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Evoluzione legislativa e organizzazione dell’attività agrituristica

3.3 Il problema dei falsi agriturism

Quello degli agriturismi è un settore che, negli ultimi anni, è stato particolarmente fiorente: dall’ultimo censimento Istat, relativo all’anno 2014, si contano 21.744 attività che portano questo nome ma che non possiedono i giusti requisiti. Parallelamente allo sviluppo del settore, è cresciuto, infatti, in

maniera preoccupante, anche il fenomeno dell’abusivismo e dei finti

agriturismi che danneggia e fa concorrenza sleale a quelli veri.

Fra i problemi sorti più spesso durante le vacanze in strutture agrituristiche si segnalano il fatto di essersi imbattuti in una azienda agricola “finta” - cioè distante, nell’offerta e nell’accoglienza, dal modello di agriturismo tradizionale Fonte: http://www.agriturist.it/it/leggi-regionali-agriturismo/30-4248.html

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- ed in proposte di menù banali e non legate al territorio ed una poca chiarezza rispetto a caratteristiche e servizi offerti.

Testimonianze di questo genere son ben riscontrabili in diversi articoli di

giornale o sul web. Ad esempio: “Agriturismi sulla carta. A guardar bene,

nemmeno su quella, visto che nei menù non erano riportate le provenienze dei prodotti serviti in tavola, così come sarebbe previsto dalla legge regionale, la 30/2003, che disciplina queste attività di somministrazione in Toscana.[...]Gli alimenti non erano di origine toscana. Nessun danno o frodealimentare, ma l'olio era pugliese e la carne del Piemonte. Nessundanno, ma una chiara violazionedi una legge che obbliga i gestoridi agriturismi a impiegare solomaterie prime provenienti dallaToscana e lavorate in regione.Niente banane o ananas al maraschino,per intenderci, ma nemmenoolive della Puglia. In cambio naturalmentedi vantaggi tangibili,come l'Iva ridotta al 4 per cento ealtre agevolazioni”. 36

“Mozzarella campana, carne piemontese, farro tedesco, pasta pugliese -

spiega il dottor Ambrogio Pagani dell'Asl – Ma anche l'olio e il vino, due prodotti che la nostra Regione offre in abbondanza, spesso avevano un'altra provenienza. Per di più, c'erano anche lattine di note bibite che negli agriturismi non potrebbero certo essere vendute. Solo per i prodotti di "ospitalità comune", ad esempio il caffè, la legge fa un'eccezione”37.

O ancora pesanti le accuse lanciate dalla Fipe, la Federazione dei pubblici esercizi, alle aziende agricole che offrono ristorazione e pernottamento. “Servono ostriche e salmone, organizzano banchetti di nozze per centinaia di

coperti, hanno sale per congressi e discoteche. E questi sarebbero agriturismi?”38.

Significativa, inoltre, la lettera del Presidente Fipe Toscana, al direttore di “Italia a Tavola”, Alberto Lupini, sulla discussione politica delle norme che regolano gli agriturismi toscani: “Quello che sta avvenendo fra gli agriturismi

e i ristoranti rischia di trasformarsi in una guerra di campanili. Se così fosse ne uscirebbero sconfitti tutti: agricoltori, esercenti e anche i clienti turisti. Per

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Fabrizio Vincenti, La Nazione, Lucca, 16.10.2015, estratto da pag. 9

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Il Tirreno, Lucca, 16.10.2015, estratto da pag. 4

