CAPITOLO II: La Web Tax e la Digital Tax
2.1. Problematiche e incompatibilità dell’IVA
Prendendo in considerazione le disposizioni che sono state introdotte in ambito IVA, è chiaro che si tratta delle più problematiche.
L’obiettivo principale che si intende perseguire con l’introduzione della Web Tax, dovrebbe essere quello di «far pagare le imposte sul reddito» in Italia a tutte quelle multinazionali che operano sul territorio italiano, che di fatto non pagano, o che riescono a diminuire enormemente l’imponibile assoggettabile a tassazione attraverso le loro sedi operative in Paesi dell’Unione Europea a bassa fiscalità137.
Svolgendo in Paesi come la Francia, Italia, Gran Bretagna ecc., soltanto «attività ausiliarie», di fatto non vengono generati redditi imponibili tassabili nei territori in cui vengono prodotti,
136 Cfr. SIRRI M., ZAVATTA R., La partita IVA al rappresentante fiscale fa presumere la stabile
organizzazione, in “Rivista di giurisprudenza tributaria” n.1, 2013.
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poiché tutti i proventi derivanti dalle vendite di pubblicità online sono assoggettabili a tassazione esclusivamente nei Paesi in cui tali soggetti hanno stabilito le loro sedi principali. Tuttavia, il nuovo art. 17-bis del D.P.R. n. 633/1972 non sembra contenere i giusti “ingredienti” che servono per risolvere completamente il problema, in quanto possono al più costituire un ulteriore strumento per localizzare le operazioni che vengono poste in essere, semplificando il monitoraggio del volume di attività svolte in Italia dagli operatori stranieri. L’articolo in questione, introduce una rilevante novità per le operazioni B2B, obbligando i committenti «soggetti passivi» residenti, di acquistare i servizi di pubblicità online esclusivamente da soggetti «titolari di una partita IVA rilasciata dall’amministrazione finanziaria italiana».
Questa novità, impone indirettamente ai soggetti non residenti di munirsi di una partita IVA italiana, attraverso la nomina di un rappresentante fiscale o mediante l’identificazione diretta come previsto dagli artt. 17 e 35-ter del D.P.R. n. 633/1972, nel caso in cui non dovessero disporre di una stabile organizzazione ai fini IVA, nel territorio italiano.
L’art. 11 del Reg. UE n. 282/2011 prevede che «ai fini dell’applicazione dell’articolo 44 della direttiva 2006/112/CE, la stabile organizzazione designa qualsiasi organizzazione, diversa dalla sede dell’attività economica di cui all’art. 10 del presente regolamento, caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di ricevere e di utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta organizzazione».
Risulta chiaro, che oltre al grado di permanenza deve contemporaneamente esserci, la presenza di mezzi umani e tecnici.
Il comma 3 del medesimo articolo prevede che «il fatto di disporre di un numero di identificazione IVA non è di per sé sufficiente per ritenere che un soggetto passivo abbia una stabile organizzazione».
Quindi viene esplicitamente escluso, che possa costituire stabile organizzazione il mero possesso di una partita IVA.
Nonostante sia stato introdotto tale specifico obbligo, la norma non si preoccupa né di modificare le disposizioni riguardanti la “territorialità”138 applicabili alle prestazioni di
138 Cfr. artt 7-7-septies del D.P.R. n. 633/1972; alle prestazioni pubblicitarie online prese in considerazione
finora, veniva e viene applicata tuttora l’IVA italiana se sono rese nei confronti di un committente soggetto passivo. La nuova normativa quindi, non incide minimamente sul gettito IVA.
pubblicità online, né di integrare la normativa con l’introduzione di deroghe riferite alle norme in tema di applicazione dell’IVA139.
Viene infatti stabilito che «gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato140, compresi i soggetti indicati all’art. 7-ter, comma 2, lettere b) e c), sono adempiuti dai cessionari o committenti».
