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Il problema della demarcazione

2. La teoria della conoscenza proposizionale nell'ambito dell'ibrido informazionale

2.2. Il problema della demarcazione

Nel paragrafo precedente abbiamo introdotto la concezione standard della conoscenza proposizionale in filosofia analitica, investigandone sommariamente anche alcune relazioni con gli altri due tipi di conoscenza evidenziati. È tuttavia importante sottolineare che il profilo ontologico classico non è l'unico utilizzabile per tentare una classificazione della conoscenza. Potremmo infatti specificarne tipologie diverse a seconda, per esempio, delle differenti categorie di giustificazione o di credenza. Più importante ancora però è distinguere la conoscenza in base all'ambito disciplinare di appartenenza. In questo senso è possibile isolare una conoscenza scientifica, quella cioè

pertinente alle discipline scientifiche propriamente dette, e una conoscenza non scientifica, quella cioè che banalmente rimane esclusa da tale specificazione. La possibilità di esplicitare chiaramente una simile distinzione riveste un'importanza fondamentale e ha dato origine in letteratura al cosidetto problema della demarcazione, che in sintesi può essere formulato come: «esiste una cosa chiamata conoscenza scientifica, che di fatto rappresenta il paradigma, - per dirla alla Kuhn, - della conoscienza tout-court, che si distingue nettamente da tutti gli altri tipi di conoscenza e il problema filosofico e scientifico che la riguarda è precisarne univocamente le condizioni di determinazione.» Nel precisare queste condizioni si viene anche con tutta probabilità a identificare il metodo attraverso il quale si può ottenere tale conoscenza anche se, in linea generale, una simile assunzione potrebbe rivelarsi falsa, come tra poco sarà evidenziato. Addirittura alcuni, gli empiristi logici per esempio, si sono spinti oltre e hanno identificato la conoscenza scientifica come l'insieme della conoscenza prodotta da metodi scientifici. Ovviamente così facendo non si compie un gran passo avanti se non nel dover fornire poi a tavolino una lista di metodi scientifici, quindi deputati alla produzione della conoscenza116. Tale operazione di fatto equivale a spostare il problema dalla sfera metafisica a quella ontologica nella quale si crede sia possibile, in modo sufficientemente banale, elencare tutta una serie di metodi con le relative caratterizzazioni. Ma stabilire per l'appunto quali siano questi metodi o le proprietà che li determinino, è tutt'altro che facile e pericolosamente circolare nel senso che si potrebbe essere tentati di definire un metodo scientifico solo se prodotto da una serie di comportamenti e cognizioni scientifiche, riutilizzando così di fatto la definizione che faticosamernte avevamo cercato di aggirare. Del resto i tentativi fatti in letteratura per caratterizzare la conoscienza scientifica, quali per esempio l'introduzione del principio di verificazione da parte del circolo di Vienna, o quello di falsificazione a opera di Popper, né tanto meno le posizioni di stampo realista o anti-realista emerse nel corso della seconda metà del Novecento, anche se hanno avuto il pregio di affinare l'analisi intorno al problema non sono esenti da aporie che non permettono in ogni caso di corroborare tutte le teorie scientifiche che la stessa scienza ritiene tali.

Difficile del resto dare torto a tutti i filosofi che si sono affannati nel corso degli ultimi decenni a precisare le condizioni di demarcazione poiché la posizione che

116 Cosa che gli empiristi logici hanno fatto senza per questo mettersi al riparo da aporie particolarmente fastidiose. Si veda a riguardo: P. Parrini, Conoscenza e realtà. Saggio di filosofia positiva, Laterza, Roma-Bari, 1995; Ed. rivista e ampliata, Knowledge and Reality. An Essay in Positive Philosophy, Kluwer Academic Press, Dordrecht, 1998.

privilegia la conoscenza scientifica come conoscenza per eccellenza, è tutto sommato un valore culturale del senso comune117. Banalmente quando andiamo dal medico ci aspettiamo di, o ci andiamo per essere curati e quando premiamo il pedale del freno alla guida di un autoveicolo ci aspettiamo e verifichiamo che il nostro mezzo stia frenando. Tutto questo tradotto significa che la conoscenza scientifica, ovvero quella oggetto delle condizioni di demarcazione, si differenzia da tutti gli altri tipi di conoscenza in quanto riesce a instillare nell'essere umano una fiducia ragionata (nel caso del medico), o una

quasi certezza (nel caso dell'utilizzo del freno) che alcuni eventi o fatti accadano in

conseguenza di qualcosa che noi possiamo fare o che possiamo percepire: se mi accorgo che piove, banalmente, so che uscendo mi potrei bagnare. Ma non è tutto: la conoscenza scientifica, a differenza di altri tipi di conoscenza, riesce non solamente a descrivere un fatto, bensì a fornirne anche una spiegazione che, formalizzata, origina una teoria con la quale, solitamente, è possibile effettuare delle previsioni e queste ultime sono fondamentali poiché ci dicono qualcosa del mondo che prima non sapevamo o che non avevamo mai concepito.

