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Sommario: 1. Universalità limitata 2. Distinguendo, procedure territoriali autonome e secondarie 3. Legittimazione a chiedere l’apertura 4. Segue, le novità del Reg. n. 848/2015 5. Ipotesi di conversione e chiusura delle procedure.

1. Universalità limitata

Per comprendere il principio dell’universalità limitata- il quale uniforma il Reg. n. 1346/2000- occorre aver prima chiaro che cosa si intenda per universalità pura. In base a questa, il fallimento pronunciato in uno Stato estende la sua operatività in ogni altro Stato, garantendo al curatore la possibilità di recuperare i beni del debitore ovunque si trovino. Corollario di tale principio è l’unicità della procedura d’insolvenza. Infatti, laddove non si diano procedure secondarie, si dice che la procedura d’insolvenza principale ha portata universale. Il principio universalistico ha trovato espressione inizialmente nell’ambito delle convenzioni bilaterali, contesto nel quale per gli Stati è certo più semplice rinunciare all’esercizio della propria giurisdizione (retro, Sezione I, cap. I). L’applicazione del principio porterebbe con sé non pochi vantaggi, dal momento che consentirebbe una più facile insinuazione dei creditori nella procedura, una più efficiente gestione della massa fallimentare ed infine la possibilità di valutare la continuazione dell’impresa al posto della sua

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liquidazione. Tuttavia numerose sono state le critiche mosse nei confronti di tale principio37. A voler tacere di altro, il vero ostacolo che impedirebbe il pieno esplicarsi dell’universalità pura può essere individuato nella differenza fra le normative dei diversi Stati membri. Non sono trascorsi molti anni da quando il compito di disciplinare e coordinare le procedure di insolvenza, a carattere transfrontaliero, veniva affidato ai singoli Stati che, anche laddove si tenti una regolamentazione unitaria, si assiste al rifiorire del principio di territorialità. Secondo tale principio, ogni Stato è competente ad aprire un procedimento, laddove si vogliano conseguire gli effetti tipici della procedura di insolvenza. Condizione necessaria per l’apertura è il ricorrere di un criterio di collegamento giurisdizionale, che consenta l’esercizio della giurisdizione nazionale in relazione a quell’impresa. Espressione di una politica di diritto fallimentare ancorata ad una visione nazionalistica, il principio di territorialità- a lungo operante nella versione originaria della Legge fallimentare- rigetta in sé l’idea di una universalità pura. Nel tempo, sono state sostenute ragioni diverse per giustificare modelli procedurali ancorati al principio di territorialità. Fra questi, si è detto che lo Stato- rendendosi garante del corretto svolgimento delle procedure di insolvenza- dimostrerebbe in tal modo di tutelare gli interessi di tutti i creditori, poiché consentirebbe a quelli locali di non investire tempo e risorse in un

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fallimento estero38. Tuttavia tale motivazione non sarebbe del tutto corretta, dal momento che la soddisfazione dei creditori locali appare soddisfacente solo da un punto di vista nazionale mentre risulta parziale se verificata da un punto di vista generale. Solo attraverso l’apertura di un unico procedimento si livellano i benefici e le perdite per i creditori locali. Inoltre, soltanto attraverso una valutazione tra la quantità del patrimonio raccolto nei diversi Stati e il parametro della qualificazione legale del credito sulla base della normativa nazionale, è possibile optare per un modello territorialistico al posto di uno universalistico. Pertanto, è agevole considerare come si tenda oggi ad abbandonare il modello territorialistico di fronte ad un fenomeno- quello dell’insolvenza transfrontaliera- che per sua natura non può essere ristretto all’interno delle frontiere nazionali. Da questi due modelli antitetici, si perviene ad un modello di universalità limitata. Sulla base di questo, si stabilisce un collegamento tra le differenti giurisdizioni degli Stati interessati all’insolvenza, che non impone l’apertura di un’unica procedura ma consente la pendenza di procedure diverse delle quali si provvede a coordinare gli effetti. Il modello presuppone quindi l’apertura di una procedura principale e di altre procedure locali, territoriali o secondarie. Difatti, l’esistenza di una procedura principale, nonostante il carattere potenzialmente universale, non determina mai l’impossibilità di aprire una procedura a carattere

