Il mondo è ciò che la persona ben sveglia, priva di complicazioni, ritiene che sia.
C. Geertz,
Antropologia interpretativa
2.1 Le realtà multiple: da un’unica realtà a una serie infinita di province finite di significato
Nel 1945 Alfred Schütz pubblica in lingua inglese, negli Stati Uniti, il suo saggio Sulle realtà multiple1, un lavoro che si apre con un lungo richiama allo studio di William James su La percezione della realtà, pubblicato nel 1869 su Mind e successivamente incluso nei Principi di psicologia. Il saggio si apre con l’esposizione delle tesi di James:
In un famoso capitolo dei Principi di psicologia William James analizza il nostro senso della realtà. Realtà, egli afferma, significa semplicemente relazione alla nostra vita emozionale ed attiva. L’origine di ogni realtà è soggettiva, qualsiasi cosa ecciti e stimoli il nostro interesse è reale. Chiamare una cosa reale significa che quella cosa si trova in una qualche relazione con noi. «In breve, la stessa parola “reale” è una frangia». Il nostro primitivo impulso è quello di affrontare immediatamente la realtà di tutto ciò che è concepito finché rimane non contraddetto. Ma vi sono vari ordini di realtà, probabilmente un numero infinito di ordini diversi, ognuno con il suo specifico e distinto stile di esistenza. James li chiama “sub-universi” e cita come esempi il mondo dei sensi o delle cose fisiche (come realtà preminente), il mondo della scienza, il mondo delle relazioni ideali, il mondo degli “idoli della tribù”, i diversi mondi soprannaturali della mitologia e della religione, i diversi mondi dell’opinione individuale, i mondi della pura follia e del fantasticare. La mente popolare concepisce tutti questi sotto-mondi in modo più o meno privo di connessioni, e quando ha a che fare con uno di essi dimentica nel frattempo le sue relazioni con il resto. Ma ogni oggetto cui pensiamo si riferisce in
1 S
CHÜTZ A., On Multiple Realities, in Collected Papers, vol. I, a cura di M. Natanson,
Nijhoff, The Hague, 1962, pp. 207-259, precedentemente pubblicato in «Philosophy and Phenomenological Research», V, 1945, pp, 533-76. In italiano il saggio è contenuto nei Saggi
sociologici, Utet, Torino, 1979, pp. 181-232. Esiste anche un’altra traduzione italiana, a cura di Luca
Mori, in SCHUTZ A.,Le realtà multiple, in JAMES W.,SCHUTZ A.,Realtà multiple e altri scritti, a cura
ultima analisi a uno di questi sotto-mondi.” “Ogni mondo, per il tempo in cui è oggetto d’attenzione, è reale a suo modo; semplicemente, la realtà dilegua con l’attenzione2.
Schütz assume la definizione jamesiana del reale: tutto quello che assorbe e riesce a trattenere la nostra attenzione, orientando il nostro sentire ed agire, è in qualche modo reale. In base a tale definizione si possono definire reali mondi diversi come quelli delle cose fisiche, della fantasia, della scienza e della religione, anche se ordinariamente assumiamo come modello, come realtà per eccellenza, il mondo quotidiano dei sensi e delle cose pratiche. Non appena concepiamo un oggetto, noi lo collochiamo e ne facciamo esperienza entro uno dei molti “sub-universi”. Ma la sua realtà scompare non appena l’attenzione è distolta, non appena altri oggetti e altri mondi si aggiudicano l’accento di realtà nella lotta tra le cose che chiedono di essere credute. Così il nostro vissuto è esperienza dei contesti che di volta in volta selezioniamo come reali, dei mondi nei quali ci immergiamo focalizzando e modulando in maniera diversa l’attenzione su quello che ci circonda.
Schütz assume la tesi di James del “mondo dei sensi” come “realtà preminente”, assegnando al “mondo della vita quotidiana” (la Lebenswelt husserliana) una posizione di rilievo: «le diverse province di senso costituiscono modificazioni della tensione di coscienza caratteristica dei nostri vissuti quotidiani»3. Dal punto di vista del mondo quotidiano, le altre province appaiono come “quasi realtà”. L’immagine di una “provincia finita” sottolinea che ogni regione del reale vede i propri confini delineati dall’attenzione che gli viene rivolta: la finitezza pertanto contribuisce a garantire ed assicurare la coerenza interna, la compatibilità delle esperienze vissute entro una stessa provincia, mentre afferma la contraddittorietà e l’impossibilità di conversione tra esperienze vissute entro diverse province.
