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MOLECOLARE FLUOROCROM

4.3 Analisi della ricostituzione: 1 Immunoglobuline

4.3.4 La produzione di citochine in vitro

P01: Al T0, le cellule isolate dal P01 producono una quantità misurabile TNF, IFNγ e IL-12 sin dal primo giorno di incubazione senza stimolazione, se stimolate con PHA producono sin dal primo giorno quantità di TNF vicine al valore massimo misurabile dalla metodica e quantità misurabli di IL-12, IFNγ e IL-5. Al giorno +30 tutte le quattro citochine studiate vengono prodotte in quantità misurabile dal primo giorno di isolamento, sia con che senza stimolazione antigenica. Al giorno +100, tutte le citochine risultano misurabili, seppure a valori vicini al margine inferiore di rilevamento dela macchina, sia con che senza stimolazione.

P02: Al T0, le cellule isolate dal P02 producono, sin dal primo giorno di isolamento, quantità di TNF e di IFNγ misurabili anche senza stimolazione. Dopo stimolazione con PHA è possibile rilevare produzione di TNF, IFNγ e IL-12, quest'ultima vicinissima al valore minimo rilevabile. Al giorno +30, TNF e IFNγ sono rilevabili senza stimolazione, nello specifico l'IFN compare solo dopo 3 giorni di incubazione ed in quantità vicine al limite inferiore rilevabile. Dopo stimolazione con PHA, il TNF prodotto raggiunge sin dal primo giorno il livello massimo rilevabile, anche l'IFNγ diviene misurabile dal primo giorno. Al giorno +100, TNF e IFNγ sono misurabili anche senza stimolazione. Dopo stimolazione con PHA, il TNF raggiunge valori vicini al valore massimo rilevabile, l' IFNγ raggiunge livelli rilevabili e anche l'IL-12.

P03: Al T0 le cellule isolate dal campione di sangue periferico di P03 producono, sin dal primo giorno di incubazione, valori misurabili di tutte le citochine in esame, sia con che senza stimolazione. Al giorno +14, la produzione di TNF raggiunge livelli vicini al limite superiore di rilevamento anche senza stimolazione e sin dal primo giorno di incubazione, senza stimolazione viene prodotto anche l' IFNγ. Dopo stimolazione con PHA la produzione di TNF raggiunge livelli vicini al valore massimo rilevabile e viene prodotto IFNγ. Al giorno +100, senza stimolazione il TNF raggiunge valori vicini al limite superiore dopo 3 giorni di incubazione, anche l'IFNγ è misurabile senza stimolazione. Con stimolazione con PHA il TNF raggiunge valori vicini al limite superiore sin dal primo giorno di incubazione, anche l'IFNγ e l'IL-12 divengono misurabili nello stesso tempo.

P04: Le cellule isolate dal P04 prima del trapianto producono IFNγ, TNF e IL-5 in quantità misurabile senza stimolazione, per quanto queste ultime due siano presenti in dosi vicine al limite inferiore di rilevamento. Le stesse citochine vengono prodotte dopo stimolazione con PHA. Al giorno +60 le stesse citochine prodotte al giorno T0 sono rilevabili, sia con stimolazione che senza. Al giorno +100, TNF, IFNγ e IL-5 sono prodotte sia con stimolazione che senza, l'IL-12 viene prodotta 3 giorni dopo la stimolazione con PHA.

P05: Al T0 il campione proveniente dal P05 produce livelli misurabili di TNF a partire dal primo giorno, anche senza stimolazione, inoltre al terzo giorno di incubazione senza stimolazione sono rilevabili anche IFNγ e Il-5. Dopo stimolazione sono rilevabili livelli misurabili vicini al limite inferiore per TNF, IFNγ e IL-5. Al giorno +60, le cellule incubate senza stimolazione producono TNF e IFNγ, quest'ultimo a livelli vicini al margine inferiore di rilevamento.