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secondario39. L’universalità limitata sembrerebbe consentire un migliore bilanciamento degli ideali universalistici e dei principi degli ordinamenti nazionali. Tuttavia, non possono essere sottaciuti gli inconvenienti che, anche in questo modello, possono darsi. Se si guarda al caso dei creditori, il modello non è detto che garantisca a pieno il rispetto della par condicio, poiché pluralità di procedure può significare pluralità di leges concursus che regolano l’insolvenza anche sotto il profilo dell’insinuazione e delle priorità nella soddisfazione. Tuttavia, sono diversi gli strumenti che il Regolamento apporta dinanzi a tale incongruenza (infra, Sezione IV, cap. III). Insomma, l’universalità limitata- con i dovuti adattamenti- rappresenterebbe la strada migliore da perseguire per gestire efficacemente l’insolvenza che coinvolge Stati membri diversi.

2. Distinguendo, procedure territoriali autonome e secondarie

Le procedure diverse dalla procedura principale possono essere chiamate, in via generale, procedure territoriali (o locali). Tra queste, si suole distinguere le procedure autonome da quelle secondarie. Le procedure autonome sono previste dall’art. 3 paragrafi 2 e 4 del Regolamento e coincidono con le procedure principali elencate nell’allegato A. Le procedure secondarie sono previste invece dall’art. 4 paragrafi 2 e 3 del Regolamento e vengono regolate da gli art. 27 e

39 Nonostante ciò, si può affermare che la procedura locale autonoma viene ancorata

a rigidi presupposti da parte del Regolamento, onde evitare che venga aperta con facilità. Del pari, la procedura secondaria si trova in una posizione di deferenza rispetto alla procedura principale (infra, nel testo).

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seguenti; esse suppongono che la procedura principale sia già stata aperta in un altro Stato ed hanno carattere necessariamente liquidatorio. Tali procedure coincidono con quelle elencate nell’allegato B e per il nostro ordinamento sono la liquidazione coatta amministrativa ed il fallimento. Iniziando l’analisi dalle prime, possiamo notare come il Regolamento sottoponga l’apertura di tali procedure a condizioni molto restrittive ed alternative fra loro, ossia: a) qualora, in forza delle condizioni previste dallo Stato in cui si trova il centro degli interessi principali del debitore, non si può aprire una procedura di insolvenza; b) qualora l’apertura di una procedura di insolvenza è richiesta da un creditore il cui domicilio, residenza abituale o sede è situata nello Stato membro nel quale si trova la dipendenza (retro, Sezione II, cap. I) del debitore, ovvero il cui credito deriva dall’esercizio di tale dipendenza. In dottrina40

è stato sottolineato come, nella seconda condizione prevista dal Regolamento ed in caso di apertura in Italia della procedura territoriale, si verificherebbe una situazione di disparagium data l’impossibilità per il debitore- che ha deciso di spostare all’estero il centro degli interessi principali- di avvalersi di un concordato preventivo. Per quanto riguarda la disciplina di diritto positivo, il Reg. n. 1346/2000 si occupa di tali procedure territoriali soltanto all’art. 36 e all’art. 37 (infra,

40 E. F. Ricci, Le procedure locali previste dal regolamento CE n. 1346/2000, in

Giurisprudenza commerciale., IV, 2004, pag. 900, il quale peraltro ribadisce che si tratta di scelta libera del debitore spostare il proprio centro e rinunciare a certe procedure; tuttavia, dinanzi a disparità in punto di legittimazione, l’Autore auspica che il diritto concorsuale si adegui al Regolamento giungendo ad eliminare la dichiarazione di fallimento da parte del P.M. o dei creditori non legittimati.

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Sezione III, cap. II). L’art. 36 prevede che, qualora venga aperta una procedura d’insolvenza principale in un altro Stato membro, dopo l’apertura di una procedura territoriale, a questa si applichino gli art. 31-35 del Regolamento, laddove lo Stato di apertura lo consenta. In altri termini, alla procedura territoriale autonoma- laddove lo Stato in cui viene aperta la procedura principale lo consenta- si applicano le disposizioni che regolano la procedura territoriale secondaria. Veniamo adesso ad analizzare la procedura territoriale secondaria, ossia la procedura territoriale che può essere aperta da uno Stato membro nel cui territorio si trova una dipendenza del debitore, secondo l’art. 3 paragrafo 2 del Regolamento. Le principali differenze con la procedura territoriale autonoma sono: a) che i giudici ad quos non devono accertare l’insolvenza del debitore, oramai stabilita dal giudice a quo; b) che la procedura ha carattere necessariamente liquidatorio; c) che, infine, non sono richieste le condizioni previste dall’art. 3 paragrafo 4 del Regolamento. Insomma, l’unica condizione richiesta- nella logica di favorire il ricorso a tale tipologia di procedura, piuttosto che alla precedente- è la presenza di beni del debitore nel territorio dello Stato. Nonostante le differenze, vi sono anche aspetti comuni tra le due procedure territoriali. Il primo di questi riguarda la legge applicabile, che coincide con la legge dello Stato di apertura. Ciò si desume, per le procedure territoriali autonome dall’art. 4 paragrafi 1 e 2, mentre si desume dall’art. 28 per le procedure territoriali secondarie. Un altro aspetto comune riguarda l’attitudine delle procedure in