L’idea di un “provincia di senso” dotata di un proprio “stile cognitivo” vuole invece togliere all’espressione utilizzata da James il suo residuale sapore ontologico: «l’accento di realtà non ha a che vedere con una presunta realtà oggettiva
2
SCHUTZ A.,Le realtà multiple, in JAMES W.,SCHUTZ A.,Realtà multiple e altri scritti, cit.,
pp. 125-126.
3
POSSENTI I.,Introduzione. Teorie del molteplice. William James e Alfred Schutz, inJAMES W.,SCHUTZ A.,Realtà multiple e altri scritti, cit., p. 19.
dell’oggetto o del contesto, bensì con il senso che all’oggetto o al contesto viene soggettivamente o intersoggettivamente attribuito»4.
Schütz afferma:
James parla pertanto di “senso della realtà” che può essere studiato nei termini di una psicologia della fede e della mancanza di fede. Al fine di liberare questa importante idea dal suo contesto psicologico preferiamo parlare, anziché di molti sub-universi di realtà, di province finite di
significato su ognuna delle quali noi poniamo l’accento della realtà. Noi parliamo di province di significato e non di sub-universi in quanto è il significato delle nostre esperienze e non la struttura
ontologica degli oggetti a costituire la realtà. Quindi chiamiamo un certo insieme delle nostre esperienze una provincia finita di significato se ognuna di esse manifesta uno specifico stile cognitivo ed è rispetto a questo stile – non solo coerente di per sé ma anche compatibile con le altre. La restrizione messa in corsivo è importante perché le incoerenze e le incompatibilità di alcune esperienze, ognuna delle quali fa parte dello stesso stile cognitivo, non comporta necessariamente il ritiro dell’accento della realtà dalla rispettiva provincia di significato nel suo insieme, ma semplicemente la non validità della particolare o delle particolari esperienze entro tale provincia5.
Il tema fondamentale del saggio di Schütz è, dunque, il dissolvimento dell’idea monolitica di realtà in una serie infinita di provincie finite di significato. Ogni provincia è contrassegnata da uno stile cognitivo che assicura la coerenza e la compatibilità tra le diverse esperienze che la compongono; è per tale validità limitata dello stile cognitivo che le province vengono qualificate come finite. Infatti è impossibile trasferire direttamente l’esperienza di una provincia nello stile cognitivo dell’altra, senza modificarne il significato. Il transito da una provincia all’altra non avviene in maniera graduale, ma mediante un salto, un trauma cognitivo, ovvero attraverso una radiale trasformazione della nostra tensione di coscienza, fondata su una peculiare attention à la vie e una specifica epochè.
4 Ibidem. 5 S
CHÜTZ A., Sulle realtà multiple, in ID.,Saggi sociologici, parte terza, Simbolo, Realtà e Società, Utet, Torino, 1979, pp. 203-204.
2.2 Lo stile cognitivo delle province finite di significato: il mondo della vita quotidiana
Con lo scopo di individuare il peculiare stile cognitivo di alcune province di senso, Schütz intraprende un’analisi della realtà preminente del mondo della vita quotidiana, che rappresenta la sfera del senso comune e il terreno in cui si radica l’agire sociale e la comunicazione, e che costituisce il palcoscenico delle nostre interazioni con gli altri e con l’ambiente.
Schütz indica sei aspetti dello stile cognitivo che caratterizzano la provincia della realtà fondamentale del mondo della vita quotidiana:
1. “«una specifica tensione della coscienza, cioè lo stato di completa veglia, che ha origine nella piena attenzione alla vita;
2. una specifica epoche, cioè la sospensione del dubbio;
3. una forma prevalente di spontaneità, cioè il lavorare ( una spontaneità significativa basata su un progetto e caratterizzata dall’intenzione di portare a termine lo stato di cose progettato attraverso movimenti corporei inseriti nel mondo esterno);
4. una specifica forma di percepire il proprio Sé (il Sé che lavora come un Sé totale);
5. una specifica forma di socialità (il comune mondo intersoggettivo della comunicazione e dell’azione sociale);
6. una specifica prospettiva temporale (il tempo comune che ha origine in un’intersezione tra
durée e tempo cosmico come struttura temporale universale del mondo intersoggettivo)»6.
Passiamo ora ad un’analisi dettagliata dei caratteri dello stile cognitivo del mondo della vita quotidiana.