Stimolate con PHA producono livelli misurabili di TNF e IFNγ. Al giorno +100 viene prodotto TNF senza stimolazione dal primo giorno di incubazione e vengono prodotti IFNγ e IL-5 a partire dal terzo giorno di incubazione. Dopo la stimolazione con PHA, sin dal primo giorno il TNF raggiunge livelli vicini al limite superiore di rilevamento e l'IFNγ è misurabile, dal terzo giorno di incubazione sono misurabili IL-5 e IL-12. P06: Al T0, le cellule isolate dal P06 producono, senza stimolazione, livelli misurabili di TNF, IFNγ e IL-5. Queste popolazioni sono prodotte anche in seguito a stimolazione con PHA e il TNF raggiunge livelli vicini al valore massimo rilevabile. Al giorno +30, senza stimolazione, le cellule isolate producono TNF in quantità rilevabili. Dopo stimolazione con PHA, il TNF raggiunge livelli prossimi al valore massimo rilevabile, IFNγ e Il-12 sono rilevabili. Al giorno +100 il TNF raggiunge livelli vicini al massimo rilevabile sia senza stimolazione che con stimolazione PHA, l'IFNγ e l'IL-5 si rilevano sia con stimolazione che senza.

I risultati dei test di stimolazione nei grafici (da sinista a destra) e nelle tabelle seguenti sono rappresentati a tre tempi:

T0 che corrisponde al prelievo pre-trapianto; Ti (tempo intermedio) che corrisponde al tempo in cui si sono rilevati valori misurabili alla citofluorimetria per P01, P02, P03, P04, P05, e al giorno +30 per P06; Tf (tempo finale) che corrisponde al giorno +100.

TNF (pg/ml) senza stimolazione P01 P02 P03 P04 P05 P06 T0 1100 277 8 90 0 148 Ti 734 296 5000 220 136 184 Tf 117 40 2679 657 86 5000 TNF (pg/ml) PHA P01 P02 P03 P04 P05 P06 T0 4282 2093 42 136 21 5000 Ti 1827 2888 5000 298 317 2665 Tf 361 5000 5000 2240 2525 5000

0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000 TNF senza stimolazione P01 P02 P03 P04 P05 P06 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000 TNF PHA stimolato P01 P02 P03 P04 P05 P06

IFNγ (pg/ml) senza stimolazione P01 P02 P03 P04 P05 P06 T0 136 0 12 163 14 33 Ti 1 7 27 121 9 1 Tf 185 5 38 172 26 31 IFNγ(pg/ml) PHA P01 P02 P03 P04 P05 P06 T0 1763 234 20 210 21 89 Ti 1 68 38 1034 60 0 Tf 417 314 807 399 30 54 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000

IFN-Gamma senza stimolazione

P01 P02 P03 P04 P05 P06 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000

IFN-Gamma PHA stimolato

P01 P02 P03 P04 P05 P06

IL-5 (pg/ml) senza stimolazione P01 P02 P03 P04 P05 P06 T0 8 0 25 21 0 7 Ti 19 0 0 9 0 0 Tf 46 0 0 48 24 16 IL-5 (pg/ml) PHA P01 P02 P03 P04 P05 P06 T0 18 1 38 23 12 21 Ti 6 0 0 10 0 0 Tf 50 0 68 101 21 28 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000

IL-5 senza stimolazione

P01 P02 P03 P04 P05 P06 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000

IL-5 PHA stimolato

P01 P02 P03 P04 P05 P06

IL-12(pg/ml) senza stimolazione P01 P02 P03 P04 P05 P06 T0 136 7 36 0 0 0 Ti 13 0 0 0 0 0 Tf 36 0 0 0 0 0 IL-12 (pg/ml) PHA P01 P02 P03 P04 P05 P06 T0 60 4 38 0 0 0 Ti 32 0 0 0 0 0 Tf 37 7 42 32 0 0 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000

IL-12 senza stimolazione

P01 P02 P03 P04 P05 P06 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000

IL-12 PHA stimolato

P01 P02 P03 P04 P05 P06

5. Discussione

Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche ha come principale effetto collaterale le perdita di efficienza del sistema immunitario, nell’immediato post- trapianto e nei mesi e negli anni che seguono la procedura. Questo effetto è in parte voluto: viene praticata, come già esposto, un’immunosoppressione farmacologica sul ricevente. Senza questa procedura sarebbe impossibile favorire l’attecchimento ed evitare il rigetto di un prodotto cellulare allogenico. Tranne nei casi di trapianti singenici tra fratelli gemelli monocoriali, anche la massima compatibilità tra donatore e ricevente sui loci maggiori HLA non elimina il problema del potenziale rigetto. Esistono infatti innumerevoli loci “minori” di istocompatibilità, alcuni dei quali ancora largamente sconosciuti, e responsabili di graft-failuire [Spierings 2013]. Un’immunosoppressione adeguata è quindi il primo presupposto per consentire la riuscita di un trapianto di cellule staminali allogeniche, oltre ad un numero sufficiente di cellule staminali per chilogrammo somministrate.