Quindi per quanto riguarda le transazioni di pubblicità online poste in essere da un operatore non residente nei confronti di un soggetto passivo italiano, sono e rimangono rilevanti ai fini territoriali in Italia secondo la regola generale sulla tassazione del Paese del committente, prevista dall’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972.
Analizzando le novità riguardanti le modalità di applicazione dell’IVA, dopo l’introduzione del VAT Package141, si nota che l’imposta deve essere obbligatoriamente applicata dal committente italiano, in quanto non è rilevante che il soggetto non residente e senza stabile organizzazione142 disponga di una partita IVA italiana143.
Se invece si verificasse la situazione in cui il prestatore identificato in Italia ai fini IVA, dovesse emettere fattura addebitando l’IVA, si avrebbe una violazione dell’art. 17 secondo comma e degli artt. 44 e 196 della direttiva 2006/112/CE, i quali prevedono e obbligano l’applicazione del reverse charge144 introdotto per i servizi generici145 ricevuti da un soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato.
139 In riferimento alle prestazioni rese da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi italiani di cui
all’art. 17, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972.
140 Definizione prevista dall’art. 7 del D.P.R. n. 633/1972, Territorialità dell’imposta: l’art. in questione oltre a
comprendere i soggetti passivi domiciliati o residenti in Italia, comprende anche la «stabile organizzazione nel territorio dello Stato di soggetto domiciliato e residente all’estero, limitatamente alle operazioni da essa rese o ricevute».
141 Dal 1 gennaio 2010, riguarda le direttive comunitarie 2008/8/CE (territorialità delle prestazioni di servizi) e
2008/8/CE (rimborsi a da parte di soggetti non residenti), del 12 febbraio 2008, con successiva implementazione Decreto Legislativo 11 febbraio 2010.
142 Nel caso in questione, l’IVA dovrebbe essere applicata dalla stabile organizzazione attraverso una fattura. 143 Potrebbe essere nominato un cd. Rappresentante fiscale come previsto dall’art. 17 del D.P.R. n. 633/1972 o
ricorrere all’identificazione diretta come disposto dall’art. 35-ter D.P.R. n. 633/1972;
144 l’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, prescrive che gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle
prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti stabiliti nel territorio dello Stato, sono compiuti dai cessionari o committenti.
In pratica, in questi casi si ha una vera e propria inversione della soggettività d’imposta: il soggetto passivo del tributo non è il cedente od il prestatore, bensì il compratore od il committente (se stabiliti nel territorio dello Stato). Il compratore od il committente dovrà procedere all’emissione di un’autofattura, in unico esemplare, da riportare sia nel registro delle fatture emesse sia in quello delle fatture ricevute (con contestuale evidenza di IVA a debito ed IVA a credito). Tale procedura è conosciuta come «inversione contabile» o «reverse charge». Al di fuori del caso anzidetto (cessione di beni o prestazione di servizi a soggetto stabilito nel territorio dello Stato), qualora il soggetto non residente ponga in essere un’operazione rilevante ai fini IVA nel territorio dello Stato, deve assolvere direttamente gli obblighi previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972. per far ciò ha due alternative: o nominare un proprio rappresentante fiscale, che risponde in solido con il rappresentato degli obblighi derivanti
Contrariamente da quanto era previsto nella proposta di legge Boccia146, il nuovo art. 17-bis del D.P.R. n. 633/1972 introdotto dalla legge di stabilità finirà per imporre ai prestatori non residenti l’obbligo di aprire una partita IVA la quale però, non potrà essere utilizzata per l’applicazione dell’IVA mediante l’emissione di fatture con addebito del tributo.
Oltre ad introdurre quindi, un inutile adempimento che obbligherà i soggetti non residenti a dover presentare le dichiarazioni IVA, rimangono i dubbi sulla legittimità a livello comunitario.
È fondamentale porsi un quesito: quali sono le conseguenze se il soggetto passivo residente dovesse acquistare detti servizi da un soggetto non residente sprovvisto di partita IVA italiana, in presenza delle prestazioni di pubblicità online menzionate dall’art. 17-bis?
