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Profili di rischio e anatomia di una crisi

I. Il diritto dei mercati finanziari

3. Profili di rischio e anatomia di una crisi

Le premesse iniziali e l’analisi della disciplina italiana in materia di diritto dei mercati finanziari consentono, in via preliminare, alcune considerazioni. Si tratta, indubbiamente, di un settore economico, finanziario e giuridico in continua espansione e dalla rilevanza crescente nell’ambito dell’economia globale, ma anche di un ambito contraddistinto per definizione dall’elemento del rischio, il quale ricade precipuamente in capo ai risparmiatori. Infatti, nonostante l’evoluzione della normativa italiana, europea e internazionale in materia di tutela di questi ultimi, tenderà sempre a sussistere un tasso fisiologico di asimmetria informativa tra clienti

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al dettaglio, perlopiù persone comuni dalla scarsa educazione finanziaria, e intermediari, ossia soggetti altamente qualificati. Come si osserverà nei capitoli successivi del presente elaborato, tali asimmetrie informative, abbinate alla condotta sovente spregiudicata degli operatori, sono state tra le cause principali dei grandi crac finanziari della nostra epoca, i quali non hanno rappresentato altro che l’anticamera della Grande Crisi del 2008, la risoluzione delle cui conseguenze, dirette o indirette, è tutt’ora all’ordine del giorno presso Stati, istituzioni finanziarie e consessi internazionali.

Una crisi finanziaria, invero, può cominciare in diversi modi e i suoi semi sono spesso gettati quando un’economia introduce nuove tipologie di prestiti o di altri prodotti finanziari, avviando un processo di innovazione, ovvero quando i Paesi danno inizio alla cosiddetta liberalizzazione finanziaria, cioè all’eliminazione delle restrizioni sugli intermediari e sui mercati finanziari. Nel breve periodo, infatti, la liberalizzazione può spingere le istituzioni finanziarie verso una veloce espansione del credito, ma non sempre i prestatori sono in possesso delle competenze adeguate a gestire appropriatamente il rischio. Anche in presenza di un management adeguato, questa dilatazione dei crediti tenderà a comportare un superamento dell’abilità delle istituzioni finanziarie e delle Autorità di regolamentazione nel vagliare e nel monitorare il rischio di credito, determinando la circolazione nel mercato di prestiti eccessivamente rischiosi. Confidando in reti di protezione statali come l’assicurazione sui depositi, le banche e gli altri intermediari finanziari possono concedere prestiti a tassi di interesse elevati ai debitori, sapendo che otterranno notevoli profitti se i debiti saranno rimborsati e che, in ogni caso, potranno soddisfarsi grazie alle reti di cui sopra, finanziate dai contribuenti, nell’eventualità di un fallimento dei debitori. Quindi, le perdite sui prestiti iniziano ad

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aumentare e il valore di questi ultimi cala relativamente alle passività, riducendo, perciò, il capitale netto di banche e istituzioni finanziarie. Disponendo di meno capitale, tali istituzioni procedono a un drastico rientro dai loro prestiti ai debitori, mediante un processo chiamato deleveraging, il quale induce anche i creditori e gli altri potenziali prestatori a ritirare o a non concedere i propri fondi. A una minore disponibilità di fondi corrisponde una diminuzione dei prestiti, cioè una stretta creditizia. Nel momento in cui gli intermediari cessano di raccogliere informazioni e di erogare prestiti, aumentano le frizioni finanziarie, limitando la capacità del sistema di affrontare i problemi di asimmetria informativa relativi alla selezione avversa e all’azzardo morale. I prezzi di attività come i titoli azionari e gli immobili, dal canto loro, possono essere spinti ben al di sopra dei loro valori economici fondamentali, basati su aspettative realistiche circa i flussi futuri di reddito delle attività. L’allontanamento al rialzo dei prezzi di queste ultime dai rispettivi fondamentali prende il nome, universalmente noto anche a livello mediatico, di bolla, alcuni esempi del quale saranno esaminati nel capitolo successivo (infra, II). Quando, in seguito, le bolle scoppiano e i prezzi delle attività si riavvicinano ai loro fondamentali, i valori mobiliari e immobiliari crollano e le società si ritrovano con un capitale netto diminuito, insieme al valore delle garanzie reali che possono offrire ai creditori.

Ha inizio, così, la seconda fase di ogni crisi finanziaria. Il deterioramento dei bilanci e il peggioramento delle condizioni di operatività porta alcune istituzioni finanziarie, incapaci di rimborsare depositanti e altri creditori, all’insolvenza e alla dichiarazione di fallimento, allorché il capitale netto diviene negativo. Se assumono forme particolarmente severe, questi fattori possono condurre al fallimento di una pluralità di banche e di imprese finanziare in contemporanea, che prende il nome di panico

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bancario. Anche in relazione a questo fenomeno, la fonte del “contagio” risiede nelle asimmetrie informative. Durante un panico bancario, infatti, i depositanti, temendo per la sicurezza dei loro risparmi e non essendo in grado di valutare la qualità del portafoglio prestiti delle banche, chiedono in massa la restituzione dei propri fondi, portando rapidamente all’insolvenza delle banche medesime. L’incertezza circa la salute del sistema bancario in generale, quindi, può determinare una “corsa agli sportelli” in grado di coinvolgere anche gli istituti sani, la quale costringerà le banche a liquidare forzosamente le proprie attività per raccogliere i fondi necessari. La crisi finanziaria, quindi, con un effetto a catena, porta al fallimento di imprese in tutto il sistema economico e, alla fine, le Autorità pubbliche e private ne impongono l’estromissione dal mercato, con conseguente liquidazione.

Infine, la contrazione economica determina il fenomeno della deflazione del debito, consistente nel sopraggiungere di un forte e imprevisto declino dei prezzi che, a sua volta, comporta un ulteriore deterioramento del capitale netto delle imprese, dovuto all’aumento dell’indebitamento. Nelle economie in cui l’inflazione è contenuta, come nella maggior parte dei Paesi industrializzati, molti contratti di debito con tassi di interesse fissi hanno scadenze piuttosto lunghe, solitamente decennali. Poiché i pagamenti dei debiti sono stabiliti contrattualmente in termini nominali, un inatteso calo dei prezzi accresce il valore delle passività delle imprese indebitate in termini reali, mentre il valore delle attività rimane immutato. Di conseguenza, il capitale netto diminuisce. I prestiti e l’attività economica, dunque, subiscono un ridimensionamento e un rallentamento a tempo indefinito. La più significativa crisi finanziaria che ha dispiegato il fenomeno della deflazione del debito

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è stata la Grande Depressione, ancora oggi considerata come la peggiore recessione economica della Storia256.

256 F. S. Mishkin, S. G. Eakins e G. Forestieri, Istituzioni e mercati finanziari, pp. 165-

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