L’immunosoppressione viene praticata anche dopo l’attecchimento e in questo caso la terapia è diretta verso i cloni linfocitari del donatore, per prevenire delle complicanze potenzialmente fatali, quali la GvHD acuta e cronica.

Le terapie di condizionamento danneggiano a loro volta l’immunità. Alcuni dei farmaci usati nei regimi di condizionamento hanno effetto diretto linfocitolitico (ad es. la ciclofosfamide e la fludarabina). Inoltre tutti i chemioterapici sono attivi sulle cellule in ciclo, e quindi ogni chemioterapico è in grado di mandare in apoptosi cloni linfocitari in fase non quiescente.

Il risultato finale è una perdita della funzione immunitaria che l’individuo stesso ha maturato nel corso della sua vita precedente, con conseguente maggiore suscettibilità alle infezioni. Si aggiunga il danno causato dalla chemioterapia all’immunità innata, con la neutropenia che consegue al condizionamento mieloablativo, e il danno alle barriere protettive (ad esempio le mucose) provocato da radiazioni e chemioterapici. Concorrono al recupero dell’immunità specifica i cloni linfocitari residui del ricevente, che possono mantenere o meno delle caratteristiche di memoria o di elementi regolatori, e i linfociti provenienti dal donatore, che appartengono comunque ad un repertorio non selezionato, a meno di metodiche di manipolazione. A questi due processi si aggiunge la neo- ontogenesi di un repertorio naive a partire da precursori midollari. La ricostituzione è quindi un processo che si svolge a ostacoli, e in tempi lunghi, dopo l’esecuzione del trapianto. Il beneficio dell’allotrapianto sta proprio nell’immettere nel paziente cellule di un sistema immunitario differente, allogenico per l’appunto.

Il sistema immunitario è per sua natura un sistema dinamico, plastico, adattabile. Il trapianto allogenico non è quindi una semplice “sostituzione” di un organo affetto da una patologia (il midollo osseo emopoietico, nelle affezioni primitive del midollo quali le leucemie acute), ma un’immunoterapia adottiva in cui si cerca di riprodurre, in un adulto, il fisiologico processo di maturazione di un nuovo sistema immunitario, con lo scopo di eradicare, grazie all’azione combinata della chemio-radioterapia e della sorveglianza immunologica contro i tumori, la patologia ematologica.

Il processo è irto di ostacoli. Il mancato attecchimento, le infezioni intercorrenti in corso di aplasia, il rischio emorragico legato ai valori di profonda piastrinopenia, la tossicità d’organo da parte dei farmaci utilizzati nel condizionamento, la GvHD acuta e iperacuta rappresentano i principali rischi precoci nel trapianto allogenico.

Superato l’attecchimento, i problemi principali del paziente ematologico riguardano essenzialmente i rischi infettivi, legati a patogeni opportunistici, e lo sviluppo di una GvHD acuta, nei primi 100 giorni del post-trapianto, o di una GvHD di tipo cronico. Non dobbiamo dimenticare che questi fattori si influenzano a vicenda. L’attecchimento di una emolinfopoiesi allogenica può essere compromesso dalla riattivazione del Citomegalovirus (CMV), che rappresenta un’evenienza frequente nel trapianto allogenico. La riattivazione del CMV è favorita dallo stato di profonda immunosoppressione, dall’ipogammaglobulinemia, dalla perdita di un repertorio linfocitario memoria, e può causare failure secondarie o periodi di citopenia profonda e protratta. A sua volta, la riattivazione del CMV correla con le “flare” (esacerbazioni acute) di GvHD, soprattutto a livello cutaneo ed enterico. Il fenomeno è noto già dagli anni ’80 [Lönnqvist, 1984 e Miller, 1986]. La GvHD è espressione insieme dell’iperreattività di cloni linfocitari allogenici, che attaccano tessuti e cellule del ricevente riconoscendoli come non-self, e della parziale anergia del sistema immunitario del donatore, legata a una scarsa variabilità del repertorio linfocitario e da stimoli attivatori talvolta insufficienti per poter rispondere a stimoli antigenici di origine microbiologica. Un lavoro del gruppo di Roma [Torelli 2011] ha mostrato una correlazione tra il numero di linfociti Treg circolanti, la comparsa di GvHD e la riattivazione del CMV. Lo studio mostra come, a un anno dall’allotrapianto, la ricomparsa in circolo degli elementi Treg protegga dalla riattivazione del CMV e della GvHD, mostrando al contempo un ruolo delle cellule NK nel prevenire la riattivazione del CMV. Non a caso, nell’ottica di limitare la GvHD e la riattivazione del CMV, in numerosi studi è stata tentala la somministrazione di popolazioni selezionate di linfociti T del donatore (cloni specifici anti CMV, popolazioni Treg). In un altro studio [Specchia, 2008] si dimostra come il recupero dei Treg si accompagni al recupero di elementi CD8+ specifici anti CMV.

