delegata un altro soggetto (definito agente) ad operare per suo conto. Il conflitto di interessi tra principale ed agente può scaturire dalla divergenza nelle finalità dei due soggetti e questa divergenza di obiettivi può generare dei costi (i costi di agenzia appunto) sopportati da tutta l’organizzazione nel suo complesso. Questo problema è stato analizzato in letteratura sia con riferimento al rapporto tra detentori di capitale di rischio (azionisti) e detentori di capitale di debito, sia tra azionisti e

management analizzandone le possibili differenze in termini di obiettivi e i comportamenti che ne

credito, dal rischio di liquidità, dal rischio di tasso e dal rischio di cambio36. Per quanto riguarda specificamente i costi del dissesto si ricorda come, nella realtà, vengono adottate tecniche propedeutiche per ridurne la portata e gli effetti negativi le quali verranno trattate nel paragrafo dedicato alle market imperfections.

L’affermazione che la struttura finanziaria ottimale delle imprese deve essere costituita per la maggior parte da debito è, perciò, errata, data la presenza dei costi del dissesto (i quali possono essere mitigati ma non del tutto eliminati). La struttura finanziaria ottimale deve, infatti, considerare la rischiosità intrinseca del debito e ponderare adeguatamente benefici e costi dell’indebitamento. Al riguardo, la dottrina suggerisce, come prassi, di cercare di stimare il rapporto di indebitamento ottimale della singola impresa a cui corrisponde il massimo livello di indebitamento sopportabile dalla stessa. Oltre tale limite il valore del beneficio fiscale del debito è inferiore al valore dei costi del dissesto con conseguenti effetti depressivi sul valore di mercato dell’azienda.

Opportunità simmetriche di accesso al credito e assenza di costi di transazione

La terza ipotesi su cui è stata costruita la formulazione di Modigliani e Miller è data dalla condizione per cui imprese e individui possono accedere al credito allo stesso tasso di interesse e, inoltre, non sono presenti costi di transazione nell’accesso al mercato del credito. Non è necessario dilungarsi sul merito di questa ipotesi in quanto è facilmente riscontrabile come nella realtà l’accesso alle fonti di finanziamento avvenga a costi diversi per imprese e individui e le diversità si riscontrano anche all’interno di ciascuna categoria. I soggetti prestatori di capitale di debito, ad esempio gli istituti di credito, valutano come prassi la capacità individuale di servire il debito contratto, ossia la solvibilità del soggetto finanziato e il rischio connesso: il rischio di credito. E’ inoltre possibile riscontrare come nella realtà esistano anche costi di transazione per accedere al mercato dei capitali, diversi a seconda della forma di finanziamento ricercata.