COSTRUZIONE DEI DIAGRAMMI DI PEDEFERR
Paragrafo 3.1 Procedure esistenti per la misura del tenore critico
In letteratura sono proposte diverse metodologie di prova per studiare quali sono le condizioni che provocano l’innesco della corrosione; lo scopo di queste metodologie è simulare, tramite prove di laboratorio, ciò che avviene nelle strutture in calcestruzzo armato reali.
In genere, per fini pratici, le metodologie proposte identificano un unico parametro che permetta di esprimere l’insieme di fattori che provocano l’innesco della corrosione; questo parametro è il “tenore critico di cloruri” e gli altri fattori da cui dipende l’innesco vengono considerati come variabili da cui dipende il tenore critico stesso. Questo approccio consente di utilizzare un unico valore, il cui significato è di facile comprensione (ossia la quantità minima di cloruri nel calcestruzzo a contatto con l’armatura che consente di innescare la corrosione). Dal momento che, come è stato presentato nel Capitolo 1, l’innesco della corrosione dipende da un numero elevato di fattori, è necessario determinare come questi fattori influenzino il valore del “tenore critico”. Questi fattori possono riguardare sia le proprietà dei materiali utilizzati per il confezionamento degli elementi in calcestruzzo armato, sia le condizioni di esposizione ambientale delle strutture.
Le diverse metodologie proposte in letteratura per la misura del tenore critico permettono di analizzare l’effetto di alcuni parametri specifici, ma non permettano di analizzare l’effetto di tutti i principali parametri da cui dipende il tenore critico; dunque, queste metodologie, per quanto valide, hanno un campo di applicazione limitato. Inoltre, oltre che dai parametri presentati nel Capitolo 1, il valore del tenore critico può essere influenzato anche dalla metodologia di prova utilizzata per determinarlo: infatti, i risultati di prove di tipo diverso possono essere significativamente diversi tra loro [70]. A tale proposito, recentemente il Rilem ha proposto una metodologia di prova che possa essere utilizzata come standard per la misura del tenore critico di cloruri [12]. Lo scopo della metodologia proposta dal Rilem è misurare il tenore critico di cloruri su provini confezionati con calcestruzzi di diversa composizione. Per questo motivo, la procedura proposta fornisce prescrizioni riguardo a tutti i parametri di prova che non siano la composizione del calcestruzzo, come ad esempio la condizione di esposizione dei provini, il tipo e la finitura superficiale dell’acciaio. Dunque, anche la metodologia proposta dal Rilem non può essere utilizzata per studiare come varia il tenore critico di cloruri in funzione del tipo di acciaio e dell’ambiente di esposizione dei provini. In questo paragrafo sono analizzati i punti di forza e i limiti delle principali metodologie proposte in letteratura per la misura del tenore critico di cloruri. In particolare, è analizzato come queste metodologie, benché molto diverse tra loro, soddisfino un insieme di requisiti comuni, messi in evidenza in una recente analisi della bibliografia sul tenore critico [71]. In particolare, le metodologie devono necessariamente disporre di:
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1) un elettrodo di acciaio che simuli una armatura e che sia inglobato in una matrice cementizia (pasta cementizia, malta o calcestruzzo) o immerso in una soluzione che simuli quella contenuta nei pori del calcestruzzo;
2) un metodo per introdurre i cloruri nel calcestruzzo fino a provocare l’innesco della corrosione; 3) un criterio per identificare l’innesco della corrosione;
4) un metodo per determinare il tenore di cloruri che provoca l’innesco della corrosione; 5) un metodo per valutare la variabilità statistica del tenore critico di cloruri.
Come è prassi comune nelle analisi bibliografiche sul tenore critico di cloruri presenti in letteratura, in questo paragrafo, le metodologie di prova proposte in letteratura sono state suddivise in due grandi famiglie: ossia prove in soluzione e prove in calcestruzzo [16,20,71-72].