È stato inoltre dimostrato come gli effettori di GVL e GvHD siano cellule diverse. Tra i CD4+, è dimostrato che le cellule T memoria non siano responsabili di GvHD [Anderson 2003], e che le cellule “effector memory” sono responsabili dell’effetto GVL [Zheng 2008]. Inoltre, come già commentato, negli adulti la funzione timica residuale è scarsa, e manca quindi il microambiente che consenta la fisiologica maturazione T e un’adeguata selezione dei cloni a reattività intermedia. Una recente review [Velardi, 2013] ha mostrato i potenziali meccanismi per incrementare il rendimento timico (utilizzo di IL-7, fattori di crescita, blocco degli ormoni sessuali). La GvHD, talvolta innescata da CMV, e spesso concomitante ad un calo del valore numerico assoluto di linfociti e leucociti, rappresenta a sua volta una situazione ad alto rischio infettivo. Il rischio è che si inneschi un pericoloso circolo vizioso, in cui è necessario trattare il paziente per il CMV, con farmaci antivirali che hanno una mielotossicità spiccata (ad es. Valganciclovir), non auspicabile nell’immediato post-attecchimento, somministrando

terapia immunosoppressiva allo stesso tempo, aumentando così il rischio infettivo (ad esempio, il trattamento con steroide che si rende talvolta necessario in caso di GvHD favorisce le infezioni fungine). Studi recenti tuttavia [Manjappa 2014] mostrano una minore incidenza di recidiva, soprattutto nelle leucemie mieloblastiche acute, proprio nei pazienti che riattivano CMV nel post allo-trapianto, per un effetto disregolatorio del sistema immune e pertanto ad una possibile attivazione di cloni linfocitari che mediano l’effetto GVL.

Il trapianto allogenico perfetto sarebbe quindi un trapianto da praticare su di un soggetto giovane e senza comorbidità, con una patologia chemio sensibile ed in remissione completa, seguito da un breve periodo di aplasia, un attecchimento precoce, una tossicità nulla del regime di condizionamento, un’identità HLA altamente permissiva, una necessità bassa di immunosoppressione, l’assenza di infezioni intercorrenti, una forte carica di linfociti a funzione antitumorale nel prodotto da reinfondere, una GvHD nulla, una precoce ricostituzione allogenica a partire da precursori midollari che ricostituisca un repertorio efficiente.

Chiaramente, tutte le situazioni reali in cui ci troviamo ad operare nella clinica si discostano a un certo grado dalla situazione ideale, per cui ogni paziente rappresenta un unicum, con una particolare combinazione tra stato di malattia, condizioni del paziente, rapporti tra emogruppi del donatore e ricevente, grado di compatibilità HLA, siero- positività per IgG anti-CMV del donatore e del ricevente, composizione del graft ecc. Nella nostra casistica, la riattivazione del citomegalovirus (CMV) si è verificata nei primi 100 giorni in tutti i pazienti. In due di essi ha comportato un’aplasia protratta. Nel paziente P06 la linfopenia protratta è stata tale da impedire il riconoscimento di popolazioni linfocitarie in tutti i prelievi eseguiti nei primi 100 giorni. Un paziente ha inoltre riattivato l’EBV in concomitanza al CMV. L’incidenza di GvHD acuta di grado III-IV nella nostra casistica è contenuta rispetto ai dati descritti in letteratura (inferiore al 20%). L’episodio si è sviluppato in concomitanza con la riattivazione del CMV. Tenendo conto della brevità del periodo di osservazione, possiamo comunque notare che la mortalità-trapianto relata (TRM) nei 100 giorni sia pari a 0. Questo dato è particolarmente interessante soprattutto alla luce di 2 fattori:

