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La product governance: profili storico-evolutivi e disciplina attuale

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Academic year: 2021

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Indice

INTRODUZIONE ... 5

I. Il diritto dei mercati finanziari ... 7

1. Nozioni generali ... 7

2. Disciplina in Italia ... 8

a. Il TUF ... 8

b. Cenni all’attività rilevante e distinzione da materie affini ... 9

c. Lo strumento finanziario ... 11

d. L’attività rilevante ... 25

i. Prestazione di servizi di investimento ... 25

ii. Gestione collettiva del risparmio ... 40

iii. Offerta al pubblico di strumenti finanziari ... 56

e. Disciplina degli intermediari ... 60

i. Riserva di attività ... 60

ii. Vigilanza ... 62

iii. Accesso all’attività ... 68

iv. Svolgimento dell’attività ... 72

3. Profili di rischio e anatomia di una crisi ... 93

II. Casi storici e la prima direttiva MiFID ... 98

1. Enron ... 98

2. Tango Bond ... 108

3. Parmalat ... 111

a. L’inizio dell’ascesa ... 111

b. L’espansione internazionale, la finanza creativa e il caso Odeon Tv 112 c. La quotazione in Borsa e i prestiti obbligazionari ... 114

d. La diversificazione e la “Parmalat parallela” ... 116

e. Ulteriori acquisizioni, l’affare Eurolat e l’intervento dell’AGCM 120 f. Dubbi sulle società di revisione ... 122

g. Il fondo Epicurum... 123

h. L’aumento dell’indebitamento ... 125

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j. Il fallimento e l’apertura dei procedimenti giudiziari ... 134

k. Riflessioni sull’inadeguatezza della vigilanza ... 136

4. Cirio ... 138

a. Il background di Sergio Cragnotti ... 138

b. L’acquisizione della Cirio e le ramificazioni internazionali del gruppo ... 139

c. Le premesse del default ... 140

d. Il crollo e il fallimento dei piani di ristrutturazione ... 142

e. Le polemiche tra il Governo e la Banca d’Italia ... 146

5. Una risposta comune europea: la normativa MiFID ... 147

a. Natura giuridica e ratio ... 147

b. Struttura e contenuto normativo ... 152

i. Definizioni e ambito di applicazione ... 152

ii. Condizioni per l’autorizzazione e l’esercizio delle attività applicabili alle imprese di investimento ... 153

iii. Mercati regolamentati ... 160

iv. Autorità competenti ... 163

v. Disposizioni finali ... 167

c. Criticità ... 167

III. La Grande Crisi del 2008 ... 169

1. Cause ... 169

a. Il “sistema” subprime ... 170

b. L’inizio della crisi: dal crac della Lehman Brothers al piano TARP 179 c. L’intervento della Federal Reserve ... 187

d. Russia ed Europa dell’est ... 189

e. La reazione cinese e la recessione asiatica ... 192

f. Tentativi di risposta e l’introduzione degli stress test ... 194

g. La legge Dodd-Frank ... 197

2. Conseguenze sui mercati finanziari europei: la crisi del debito sovrano ... 198

a. Il contesto ... 198

b. La crisi greca e la creazione della “troika” ... 200

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d. Il piano franco-tedesco ... 205

e. Il fiscal compact ... 206

f. La svolta ... 209

3. Esigenza di una revisione della normativa ... 211

IV. La product governance ... 214

1. Nella direttiva MiFID II: definizione ... 214

2. Gli orientamenti dell’ESMA ... 220

a. Orientamenti per i produttori ... 221

b. Orientamenti per i distributori ... 223

c. Questioni applicabili a entrambe le categorie ... 231

3. Il recepimento in Italia ... 236

a. Nel TUF ... 236

b. Nel regolamento intermediari ... 237

CONCLUSIONI ... 247

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RINGRAZIAMENTI

Essendo ormai giunto al termine degli studi, mi sento in dovere di rivolgere i miei più sentiti ringraziamenti, oltre che alla mia relatrice, alla mia famiglia, che mi ha fornito i mezzi per affrontare e per concludere questo lungo percorso, iniziato ben prima che mi iscrivessi all’Università, e che non mi ha mai fatto mancare il proprio sostegno, tanto nei pochi momenti negativi, esortandomi a continuare a lavorare con fiducia, quanto in quelli positivi, non esitando a stendermi, se necessario, un tappeto rosso;

ai miei amici, i quali, con il loro silenzioso e fraterno contributo quotidiano, hanno reso sopportabili questi cinque anni di studio, consentendomi, talvolta, di fare appello a energie che non credevo di possedere.

“[…] come natura lo suo corso prende Dal divino ‘ntelletto e da sua arte;

e se tu ben la tua Fisica note, tu troverai, non dopo molte carte, che l’arte vostra quella, quanto pote, segue, come ‘l maestro fa ‘l discente; sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote.