3.1.1 - Prove in soluzione
Le prove in soluzione sono effettuate immergendo un elemento di acciaio, ad esempio una porzione di armatura, in una soluzione alcalina che simuli quella contenuta nei pori del calcestruzzo. In genere le soluzioni utilizzate sono costituite dagli idrossidi normalmente presenti nella soluzione acquosa contenuta nei pori del calcestruzzo (ossia idrossidi di calcio, sodio e potassio); la quantità e il tipo di idrossidi aggiunti determina il pH della soluzione. Inoltre, per studiare la corrosione da cloruri, ovviamente in soluzione sono aggiunti anche sali a base di cloruri; i più comuni sali utilizzati sono i cloruri di sodio e di calcio. In molti casi, le prove in soluzione sono effettuate proprio per determinare la resistenza all’innesco della corrosione dell’acciaio in funzione delle caratteristiche delle soluzioni, ossia la loro temperatura, il pH, la capacità tampone (ossia la capacità di mantenere un pH elevato anche in presenza di agenti che provocano una acidificazione della soluzione), i tipi di catione presente in soluzione (ad esempio, Na+, K+ e Ca2+). Oltre alla composizione della soluzione, queste prove possono essere utilizzate per studiare la resistenza all’innesco della corrosione di diversi tipi di acciaio, o di un acciaio con diverse finiture superficiali. In alcuni casi, gli elementi di acciaio sono lasciati in condizioni di “libera corrosione” (definite nel Paragrafo 1.1) [73]. In queste condizioni, per identificare l’innesco della corrosione sono monitorati alcuni parametri elettrochimici legati all’innesco della corrosione, ossia il potenziale e la velocità di corrosione dell’acciaio.
In altri casi, le condizioni che provocano l’innesco della corrosione sono identificate applicando all’acciaio una polarizzazione esterna; tale polarizzazione è imposta mediante una corrente esterna [72]. L’innesco della corrosione può essere provocato in due modi:
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- mantenendo fisso il potenziale dell’acciaio e aumentando la concentrazione di cloruri in soluzione. Tali prove permettono di determinare la concentrazione di cloruri che provoca l’innesco della corrosione in funzione del potenziale dell’acciaio;
- mantenendo costante la concentrazione di cloruri in soluzione e aumentando progressivamente il potenziale dell’acciaio. Tali prove permettono di determinare il valore del potenziale di pitting (Epit)
in funzione della concentrazione di cloruri in soluzione.
In entrambi i casi, l’innesco della corrosione è identificato da un netto incremento della corrente esterna applicata all’acciaio [72].
I principali punti di forza delle prove in soluzione sono che: - queste prove sono relativamente semplici e veloci;
- permettono di studiare alcuni dei principali parametri da cui dipende l’innesco della corrosione da cloruri, ossia il tipo e la finitura superficiale dell’acciaio [73-75], il pH e la temperatura della soluzione;
- la preparazione delle prove in soluzione in genere è meno onerosa rispetto alla preparazione delle prove in calcestruzzo, dunque esse possono essere effettuate su un numero statisticamente significativo di provini e possono essere utilizzate per studiare l’effetto di alcuni parametri che influenzano la variabilità statistica dei risultati, come ad esempio la dimensione degli elementi di acciaio [76-77];
- in ultimo, banalmente, le prove in soluzione permettono di controllare visivamente lo stato di corrosione dell’acciaio anche nel corso della prova (al contrario delle prove in calcestruzzo).
Tuttavia, le prove in soluzione presentano anche dei punti critici, infatti:
- non sono rappresentative dell’effettivo comportamento dell’acciaio nel calcestruzzo, dal momento che è assente la zona di interfaccia acciaio-calcestruzzo [20,78-79]; di conseguenza, rispetto a prove in calcestruzzo, le prove in soluzione possono portare a una sottostima del tenore di cloruri che provoca l’innesco della corrosione dell’acciaio, dovuta alla mancanza di prodotti di idratazione protettivi sulla superficie dell’acciaio;
- il risultato delle prove può dipendere da alcuni parametri di prova; ad esempio il valore di Epit è
influenzato dalla velocità con cui è aumentato il potenziale dell’acciaio (detta scan rate) [72]. Per i motivi sopra citati, i risultati delle prove in soluzione non possono essere utilizzati per stimare il valore del tenore critico di cloruri per l’acciaio nel calcestruzzo [72], ma solo per studiare qualitativamente l’effetto dei parametri sopra citati.