1. Con l’espressione specifica tensione di coscienza, Schütz fa riferimento ud uno dei temi centrali della riflessione di Bergson, il concetto di attention à la vie. La nostra vita cosciente è costituita da un numero indefinito di piani diversi, i cui estremi vanno dal piano dell’azione al piano del sogno. Ognuno di questi piani è caratterizzato da una specifica tensione di coscienza, proporzionale al nostro mutevole interesse per la vita. L’azione determinerà un maggior livello di attenzione rispetto al sogno, che per Bergson è caratterizzato da una totale mancanza di interesse. Questa attenzione per la vita è il principio fondamentale che regola la nostra vita cosciente, e con l’espressione completo stato di veglia si vuole indicare il piano della coscienza di maggior attenzione che ha origine in un atteggiamento di
6 S
piena attenzione alla vita. Infatti, per poter agire, ma soprattutto per poter realizzare i nostri progetti nell’ambito dell’attività lavorativa, è sempre doveroso tenere desta l’attenzione. Il mondo della vita quotidiana richiede quindi il massimo grado di tensione della coscienza, solo in esso l’attore è in pieno stato di veglia
. Il completo stato di veglia acquista una dimensione pragmatica poiché la realtà quotidiana si configura come il palcoscenico e l’oggetto delle nostre azioni; per tale motivo la nostra attenzione verso questo livello di realtà sarà determinato da quello che abbiamo fatto, da quello che stiamo facendo e progettiamo di fare in esso.
2. Riprendendo da Husserl uno dei concetti cardine della sua fenomenologia – il concetto di epochè – Schütz afferma che il nostro atteggiamento naturale è caratterizzato da una specifica forma di epochè: la sospensione del dubbio. Schütz però si distacca da Husserl, in quanto per il padre della fenomenologia l’epochè era l’operazione metodologica che permetteva di sospendere la nostra credenza nella realtà del mondo al fine di far emergere il campo della pura coscienza.
Schütz invece afferma che:
l’uomo anche nell’atteggiamento naturale si serve di una specifica epochè, naturalmente del tutto diversa da quella della fenomenologia. Egli non sospende la fede nel mondo esterno e nei suoi oggetti, ma, al contrario, sospende il dubbio circa la loro esistenza. Ciò che egli mette tra parentesi è il dubbio che il mondo e i suoi oggetti possano essere diversi da come appaiono a lui. Proponiamo di chiamare questa epochè l’epochè dell’atteggiamento naturale7.
Verso la realtà quotidiana tutti noi proviamo una fede quasi incrollabile, che le conferisce il carattere di autoevidenza e di oggettività incontrovertibile. Possiamo essere assaliti da dubbi e incertezze, tuttavia ogni nostro dubbio si situa sempre all’interno di una cornice di certezze: nessuno, infatti, mette in discussione il fatto che esista un mondo là fuori in cui vivano individui simili a noi e che interpretano la realtà in maniera simile alla nostra. Per usare un’espressione di Wittgenstein: «In altre parole: fa parte della logica delle nostre ricerche scientifiche, che di fatto certe cose non vengano messe in dubbio»8.
Anche il nostro grado di interesse verso questo mondo, varia a seconda dei diversi piani dello working cui siamo implicati: è la funzione selettiva dell’interesse a
7 S
CHÜTZ A.,Sulle realtà multiple, cit., p. 202.
8W
organizzare il mondo in strati di differente rilevanza. È opportuno sottolineare come la nozione di rilevanza rivesta un ruolo essenziale nel pensiero di Schütz; essa rimanda a quella serie di complessi processi prepredicativi che presiedono all’attività selettiva della coscienza. L’esperienza di base che regola entro l’atteggiamento naturale questo cosiddetto sistema delle rilevanze è l’ansia fondamentale: «so che morirò e temo di morire»9. Pertanto «i molti sistemi di speranze e di timori, di desideri e di soddisfazioni, di possibilità e di rischi»10 che influenzano i nostri progetti e la loro realizzazione, scaturiscono proprio da questa latente inquietudine che ci accompagna in ogni istante della nostra esistenza.