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questione ad avere effetti soltanto sui beni del debitore situati nello Stato di apertura. Della localizzazione di tali beni si occupa l’art. 2 paragrafo 2 lett. g) del Regolamento, il quale detta una elencazione non esaustiva che deve essere completata con la disciplina dello Stato nel quale si trovano i beni. Sebbene tali procedure si riferiscano soltanto a tali beni, i loro effetti devono essere protetti ovunque, anche da parte dei giudici degli Stati membri diversi. Ciò si desume dall’art. 17 paragrafo 1 del Regolamento, il quale prevede che tali effetti non possono essere contestati negli altri Stati membri; ma a tale conclusione si dovrebbe pervenire anche laddove non vi fosse una disposizione espressa, dal momento che il principio di territorialità delimita lo spazio entro il quale gli effetti si producono ma non anche lo spazio entro il quale tali effetti devono essere protetti ed appartiene all’ordine normale delle cose che qualsiasi effetto giuridico, una volta localizzato lo spazio in cui si produce, deve essere protetto ovunque41. Per concludere sul punto, occorre vedere le novità auspicate in dottrina e recepite dal Reg. n. 848/2015. In dottrina42 si auspicava di ripensare il modello dell’universalità limitata, potenziando il coordinamento tra la procedura principale e la procedura secondaria. Tenendo conto della prassi, la Proposta43 introduceva un meccanismo discrezionale in capo

41 E. F. Ricci, op. cit., il quale peraltro ritiene che gli effetti della procedura locale

prevalgono su gli effetti della procedura principale nell’ambito dello Stato di apertura.

42 P. Fazzini- M. Winkler, op. cit.

43 Proposal for a regulation of the European Parliament and of the Council

amending Council Regulation (EC) n. 1346/2000 on insolvency proceedings, 12

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all’autorità chiamata a dichiarare l’apertura della procedura secondaria, in modo che questa potesse rifiutarla, laddove l’avesse ritenuta non necessaria a proteggere gli interessi dei creditori. Inoltre, la Proposta prevedeva una maggiore integrazione tra le due procedure su diversi piani: sul piano dei poteri del curatore, sul dialogo tra le diverse corti e tra i diversi creditori del medesimo debitore insolvente. Da ultimo, la Proposta eliminava il carattere necessariamente liquidatorio della procedura secondaria. Il Reg. n. 848/2015 ha accolto gran parte delle modifiche ivi proposte. Si precisa infatti che le procedure secondarie di insolvenza possono aver diversi scopi oltre a quello della tutela dell’interesse locale […]44. Pertanto, il Regolamento in questione consente al curatore di contrarre un impegno al fine di evitare l’apertura di una procedura principale o di impugnare tale decisione laddove sia stata presa da un giudice di uno Stato membro (infra, Sezione IV cap. III). Inoltre, con riguardo al coordinamento delle diverse procedure, il Regolamento prevede ora una cooperazione tra i diversi curatori (art. 41 Reg. n. 848/2015; infra, Sezione IV cap. III), una cooperazione tra curatori e giudici (art. 42 Reg. n. 848/2015; infra, Sezione IV, cap. I) ed infine una cooperazione e comunicazione tra curatori e giudici.