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3.1.2 - Prove in calcestruzzo o in malta
Le prove in calcestruzzo sono effettuate su provini costituiti da un materiale cementizio (pasta cementizia, malta o calcestruzzo) in cui è inglobato un elemento di acciaio (in genere una porzione di armatura). Rispetto alle prove in soluzione, le prove in calcestruzzo permettono di simulare in modo più realistico le condizioni delle strutture in calcestruzzo armato reali. Ovviamente, il risultato delle prove in calcestruzzo è tanto più simile al comportamento delle strutture reali quanto i materiali utilizzati per il confezionamento dei provini e le condizioni di esposizione a cui essi sono sottoposti sono rappresentativi dei materiali e degli ambienti relativi alle opere in calcestruzzo reali. Sebbene questo aspetto possa sembrare banale, non sempre in laboratorio è possibile (per motivi tecnici o per motivi di tempo) simulare esattamente ciò che accade nelle strutture reali. Infatti, mentre alle strutture reali è richiesta una vita di servizio di alcune decine o centinaia di anni, non è possibile effettuare prove di laboratorio di tale durata.
In questo paragrafo sono analizzate le caratteristiche delle metodologie proposte in letteratura per misurare il tenore critico di cloruri in provini di calcestruzzo: inizialmente sono analizzati i metodi proposti in letteratura per introdurre i cloruri nel calcestruzzo; in seguito sono discussi i parametri che permettono di identificare l’innesco della corrosione; infine sono analizzati i metodi utilizzati per determinare il tenore di cloruri che provoca l’innesco della corrosione.
Metodi per introdurre i cloruri nel calcestruzzo. Nelle prove in calcestruzzo possono essere
utilizzati molti modi per introdurre i cloruri nel calcestruzzo: in alcuni casi i provini di calcestruzzo armato sono semplicemente messi a contatto con una soluzione acquosa a base di cloruri, in modo che i cloruri penetrino nel calcestruzzo dall’esterno. I principali vantaggi delle prove con cloruri penetrati sono che esse permettono di simulare ciò che accade nelle reali strutture in calcestruzzo armato esposte ad ambienti marini o in presenza di sali disgelanti a base di cloruri; inoltre, utilizzando diverse modalità di penetrazione dei cloruri, possono essere simulati diversi ambienti di esposizione: infatti, in laboratorio i provini possono essere costantemente mantenuti nella soluzione contenente cloruri (e in tal caso i cloruri penetrano nel calcestruzzo principalmente per diffusione, come avviene nella zona immersa delle strutture) oppure possono essere sottoposti a cicli di asciutto-bagnato (e in tal caso i cloruri penetrano nel calcestruzzo principalmente per assorbimento capillare, come avviene nella zona degli spruzzi e delle maree). In alternativa, la soluzione può essere contenuta in una vasca fissata sulla superficie superiore dei provini (prova di ponding) o nebulizzata sulla superficie dei provini (per simulare l’esposizione delle strutture in atmosfera marina). In alcuni casi i provini possono essere esposti ad ambiente marino reale.
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Il principale svantaggio delle prove con cloruri penetrati consiste nel fatto che la loro durata può essere elevata (anche alcuni anni). Infatti la durata dipende sia dalle condizioni di esposizione dei provini, sia dalle proprietà dei materiali e dalle caratteristiche dimensionali dei provini. La durata può essere elevata, ad esempio, in presenza di un elevato spessore di copriferro o di un calcestruzzo caratterizzato da un basso coefficiente di diffusione dei cloruri. Spesso, per ridurre il tempo di prova, la penetrazione dei cloruri nel calcestruzzo può essere accelerata utilizzando cicli di asciutto- bagnato o soluzioni saline concentrate; inoltre, le prove con cloruri penetrati possono essere applicate a provini confezionati con un elevato rapporto acqua/cemento (che permette di aumentare il valore del coefficiente di diffusione dei cloruri) e una piccola dimensione massima dell’aggregato (ad esempio possono essere studiati provini in malta, con cui è possibile realizzare un piccolo spessore di copriferro [16,78]). Dunque, difficilmente le prove con cloruri penetrati possono essere utilizzate per studiare provini confezionati con qualunque miscela di calcestruzzo.
La penetrazione degli ioni cloruro nel calcestruzzo può essere accelerata tramite l’applicazione di un campo elettrico [25,80-82]. Tali prove sono effettuate mettendo una superficie del campione a contatto con una soluzione contenente cloruri e posizionando nella soluzione un elettrodo che funga da catodo. Un secondo elettrodo, che funga da anodo, può essere messo a contatto con la superficie opposta del campione tramite un elettrolita [25,82] o può essere inglobato nel calcestruzzo in prossimità della barra di acciaio [80-81]. Quando tra i due elettrodi è applicato un campo elettrico, gli ioni cloruro migrano verso la superficie dell’acciaio fino a provocare l’innesco della corrosione; nei riferimenti citati, l’intensità del campo elettrico può variare da 1 a 20 V.