1. I trapianti sono stati tutti eseguiti con condizionamenti mieloablativi. Questo tipo di trapianto è quello con una TRM più elevata

2. Due pazienti su sei hanno ricevuto un prodotto aferetico da donatore aplo- identico. La mortalità dell’allotrapianto da donatore aplo-identico descritta in letteratura è mediamente più elevata che nei donatori familiari e MUD, a causa della maggiore percentuale di rigetti, GvHD fatale e per il maggior rischio infettivo legato alla più profonda immunosoppressione che viene eseguita al fine di evitare i suddetti eventi. Nella nostra casistica, questi due hanno ricevuto un prodotto processato con una selezione in vitro di elementi CD19+ e CD3+ alfa- beta+. Questo ha selezionato negativamente gli elementi principalmente responsabili della GvHD, ovvero gli elementi CD4+e CD8+. Chiaramente, questo implica anche un minore trasferimento di immunità cellulare adottiva, che però nei primi 100 giorni nella nostra casistica non si è riflesso in una maggiore incidenza di infezioni opportunistiche. Come descritto in letteratura, la riattivazione del CMV è molto frequente nel trapianto aploidentico. Il paziente P06 ha avuto una lunga riattivazione citomegalica, che, seppur trattata farmacologicamente e asintomatica, ha comportato neutropenia e linfopenia protratte.

Inoltre, esiste un pericolo legato alla recidiva o progressione della neoplasia ematologica di base. Tra le popolazioni linfocitarie, sono note le proprietà antitumorali di alcune di esse. Le cellule NK, ad esempio, sono responsabili del killing in vivo e in vitro di cellule tumorali. Allo stesso modo, cloni CD4+ o CD8+ mostrano talora specificità di bersaglio proprio verso antigeni espressi dalle cellule neoplastiche. I linfociti T γδ hanno un potenziale citotossico e sappiamo oggi essere in grado di uccidere le cellule tumorali di alcune neoplasie ematologiche. Chiaramente, i linfociti ad attività tumoricida riescono a controllare e a neutralizzare la malattia se quest’ultima ha una massa minima. Numerosi studi mostrano come il trapianto allogenico converta stati in cui è possibile riscontrare una “malattia minima residua” in vere e proprie remissioni complete, mentre sappiamo che è quasi impossibile guarire con il trapianto allogenico pazienti con malattia attiva e fortemente rappresentata, così come sappiamo che il trapianto ha scarsi effetti sulle patologie ormai non più chemio-sensibili. Nella nostra casistica, tutti i pazienti sono stati sottoposti al TMO in buona risposta alle precedenti linee di terapia. Nessuno ha presentato progressione o recidiva nei primi 100 giorni.

I pazienti hanno tutti avuto un attecchimento dei neutrofili, delle piastrine e degli eritrociti intorno al giorno +15, senza particolari differenze tra pazienti con donatori diversi. Il chimerismo su sangue midollare superiore al 95% in tutti i pazienti conferma ciò che è visibile dall’esame emocromocitometrico. Non è stato eseguito il chimerismo sui linfociti periferici.

Le immunoglobuline rappresentano la principale arma dell’immunità circolante. Tanto le patologie emoprolioferative di base, quanto le terapie mirate ad estinguerle hanno un impatto sulla produzione di immunoglobuline da parte di linfociti B e plasmacellule. Le patologie linfoproliferative interferiscono direttamente col signaling intercellulare e provocano una paralisi del sistema immunitario. L’immunosoppressione ha spesso come bersaglio proprio cellule producenti anticorpi. Il CMV si replica nei linfociti B, come l’EBV, e causa ipogammaglobulinemia. Con questi dati, è facile spiegare per quale motivo il livello medio basale delle delle 3 principali sottoclassi di immunoglobuline sia inferiore ai valori normali. Successivamente, i valori tendono ad una modesta flessione, prodotta sicuramente dall’immunosoppressione, ma non calano drammaticamente, come evidenziabile dai valori medi al giorno +30. Ciò può essere spiegato con l’utilizzo nel condizionamento di farmaci attivi soprattutto sul repertorio T, ma è pur vero che una corretta produzione di immunoglobuline dipende dalla cooperazione tra T-helper e linfociti B. In ogni caso, alcuni anticorpi “naturali” sono prodotti continuamente, quindi il potenziale effetto tossico del condizionamento su alcuni cloni B può essere temporaneamente “mascherato” dalla produzione di anticorpi naturali prodotti da linfociti e plasmacellule che aumentino il loro livello secretivo non tanto in risposta a stimoli antigenici specifici, quanto per un meccanismo di omeostasi, simile a quello che regola la proliferazione dei linfociti T circolanti (vedi oltre). L’incremento delle IgM in ben due pazienti (P05 e P06) ai 100 giorni dal trapianto rispetto ai valori basali è un possibile epifenomeno di questo processo. Risulta infatti difficile pensare che le IgM a questo tempo possano essere il prodotto di una ricostituzione B che abbia già raggiunto un cospicuo livello di elementi B naive.