La capacità dunque di elaborare previsioni che puntualmente possono essere esaminate, è in definitiva ciò che distingue, almeno a livello naïve, la conoscenza scientifica da quella che scientifica non può dirsi. Nel dire questo non vogliamo certo sottovalutare il pericolo insito in una simile presa di posizione: già nel 1968 Giulio Preti nella sua ultima opera118 aveva sottolineato il rischio del confondere la scienza con la predizione, rischio che poteva portare il senso della conoscenza (scientifica) a una regressione allo stadio ancestrale della profezia, del mito e finanche della magia. E neppure vogliamo declinare la conoscenza scientifica in chiave esclusivamente finalistica, cosa che avvalorerebbe la tesi, epistemologicamente rigettabile, di una scienza definitivamente tecnicizzata o di una supremazia ontologica della tecnica sulla scienza119. Tuttavia il potere di predizione della scienza è un qualcosa che non serve solamente a influenzare il comportamento dell'uomo, bensì narra all'uomo qualcosa che egli di per sé, cioè con le sue sole capacità cognitive, non potrebbe rilevare. E questo qualcosa è il futuro. La predizione consente all'uomo di investigare ciò che accadrà con predefiniti margini di errore. In questo forse sta la maggiore differenza tra scienza e

117 C. Geertz, "Common sense as Culture", cit.

118 G. Preti, Retorica e Logica, Einaudi, Torino, 1968: pp. 17-20. Ripreso da E. Melandri, La Linea e il Circolo. Studio Logico- Filosofico sull'Analogia, Quodlibet, Macerata, 2004: pp. 447.

profezia o magia: tutte e tre sono certamente fallibili ma solo la scienza è in grado di stabilire la tipologia, la quantità e l'approssimazione degli errori commessi. La scienza dunque riesce a trovare in sé le fondamenta del proprio non sapere e lo fa in modo condiviso, replicabile e puntuale. Tuttavia una certa predisposizione al mito o alla

profezia permane tutt'oggi anche in settori altamente avanzati della scienza dove risulta

assai problematico isolare condizioni di demarcazione accettabili. Si consideri, per esempio, la teoria delle stringhe, una branca della fisica teorica, appartenente a quelle che si chiamano teorie di grande unificazione, che pretenderebbe di spiegare il mondo sulla base dell'ipotesi fondante che ogni particella esistente altro non sia che uno dei possibili modi di vibrazione di corde e membrane infinitesimali120. Ebbene a tutt'oggi tale teoria non solo non ha prodotto alcun asserto verificabile o falsificabile ma neppure ha saputo spiegare le ragioni fondanti delle sue numerose ipotesi di lavoro alla luce di una, se pur minima, relazione con gli eventi naturali empiricamente osservabili121. Come ebbe già a dire in un'intervista nel 1987 Richard Feynmann riferendosi ai fisici teorici che se ne occupavano122:

Non mi piace che non calcolino nulla. Non mi piace che non verifichino le loro idee. Non mi piace il fatto che per ogni cosa che è in disaccordo con l'esperimento inventino una spiegazione – una sistemazione per poter dire «Be', può ancora essere vera». Per esempio, la teoria richiede l'esistenza di dieci dimensioni. Bene, può esistere un modo per arrotolare sei dimensioni. Certo, questo è possibile matematicamente, ma perché non sette? Quando scrivono le loro equazioni, è l'equazione a decidere quante di queste dimensioni devono essere arrotolate, non il desiderio di trovare un accordo con l'esperimento. In altre parole, nella teoria delle superstringhe non esiste una ragione qualunque per cui non siano otto le dimensioni che devono essere arrotolate dando come risultato soltanto due dimensioni, cosa che sarebbe in completo disaccordo con l'esperienza. Quindi il fatto che possa essere in disaccordo con l'esperienza è una questione piuttosto delicata, non produce nulla; deve essere giustificato la maggior parte delle volte. Questo non mi sembra essere corretto.

La teoria delle stringhe dunque è o non è una conoscenza scientifica? Secondo le condizioni di demarcazione più in voga la risposta sarebbe negativa. Ma provate voi a dirlo ad alcune tra le menti più brillanti che la seconda metà del Novecento abbia prodotto, che per alcuni decenni si sono affannate a studiare una cosa che assomiglia molto più all'astrologia che alla fisica! E se una conoscenza non è in alcun modo utilizzabile per fare delle previsioni su come funziona il mondo come può ancora essere

120 B. Greene, The Elegant Universe: Superstrings, Hidden Dimensions, and the Quest for the Ultimate Theory, Vintage books, 2000. Tr. it. L'Universo Elegante, Einaudi, Torino, 2000.

121 P. Wolt, Not Even Wrong, The Failure of String Theory and the Continuing Challenge to Unify the Laws of Physics, Basic Books, 2006. Trad. It. Neanche Sbagliata, Codice Edizioni, Torino, 2007.

legittimamente considerata scientifica? Gli anti-realisti, - per includere tutte le posizioni che di fatto contestano l'esistenza di un mondo indipendente da un soggetto, - potrebbero obiettare che un mondo oggettivo in definitiva non esiste e pertanto il punto non è rapportarsi ad esso quanto piuttosto alle diverse rappresentazioni costruite dal soggetto. In tal senso, la teoria delle stringhe o delle superstringhe come oramai è più comunemente chiamata, sarebbe comunque una conoscenza scientifica, in quanto capace di produrre fatti matematici in parte certamente dimostrabili anche se solo a livello teorico, cioè privi a tutt'oggi di una qualunque possibile capacità di esplicazione o predizione empirica. Ma è pur vero che qualunque cosa sia ciò che chiamiamo realtà - una condizione permamente e oggettiva a noi esterna piuttosto che una neurosimulazione collettiva generata da un supercomputer, ecc... - noi siamo in grado, in alcuni casi, di prevedere alcuni fatti che accadono esternamente alla nostra sfera di percezione diretta e le cui ricadute però, possono essere direttamente e successivamente corroborate, cosa che con la teoria delle stringhe finora non è stato possibile realizzare. Questo per dire che sebbene nel senso comune la conoscenza scientifica sia spesso identificata tout-court, il problema della demarcazione non è poi di così facile risoluzione, quantomeno nell'ottica di fornire delle condizioni adeguate e valide per ogni dominio di pertinenza scientifica.