Sebbene le prove di migrazione siano relativamente veloci, il campo elettrico in cui le armature sono poste può provocare la circolazione di una corrente di interferenza all’interno delle armature e, in presenza di cloruri, tale corrente può favorire l’innesco della corrosione [1]. Per questo motivo, le prove di migrazione non sono affatto rappresentative delle condizioni in cui si trovano le strutture reali e non permettono di stimare il reale valore del tenore critico di cloruri, ma solo di confrontare provini confezionati con materiali diversi.
Alcuni problemi legati alla penetrazione dei cloruri nel calcestruzzo, come ad esempio l’elevato tempo di esposizione necessario affinché i cloruri raggiungano il tenore critico sulla superficie dell’acciaio, possono essere evitati tramite prove con cloruri aggiunti in fase di getto. Al calcestruzzo possono essere aggiunti anche tenori di cloruri elevati, in funzione della resistenza all’innesco della corrosione dei materiali utilizzati per il confezionamento dei provini: in un caso particolare, ossia in prove effettuate con armature di acciaio inossidabile, sono stati realizzati calcestruzzi con un tenore di cloruri fino a 8% rispetto alla massa di cemento [83].
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Al termine della stagionatura, i provini con cloruri aggiunti possono essere esposti a diversi ambienti (ad esempio all’atmosfera, a cicli di asciutto bagnato o immersi in soluzione) e si monitorano i parametri elettrochimici legati all’innesco della corrosione (ossia il potenziale e la velocità di corrosione dell’acciaio). In genere le prove sono interrotte quando questi parametri raggiungono dei valori pressoché costanti nel tempo. Come sarà presentato nel seguito, il monitoraggio di questi parametri permette di determinare quale tenore di cloruri provoca l’innesco della corrosione.
Il principale punto di forza delle prove con cloruri aggiunti è che, in determinate condizioni, esse permettono un risparmio di tempo rispetto alle prove con cloruri penetrati. In particolare le situazioni in cui le prove con cloruri aggiunti sono vantaggiose rispetto alle prove con cloruri penetrati sono:
- quando la diffusione dei cloruri è troppo lenta per provocare l’innesco della corrosione in un tempo accettabile. Questo avviene, ad esempio, in provini confezionati con un piccolo rapporto acqua/cemento o un elevato spessore di copriferro;
- in presenza di protezioni aggiuntive, come ad esempio la prevenzione catodica o l’utilizzo di acciai inossidabili, che provocano un aumento della resistenza all’innesco della corrosione delle armature;
- quando le condizioni ambientali sono tali da sfavorire l’innesco della corrosione da cloruri (ad esempio, quando il calcestruzzo è permanentemente immerso in acqua e, come è mostrato nel Paragrafo 2.1.1, le armature assumono un potenziale elettrochimico molto basso).
Le principali critiche rivolte alle prove in calcestruzzo con cloruri aggiunti consistono nel fatto che l’aggiunta di cloruri in fase di getto:
- può modificare le caratteristiche della zona di interfaccia acciaio-calcestruzzo. Infatti l’aggiunta di cloruri può impedire che durante la stagionatura dei provini si formi il film di passività sulla superficie delle armature; inoltre, i cloruri possono agire come acceleranti di presa, modificando la porosità del calcestruzzo [71];
- a parità di contenuto di cloruri totali, l’aggiunta di cloruri può modificare il rapporto tra i cloruri “liberi”, ossia disciolti nella soluzione acquosa contenuta nei pori della pasta cementizia, e i cloruri “legati” ai prodotti di idratazione del cemento. A tale proposito, in letteratura è dimostrato che, all’aumentare del tempo di stagionatura dei provini, i cloruri aggiunti nel getto possono essere progressivamente “legati” ai prodotti di idratazione del cemento [84].
Nonostante le critiche rivolte alle prove con cloruri aggiunti, sulla base dei risultati presentati in letteratura non è possibile determinare se l’utilizzo di questa metodologia di prova porti a una
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variazione del tenore critico di cloruri rispetto a quello misurato mediante prove con cloruri penetrati.