3. Il lavorare (lo working) è costituito dall’azione nel mondo esterno «basata su un progetto e caratterizzata dall’intenzione di portare a termine lo stato di cose progettato attraverso movimenti corporei»11. Tra le varie forme di spontaneità12 enunciate dall’autore, quella dello working ne rappresenta il tratto più significativo per la costituzione della realtà del mondo della vita quotidiana: il sé in completo stato di veglia integra, all’interno di uno specifico orizzonte temporale, nel suo lavorare e attraverso il suo lavorare il suo presente, il suo passato e il suo futuro e questo atto non solo rende possibile la realizzazione di sé medesimo come una totalità, ma
9 SCHÜTZ A., Sulle realtà multiple, cit., p. 201.
10 Ivi, p. 202. 11
Ivi, p. 204.
12 Schütz distingue tra esperienze della nostra spontaneità che non sono soggettivamente
dotate di senso e quelle al contrario che lo possiedono. Tra le prime possiamo annoverare i meri riflessi fisiologici (ad esempio l’arrossire e la contrazione della pupilla) e quelle che Leibniz definiva piccole percezioni (ossia le piccole percezioni percepite ma non appercepite che non lasciano quindi alcuna traccia nella memoria); tra le schiere delle seconde invece vengono incluse sia esperienza della vita interiore sia quelle che vanno a inserirsi nel mondo esterno. Per indicare questo genere di esperienze l’autore impiega il termine condotta. Questa può essere manifesta (mero fare) o latente (mero pensare). È opportuno precisare come in questo caso il concetto di condotta non presenti alcun riferimento all’intenzione. Quando la condotta è ideata in anticipo, vale a dire basata su un progetto già concepito, prende il nome di azione indipendentemente dal fatto che possa essere latente o manifesta. L’attività dello working, secondo l’autore, è esemplificata proprio da quest’ultima categoria delle azioni manifeste. Sempre sul tema dello working cfr. la lettera di Schütz a Gurwitsch del 21 giugno 1954, in cui Schütz afferma che «It has become important to me to contrast the “world of
working” and the “world of everyday life", e discute dell’espressione «World of working» e della sua
possibile traduzione come «Wikwelt» e «sphère de la vie pratique», in SCHÜTZ A., GURWITSCH A.,
Philosophers in Exile. The corrispondence of Alfred Schütz and Aron Gurwitsch, 1939-1959, Edited
by Richard Grathoff, Translated by J. Claude Evans, Foreword by Maurice Natanson, Indiana University Press, Bloomington, 1989, p. 22, pp. 226-227, e anche la lettera di Gurwitsch a Schütz del 27 giugno 1954, ivi, pp, 228-229.
consente anche la comunicazione con l’Altro e l’organizzazione delle diverse prospettive spaziali entro l’ambito della vita quotidiana.
4. Nell’impianto teorico di Schütz, il sé che lavora – l’ego working – costituisce il fulcro della realtà e conseguentemente della soggettività, in quanto esso esperisce se stesso come autore dell’attività lavorativa, e pertanto si realizza come unità. Eppure questa unità ne verrebbe ridotta in frantumi qualora il sé adottasse un atteggiamento riflessivo. Il sé che ha eseguito certi atti, infatti, non è più un sé totale e indiviso, ma un sé che tende a concepirsi come semplice esecutore di un ruolo. Per usare la terminologia di Mead, che Schütz, seppure con la dovuta cautela, riprende in questo saggio, l’idea di questo sé parziale che si contrappone all’Io è espressa dalla nozione di Me.
Nei saggi antecedenti del 1936-37, raccolti sotto il titolo Das Problem der
Personalität in der Sozialwelt13, Schütz definisce questo ego che fonde insieme aspetti cognitivi con aspetti pragmatici come “ego ipse”. Questo ego ipse, dunque, è il fulcro della personalità sociale. È, come fa notare Muzzetto, «l’esperienza unificante che consente di vivere le esperienze parziali e frammentarie coma appartenenti ad un unico sé»14.
5. La questione dell’intersoggettività riveste un ruolo di primo piano nelle riflessioni di Schütz e costituisce il pomo della discordia nella relazione con la fenomenologia trascendentale di Husserl. Le dure critiche che Schütz rivolge al padre della fenomenologia sono rivolte a valutare l’effettiva praticabilità del percorso trascendentale, soffermandosi in particolar modo sulla questione della costituzione dell’intersoggettività. Pur con grande rammarico, però, Schütz è costretto a prendere atto delle difficoltà insolubili cui vanno incontro i tentativi husserliani di costituire l’alter ego trascendentale nell’ambito della sfera egologica ridotta: l’intersoggettività risulta così essere un dato del mondo della vita quotidiana, poiché, «finché l’uomo
13 Questi saggi sono incompiuti e tuttora non pubblicati.
14 M
UZZETTO L., Il soggetto e il sociale. Alfred Schütz e il mondo taken for granted, FrancoAngeli, Milano, 2006, p. 17.
nasce da una donna, l’intersoggettività e la We-relation costituiranno la fondazione di tutte le categorie dell’esistenza umana»15.