Purtroppo risulta complicato rispondere a tale domanda, perché le nuove disposizioni introdotte dalla legge di stabilità non prevedono nulla a riguardo, e si limitano solamente ad introdurre l’«obbligo di acquistare i servizi da soggetti titolari di partita IVA italiana», lasciando aperto un problema: la necessità di norma sanzionatoria atta a sanare il gap normativo.
Spostando il focus sul caso di un soggetto non residente, non dotato di una partita IVA147 che abbia omesso di emettere una fattura con IVA italiana, non pare che lo stesso possa essere sanzionato ai sensi dell’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997148, nonostante l’omessa fatturazione.
Ciò accade per le ragioni precedentemente esposte: l’IVA dovrebbe continuare ad essere versata dal soggetto committente residente, ai sensi dell’art. 17 secondo comma del D.P.R. n.
dalla disciplina IVA (art. 17, comma 2), od identificarsi direttamente nello Stato ai sensi dell’art. 35-ter ed operare, senza bisogno d’avvalersi di mandatari, in conformità alle disposizioni previste dalla disciplina stessa. Così stabilisce infatti il comma 3 dell’art. 17, alla condizione, tuttavia, che il soggetto passivo non residente non disponga di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato.
La regola dell’inversione della soggettività passiva fissata dal comma 2 dell’art. 17 non operano – per espressa previsione contenuta nel successivo comma 4 – qualora il soggetto non residente disponga di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato.
Per le operazioni di vendita di beni e servizi compiute dalla casa madre, senza passare per la stabile organizzazione italiana, posto che il comma 3 dell’art. 17 impedisce la nomina del rappresentante fiscale e l’identificazione diretta se il soggetto non residente possiede una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, è giocoforza concludere che gli obblighi IVA non possono essere adempiuti se non utilizzando la posizione IVA assunta in Italia in conseguenza dell’apertura della stabile organizzazione. Si segnala, peraltro, che deve trattarsi pur sempre di operazioni attive territorialmente rilevanti, per le quali scattano gli obblighi tributari italiani.la sola presenza di una stabile organizzazione in Italia, rimasta estranea al compimento dell’operazione, non fa divenire “interna” qualsiasi operazione compiuta dalla casa madre, perché è pur sempre necessario il soddisfacimento del presupposto territoriale; TOSI L., BAGGIO R., Lineamenti di diritto tributario internazionale, 2013, Cedam, Padova.
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Tra cui vanno ricomprese le prestazioni di pubblicità online.
146 Proposta di legge n. 1662 presentata il 4 ottobre 2013. 147 Si fa riferimento alla partita IVA italiana.
148 L’omessa fatturazione di un’operazione imponibile è sanzionata nella misura che va dal 100 al 200 per cento
633/1972149: «Gli obblighi e i diritti derivanti dalla applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto, relativamente ad operazioni effettuate nel territorio dello Stato da o nei confronti di soggetti non residenti, possono essere adempiuti o esercitati, nei modi ordinari, dagli stessi soggetti150 direttamente, se identificati ai sensi dell'articolo 35-ter». È interessante osservare che applicando il cd. reverse charge, su una prestazione di pubblicità
online posta in essere e non fatturata da un soggetto non residente e senza partita IVA italiana,
non darebbe luogo ai presupposti che farebbero scattare la sanzione che invece, simmetricamente, colpirebbe il soggetto passivo residente per aver applicato tale regime di inversione contabile.
La sanzione è prevista dall’art. 6 comma 9-bis, terzo periodo, del D.Lgs. n. 471/199: «qualora l’imposta sia stata assolta, ancorché irregolarmente, dal cessionario o committente ovvero dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto alla detrazione ai sensi dell’art. 19 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, la sanzione amministrativa è pari al 3 per cento dell’imposta irregolarmente assolta, con un minimo di 258 euro».