In Tab.3.01 sono mostrati i risultati di prove con cloruri aggiunti e di prove con cloruri penetrati effettuate da vari autori [13,19,78]. La tabella mostra che, in alcuni casi, esistono delle differenze tra i tenori critici di cloruri misurati applicando le due metodologie di prova; tuttavia, tali differenze non sono sistematiche. Ad esempio, Yonezawa et al. hanno misurato valori molto simili. Invece, Lambert et al. e Pradhan et al. hanno misurato valori diversi; tuttavia, nel primo caso il tenore critico misurato mediante prove con cloruri penetrati è superiore rispetto al tenore critico stimato mediante prove con cloruri aggiunti, mentre nel secondo caso esso è mediamente inferiore. Nonostante le differenze riscontrate nei due lavori citati, la Tab.3.01 mostra che in entrambi i casi la variabilità statistica dei valori di tenore critico è molto elevata e gli intervalli di valori determinati mediante prove con cloruri aggiunti e prove con cloruri penetrati sono sempre parzialmente sovrapposti [13,19]. Di conseguenza, le variazioni tra cloruri aggiunti e cloruri penetrati sono ragionevolmente all’interno della variabilità del tenore critico all’interno della singola metodologia.
Tab.3.01 - Confronto tra i valori di tenore critico determinati mediante prove con cloruri aggiunti e penetrati [13,19,78].
Criteri per identificare l’innesco della corrosione. Oltre ai metodi utilizzati per introdurre i cloruri
nel calcestruzzo, un altro aspetto fondamentale delle prove per la misura del tenore critico di cloruri è il criterio (o i criteri) utilizzati per identificare l’innesco della corrosione. In genere questi criteri consistono nell’identificazione di uno o più parametri legati allo stato di corrosione dell’acciaio nel calcestruzzo e si considera che l’innesco della corrosione avvenga quando il parametro considerato
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supera un valore limite. Sia il parametro considerato per identificare l’innesco, sia il suo valore limite, possono dipendere dal tipo di prova a cui sono sottoposti i provini. In questo paragrafo sono analizzati i tre principali tipi di prova, ossia le prove di libera corrosione, le prove potenziostatiche e le prove potenziodinamiche.
Nelle prove di libera corrosione il potenziale delle armature non è controllato tramite una polarizzazione esterna, ma è lasciato libero di variare in funzione delle variabili presentate nel Paragrafo 2.1, ossia l’ambiente, il tempo di esposizione dei provini e la condizione di passività o di attività dell’acciaio. Le prove di libera corrosione possono essere applicate (oltre che alle prove in soluzione presentate nel Paragrafo 3.1.1) sia a provini con cloruri aggiunti nel getto, sia a provini in cui i cloruri penetrano dall’esterno.
In queste prove i parametri elettrochimici associati all’innesco della corrosione da cloruri sono il potenziale e la velocità di corrosione dell’acciaio, dunque in genere sono questi i parametri che sono monitorati per identificare l’innesco della corrosione. Infatti, come è stato mostrato nel Capitolo 1, il potenziale dell’acciaio in condizione di libera corrosione varia in funzione della condizione di passività o di attività delle armature; per questo motivo, in genere l’innesco della corrosione è individuato tramite una variazione di questo parametro. Ad esempio, la metodologia di prova proposta dal Rilem, citata nell’introduzione del Paragrafo 3.1, identifica l’innesco della corrosione tramite un abbassamento del potenziale di 150 mV rispetto al potenziale dell’acciaio passivo [12]. Dal momento che, come è schematicamente mostrato in Fig.2.01, il potenziale del’acciaio può variare per motivi diversi dall’innesco della corrosione, spesso per confermare l’esito delle misure di potenziale sono utilizzate misure di velocità di corrosione dell’acciaio. In genere essa è molto bassa quando l’acciaio è passivo; dunque, l’innesco della corrosione è individuato tramite un aumento della velocità di corrosione oltre un valore comunemente assunto pari a 1-2 mA/m2 [13,85- 88].
Nelle prove di libera corrosione, tuttavia, capita che l’innesco non sia un evento istantaneo, ma un processo graduale che può durare anche molti giorni; inoltre, in alcuni casi le armature su cui si è innescata la corrosione possono ripassivarsi spontaneamente [89]. In questi casi è possibile che il tempo di innesco sia sovrastimato, ad esempio quando il parametro scelto per identificare l’innesco della corrosione impiega molti giorni a raggiungere il valore critico, oppure sottostimato, quando le prove sono interrotte senza verificare se l’acciaio possa ripassivarsi spontaneamente. Una sottostima o una sovrastima del tempo di innesco possono impedire di misurare il valore del tenore critico