Il distacco da un’analisi dell’intersoggettività condotta a livello trascendentale implica la perdita di un principio apodittico di conoscenza della realtà sociale. Allo stesso tempo, però, il ritorno al prescientifico mondo della vita come «il terreno di ogni astrazione cognitiva»16 a partire dal quale è possibile l’edificazione delle scienze naturali e sociali, sancisce la nascita della fenomenologia dell’atteggiamento
naturale, «l’obiettivo della quale”, afferma Schütz, “sarebbe dovuto essere, tra
l’altro, quello di spiegare i fondamenti fin qui non chiariti delle scienze sociali»17. Per questo motivo è lecito parlare di “fondamento debole” del pensiero schütziano.
In tal modo viene ribadito il carattere meramente convenzionale della conoscenza scientifica: l’oggettività delle ricerche scientifiche è garantito dall’accordo tra gli osservatori tramite l’adozione di un corpus specifico di nozioni e di metodologie previste dalla comunità scientifica cui aderisce il ricercatore.
Possiamo quindi affermare che la conoscenza presenta un carattere di derivazione sociale: difatti, solo una piccola parte della nostra conoscenza del mondo ha origine nell’ambito della nostra esperienza personale, la maggior parte è derivata socialmente, trasmessa a noi dai nostri genitori, amici, insegnanti. Ci è stato insegnato non solo come definire l’ambiente, ma anche come i costrutti debbano essere formati in sintonia con il sistema di attribuzione di importanza accettato dall’anonimo punto di vista unificato del gruppo cui apparteniamo. Come rileva Barber, il sociale si configura come un carattere necessario, strutturale delle nostre tipizzazioni, mentre invece il contenuto ne risulta un aspetto meramente contingente18.
15 S
CHÜTZ A., The Problem of Trascendental Intersubjectivity in Husserl, in Collected
Papers, vol. III, The Hague, Martinus Nijhoff, 1975, p. 82. 16
WAGNER H.R.,The Limitations of Phenomenology: Alfred Schütz’s Critical Dialogue with Edmund Husserl, in “Husserl Studies”, 1, 2 (1984), p. 183.
17 S
CHÜTZ A.,The Problem of Trascendental Intersubjectivity in Husserl, cit., p. 55. 18
BARBER M., Constitution and Sedimentation of the Social in Alfred Schutz’s Theory of
Typification, in “The Modern Schoolman”, LXIV (1987). Barber dimostra che mentre Husserl
metteva tra parentesi l’atteggiamento naturale nel suo complesso, sospendendo di conseguenza il sociale, Schützal contrario era intento ad intraprendere una costitutiva fenomenologia dell’atteggiamento naturale, assumendo la dimensione sociale come oggetto privilegiato d’indagine. Cfr. ivi, p. 118.
In tal modo, pur muovendosi all’interno dell’individualismo metodologico, l’intento di Schütz risulta essere quello di rendere conto dei legami basilari tra socialità e soggettività. E qui emerge uno degli aspetti più rilevanti del pensiero di Schütz: la sua capacità di saper scavare sotto la dura cortina della dimensione del dato per scontato (taken for granted) e di riuscire a incrinare le nostre false certezze, la nostra fede incrollabile nella realtà quotidiana, andando ad indagare le modalità di costituzione dell’ ovvietà che pervade ogni ambito della vita quotidiana, mettendo quindi in luce le premesse cognitive sociali su cui si fonda la nostra credenza nella
realtà preminente. A tal proposito, è opportuno notare che Schütz individua quattro
motivi per cui il mondo esterno della vita quotidiana possa essere considerato il livello della realtà preminente:
a. perché vi partecipiamo sempre, anche durante i nostri sogni, attraverso i nostri corpi, che sono essi stessi cose del mondo esterno;
b. perché gli oggetti esterni limitano le nostre libere possibilità di azione opponendo una resistenza che può essere superata solo con fatica se pure lo può essere;
c. perché è questo il regno in cui possiamo inserirci con le nostre attività corporee e, quindi, che possiamo mutare e trasformare;