3. Legittimazione a chiedere l’apertura

Si è affermato, con riferimento alla legittimazione a chiedere l’apertura di una procedura principale, che tale aspetto è regolato dalla lex

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concursus (retro, Sezione III, cap. I). Lo stesso può essere affermato anche con riferimento alle procedure territoriali, almeno in via di principio. Infatti, a tal proposito, occorre distinguere tra procedure territoriali autonome o secondarie. Nel caso di procedure secondarie, la competenza della lex concursus è confermata, laddove si afferma che l’apertura di una procedura secondaria può essere chiesta: a) dal curatore della procedura principale; b) da qualsiasi altra persona o autorità legittimata a chiedere l’apertura di una procedura di insolvenza secondo la legge dello Stato membro nel cui territorio è chiesta l’apertura della procedura secondaria45. Dunque, il curatore della procedura principale risulta legittimato a doppio titolo ad aprire una procedura secondaria: in base alla lex concursus ed in base al Regolamento. Se il curatore intenda poi avvalersi o meno di tale legittimazione, è eventualità che dipende dalla sua discrezionalità. A prescindere dal titolo, si prescrive però una condizione autonoma di apertura, laddove si prevede che qualora la legge dello Stato membro in cui è chiesta l’apertura di una procedura secondaria esiga che l’attivo del debitore sia sufficiente per coprire in tutto o in parte le spese della procedura, il giudice può esigere dal richiedente un anticipo delle spese od una congrua garanzia46. Quindi, laddove la legge dello Stato della dipendenza non preveda una cautio del genere, il foro può quantomeno imporla al richiedente. Sono altresì legittimati a chiedere l’apertura qualunque altra persona o autorità legittimata dalla lex concursus. Venendo a prendere in considerazione la procedura territoriale autonoma, la legittimazione potrebbe essere

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Art. 29 Reg. n. 1346/2000.

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ricavata dalle condizione alle quali il Regolamento ne subordina l’avvio47. A memoria dell’art. 3 paragrafo 4 del Regolamento, le

ipotesi sono due: quella in cui non possa essere aperta una procedura principale e quella in cui sia richiesta da un creditore il cui domicilio, residenza abituale o sede siano situati nello Stato nel quale si trova la dipendenza del debitore ovvero il cui credito deriva dall’esercizio di questa. Si tratterebbe dei cd. creditori locali a cui il Regolamento attribuisce la legittimazione a chiedere l’apertura di una procedura territoriale autonoma. In dottrina, due sono i punti discussi. Da un lato, ci si chiede se le due condizioni- poste dall’art. 3 paragrafo 4- siano entrambe necessarie oppure alternative. Nel primo caso, i cd. creditori locali potrebbero aprire una procedura soltanto laddove sia impossibile aprire una procedura principale; nel secondo caso, è sufficiente essere creditori locali per essere legittimati a chiedere l’apertura. Sembra comunque prevalere la tesi dell’alternatività, almeno laddove ci si attenga al dato letterale dell’articolo. In secondo luogo, si discute circa il significato dell’espressione “credito che deriva dall’esercizio della dipendenza” e se questa dipenda da indagini sul diritto applicabile al credito, rilevanti soltanto qualora conducano all’applicazione della legge dello Stato della dipendenza. Inoltre, il rapporto da cui sorge il credito è posto in relazione alla specifica attività svolta in quello Stato. Si sostiene48 che la determinazione del credito dipenda da un’indagine

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In questo senso, A. Leandro, op. cit., pag. 146.

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su il diritto applicabile, che il foro della dipendenza fa in base alle proprie norme di conflitto e che la condizione sia comunque realizzata ove semplicemente il credito esista.

4. Segue, le novità del Reg. n. 848/2015

Il Regolamento detta alcune novità sulla decisione di aprire una procedura secondaria di insolvenza. Rimettendo l’analisi dell’impegno contratto dal curatore per evitare la procedura secondaria alla sede opportuna (infra, Sezione IV, cap. II), occorre adesso analizzare il dispositivo degli art. 38 e 39 Reg. n. 848/2015. Il primo detta una serie di regole che devono essere rispettate nel momento in cui si chiede l’apertura di una procedura secondaria, il secondo prevede il rimedio giurisdizionale esperibile laddove quelle regole siano state violate. L’art. 38 del Regolamento dispone innanzitutto che il giudice investito di una domanda di apertura ne informi immediatamente il curatore o il debitore non spossessato e dia a questi l’opportunità di essere sentito sulla domanda. Viene introdotto in questo modo un contraddittorio sulla domanda di apertura che, da mera possibilità, diventa condizione necessaria da assolvere <<immediatamente>>. Si potrebbe ritenere, inoltre, che tale contradditorio sulla domanda di apertura debba trovare luogo, anche laddove la lex concursus dello Stato di apertura non lo preveda affatto. Difatti, nell’intento di porre le parti- giudice, curatore e debitore- su un piano di parità, il Regolamento garantisce ora l’humus nel quale la parità delle parti può collocarsi, ossia il