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questo è bene che nell'allineare la situazione della Toscana a quella di altre regioni si colga l'occasione per fare un po' di ordine nell'offerta di pasti e bevande. E’ vero infatti che la Toscana era la sola regione che limitava la ristorazione nell'agriturismo alle sole persone alloggiate, anche se molte strutture non rispettavano questa condizione. In questo la legge non fa che compensare un disequilibrio a livello nazionale fra gli agriturismi. L'aspetto che ha fatto insorgere i ristoratori è legato piuttosto alla tassazione in regime forfetario e ai contributi ridotti per gli agricoltori occupati in cucina o in sala che si tramutano in agevolazioni fiscali e contributive nel momento in cui l'attività di ristorazione si trasforma da marginale a predominante rispetto a quella agricola. In questo caso si verifica concorrenza sleale; le due offerte gastronomiche si confondono e al cliente appaiono uguali. Lo scenario diventa ancora più confuso se a far venire meno la distinzione fra ristorazione e agriturismo è proprio una legge. Già nel 2006, una legge quadro statale ha creato una commistione ambigua fra i due tipi di offerta. Stabilisce, infatti, che tutta la materia prima alimentare, tranne minime quantità di ingredienti indispensabili al completamento del pasto, debba venire da aziende agricole della regione o da artigiani alimentari che lavorano prodotti agricoli regionali. Il testo nato per legare ulteriormente la ristorazione agrituristica al contesto agricolo circostante non stabilisce però che cosa si intenda per 'quantità minime”. Guarda caso, per il cenone di Capodanno, un agriturismo nell'entroterra di Grosseto offre un menu composto da strudel con bocconcini di merluzzo; timballino di fregala ai frutti di mare; prosciutto di Praga; ravioli di branzino ai sapori dell'orto; turbanti di sogliola in crema di cavolfiore. Non si direbbe un menu a base dei prodotti tipici del territorio. E al di là del Capodanno, gli agriturismi non potrebbero servire bevande gasate di produzione industriale, né avvalersi di pasta e di polvere di caffè che non siano esclusivamente della zona. A scatenare la guerra, allora, non è la legge, ma il continuo instancabile tentativo intrinseco nell'essere umano di sconfinare nel prato del vicino nell'idea che sia sempre più verde. I ristoratori non avrebbero di che reclamare se i gestori degli agriturismi

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rispettassero i loro confini nello svolgere la loro attività, cioè quella di allevatori e agricoltori e, marginalmente, quella di somministrazione dei pasti. Ma chi garantirà il rispetto di questi limiti? Sempre la legge stabilisce un limite minimo di controlli del 20%. In pratica, su 100 agriturismi ne verranno controllati venti. Gli altri ottanta possono dormire sonni tranquilli. Inoltre, anche in caso di controllo, non è chiaro per niente come potrà essere dimostrato il reddito derivante dall'attività agricola e quello relativo alla ristorazione.

Ipotizzare controlli a tappeto appare inverosimile, considerando anche le notorie scarse risorse a disposizione delle forze preposte a questo compito. Per evitare che la concorrenza diventi sleale, allora, bisogna solo confidare sul buon senso e sul senso di coscienza di ognuno di noi. E anche qui è lecito essere dubbiosi. Non a caso sin dal 1787 sul numero 51 del Federalista si leggeva: Se gli uomini fossero angeli non occorrerebbe alcun governo”.39

La Coldiretti,maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell'agricoltura italiana, è stata la prima a lanciare l’allarme dei falsi

agriturismi. Ha elaborato, a questo proposito, un vademecum40 per aiutare i

consumatori a scegliere una struttura che sia davvero un agriturismo. In primo luogo, bisogna accertarsi che l’azienda sia accreditata presso enti come Terranostra o Campagna Amica e che sia in possesso di tutti i permessi comunali per svolgere attività agrituristica. Il secondo passo è legato al controllo delle attività agricole dell’azienda e al modo in cui queste sono integrate nell’ambito dell’attività di accoglienza e di ristorazione. E’ bene scegliere gli agriturismi in cui il lavoro agricolo è visibile e dove l’accoglienza sia di tipo cordiale e curata direttamente dall’imprenditore agricolo e dalla sua

famiglia. Infine, poiché per la maggioranza degli ospiti l’agriturismo significa

soprattutto cibi genuini e buona alimentazione, è determinante controllare il legame dell’azienda con l’attività agricola, il tipo di azienda e i prodotti coltivati direttamente ed accertarsi che nel menu offerto siano indicati

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Il Sole 24 ore, 23 Dicembre 2009, http://www.italiaatavola.net/articolo.aspx?id=13574

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alimenti stagionali e tipici del posto. Infine, prima di partire,sarebbe consigliabile prendere contatto con l'imprenditore agricolo per informazioni dettagliate su cosa offre l'azienda e sui prezzi, sul modo per raggiungerla e sulla distanza da altre mete interessanti ma anche per verificare quali attività ricreative e culturali e servizi sono offerte e comprese nel prezzo.

CAPITOLO IV