Non esistono al momento studi che abbiamo dimostrato il ruolo dei livelli di zinco nei pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali. Stati di zinco deplezione inducono profonda immunodepressione. Numerosi studi hanno dimostrato che uno stato di zinco deplezione e conseguente immunodepressione è costitutivo in alcune popolazioni, quali anziani defedati, pazienti immunodepressi (ad es. per AIDS), paziente a lungo sottoposti a terapia cortisonica, pazienti oncologici. Le cause di zinco-deficienza sono molteplici.

Un’ alimentazione ristretta ad alcuni cibi, il digiuno prolungato, la diarrea, anche da chemioterapici, l’iporessia, l’aumento di eliminazione intestinale dello zinco indotta dai glucocorticoidi sono tra le cause più frequenti di carenza. Tutte le cause sopracitate possono verificarsi nel post-trapianto. Ciononostante, i valori di zinco misurati nel nostro studio non hanno mostrato alcuno stato carenziale, né nel pre-trapianto, né tantomeno nei 100 giorni successivi, nonostante l’utilizzo di steroidi, la restrizione della dieta prevista dalla procedura, la diarrea secretiva da mucosite sperimentata da tutti i pazienti nel post-condizionamento e lo stato infiammatorio sistemico legato a cause infettive o dalla GvHD. Ciononostante, il ruolo dello zinco nel trofismo del sistema immunitario va ben oltre il suo dosaggio plasmatico. Alcuni studi hanno dimostrato come la supplementazione dietetica possa portare benefici in pazienti anziani o immunocompromessi anche in presenza di valori di zinchemia normali. Col nostro studio abbiamo, a tal proposito, dimostrato che non si insatura uno stato carenziale nei pazienti sottoposti a trapianto allogenico. Studi successivi chiariranno se i pazienti sottoposti a chemioterapia ad alte dosi beneficino della supplementazione dietetica nell’ottica di una più robusta e precoce ricostituzione della funzione immunitaria.

Pur risultando difficile estrapolare una tendenza generale da sole sei osservazioni, e con una conta assoluta leucocitaria fluttuante per una molteplicità di fattori, è possibile delineare un quadro di ricostituzione immunologica complessiva delle varie popolazioni.

Al tempo 0, gli elementi CD45RA + sono la popolazione predominante; i linfociti γδ e T-reg sono ben rappresentati. I CD45RA+ sono da considerarsi come linfociti T regolatori. Infatti, studiando le sottopopolazioni è possibile osservare come gli elementi con caratteristiche di linfociti T naive siano al tempo T0 scarsamente rappresentati. Le cellule γδ sono presenti in numero normale a questo tempo. Nel caso del paziente P05, possiamo osservare che questo paziente, affetto da leucemia acuta mieloblastica, è stato sottoposto a trapianto allogenico in seconda remissione completa, ed è stato pesantemente pretrattato con cicli polichemioterapici. Gli elementi CD45R0+, linfociti T memoria, rappresentano in questa fase una percentuale di linfociti T circolanti minoritaria. A seguito del condizionamento tutti i pazienti sviluppato linfopenia di grado elevato. La ripresa nella conta linfocitaria è apprezzabile a partire dal giorno +30. Allo stesso tempo, le cellule NK sono fortemente rappresentate, con una percentuale media del 51,5 %.

In alcuni pazienti, come il paziente P02, la crescita degli elementi NK è talmente

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