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contraddittorio, corollario a sua volta di un processo che possa definirsi giusto. In secondo luogo, l’articolo prevede che il giudice, su istanza del curatore, non apra la procedura secondaria, qualora il curatore stesso abbia contratto un impegno a norma dell’art. 36 e questo tuteli sufficientemente gli interessi generali dei creditori locali. Dunque, a fronte di un impegno contratto dal curatore (infra, Sezione IV, cap. II), il giudice potrà decidere di non aprire una procedura secondaria, ma tale decisione è, per il giudice, sottoposta ad una duplice condizione: a) sia stata chiesta dallo stesso curatore della procedura principale; b) l’impegno tuteli adeguatamente gli interessi generali dei creditori locali. Sulla prima condizione, nulla quaestio, dal momento che si tratta di un potere dato al curatore nell’interesse di un maggiore coordinamento delle sue scelte. Con riguardo alla seconda condizione, potrebbe sorgere il dubbio che venga dato al giudice un margine di discrezionalità circa la scelta di aprire o meno una procedura secondaria. Occorre pertanto dare una corretta interpretazione a tale assunto. Premesso che l’impegno non può, per i creditori, dare conseguenze deteriori rispetto a quelle che avrebbero ottenuto da una procedura secondaria, il giudice dovrebbe ritenere che gli interessi generali dei creditori siano tutelati adeguatamente laddove tali interessi siano gli stessi che i creditori avrebbero ottenuto dall’apertura di una procedura secondaria. In altre parole, soltanto qualora sia indifferente per i creditori locali ottenere soddisfazione da un impegno o da una

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procedura secondaria, il giudice potrebbe rifiutarne l’apertura49

. In terzo luogo, viene previsto che il giudice, su richiesta del curatore o del debitore, possa sospendere l’apertura della procedura per un periodo non superiore a tre mesi, qualora sia stata concessa una sospensione delle azioni esecutive individuali per consentire i negoziati tra il debitore ed i suoi creditori e purché siano messe in atto misure idonee a tutelarli50. Premesso che tale facoltà non va confusa con la sospensione della liquidazione- già prevista dall’art. 33 Reg. n. 1346/2000 ed ora disciplinata dall’art. 46 Reg. n. 848/2015- si tratta di un potere nuovo attribuito al giudice. Costui sospende infatti la domanda di apertura della procedura secondaria di insolvenza, non la liquidazione che presuppone già aperta la procedura. Tale potere viene ancorato a due diverse condizioni: a) la sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali dei creditori; b) misure idonee a tutelare i creditori. La prima condizione, che si verifica per consentire i negoziati tra le parti, fa presupporre l’impegno concreto dei creditori, i quali rinunciano ad aggredire momentaneamente il patrimonio del debitore nella speranza di ottenere un accordo che eviti la procedura di insolvenza. La seconda condizione è poi meglio esplicata dallo stesso articolo, il quale prevede che il giudice possa disporre provvedimenti conservativi, ingiungendo al curatore o al debitore di non trasferire o

49 Considerando n. 42 Reg. n. 848/2015, dove si afferma anche che

in sede di valutazione di tali interessi, il giudice dovrebbe tener conto del fatto che l’impegno è stato approvato da una maggioranza qualificata dei creditori locali.

50 Nell’ordinamento italiano, la sospensione delle azioni esecutive individuali,

all’interno delle procedure cd. volontarie, è oggi previsto da gli art. 168 e 182 bis Legge fallimentare e dall’art. 10 l. n. 3/2012.

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alienare i beni situati nello Stato della dipendenza, a meno che ciò non avvenga nell’ambito dell’attività ordinaria. In altre parole, si prevede una misura, idonea a tutelare gli interessi dei creditori, tipica che consiste nel divieto- tranne che si tratti di ordinaria amministrazione- di alienare i beni in uno Stato diverso da quello della dipendenza. Con tale provvedimento conservativo, si vuole impedire che i creditori possano vedere ridotte, nelle more della sospensione, le garanzie di soddisfazione che da tali beni dipendevano. Inoltre, si prevede che il giudice possa adottare altre misure, a meno che non siano

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