Da queste due, se tu ti rechi a mente Lo Genesì dal principio, convene Prender sua vita e avanzar la gente;

e perché l’usuriere altra via tene, per sé natura e per la sua seguace dispregia, poi ch’in altro pon la spene”

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INTRODUZIONE

L’oggetto principale del presente lavoro è costituito da un complesso di procedure e di norme organizzative, conosciuto come

product governance e introdotto, a livello comunitario, dalla

direttiva MiFID II, entrata in vigore agli inizi del 2018. Trattandosi, tuttavia, di un argomento marcatamente specifico e settoriale, oltre che appartenente a una materia, ossia il diritto dei mercati finanziari, che, per definizione, agli occhi di coloro che non possiedono una adeguata preparazione, non risulta di facile comprensione, si è resa necessaria, in fase di esposizione, l’adozione di un approccio generico, al fine di introdurre il lettore, innanzitutto, ai fondamenti teorici della disciplina in esame. Dopodiché, la trattazione prosegue con una esposizione analitica della normativa vigente in Italia, dedicando un’attenzione particolare alle regole concernenti la tutela dei risparmiatori, nel cui alveo si colloca, a valle, la product

governance. Seguendo questo costante fil rouge, vengono, in

seguito, descritti alcuni tra i più significativi, tanto a livello economico e giuridico quanto a livello mediatico, dissesti finanziari nazionali e internazionali degli ultimi vent’anni, esempi paradigmatici di quali possano essere le conseguenze della mancanza di un adeguato apparato preventivo e di protezione, con relative ricadute sul tessuto sociale di uno Stato. Dopo una dettagliata analisi della prima direttiva MiFID, la quale ha rappresentato un primo tentativo, da parte delle istituzioni comunitarie, di armonizzare le discipline degli Stati membri in materia, sono esposte le cause e le conseguenze della più grande crisi finanziaria globale, paragonata dagli analisti alla Grande Depressione degli anni ’30 e battezzata dai mezzi di informazione Grande Crisi o Grande Recessione, la quale ha dimostrato tragicamente l’inadeguatezza delle norme vigenti. La product

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governance, invero, con il suo innovativo carattere preventivo, si

colloca nel solco della risposta comune europea a quest’ultimo avvenimento storico. Indubbiamente, l’irreversibile stato di integrazione economica raggiunto dalle economie globali, a partire dagli anni ’90, rende ormai impossibile, oltre che anacronistico, che un solo Stato, perfino il più potente, come si vedrà, riesca autonomamente a fronteggiare eventi come le moderne crisi e i mercati finanziari, con le loro dinamiche celeri e con la loro miriade di sfaccettature applicative, rappresentando il paradigma della globalizzazione in parola, nel bene e nel male, richiedono, di conseguenza, un corpus normativo sempre più integrato, condiviso ed efficiente.

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LA PRODUCT GOVERNANCE Profili storico-evolutivi e disciplina attuale

I. Il diritto dei mercati finanziari

1. Nozioni generali

Nella moderna economia globalizzata, caratterizzata da una progressiva rarefazione degli antichi confini politici, culturali ed economici, un ruolo di fondamentale importanza è svolto dai mercati finanziari, tramite i quali, con tempi tecnici resi sempre più brevi dall’evoluzione della tecnologia informatica e digitale, soggetti pubblici e privati, contraddistinti da un’elevata disponibilità di risorse, possono trasferire queste ultime presso altri soggetti e settori del mercato che, al contrario, necessitano di capitale da investire, instaurando rapporti di credito dalla natura più variegata. In questo senso, seguendo un approccio atecnico e non giuridico, l’impresa finanziaria si configura come un’attività capace di attrarre capitali dai privati, per poi farli affluire a chi ne ha bisogno per esercitare la propria attività, come società, enti o pubbliche amministrazioni; lo spostamento delle risorse, abbinato all’intermediazione nella circolazione di denaro dai risparmiatori alle imprese e alle pubbliche amministrazioni, da soggetti “in attivo” a soggetti “in passivo”, rappresenta senza dubbio il fulcro del funzionamento dei mercati finanziari, i quali, se efficienti, costituiscono un elemento chiave per la crescita economica. Alla luce della rilevanza di tale settore, si è resa necessaria l’introduzione, da parte degli ordinamenti giuridici, di un’apposita normativa che lo regolasse e l’insieme delle norme che, nel corso dei decenni, sono state introdotte a tal fine, tanto a livello nazionale

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quanto a livello comunitario, prende il nome di diritto dei mercati finanziari.

2. Disciplina in Italia

a. Il TUF

In Italia, la fonte principale del diritto dei mercati finanziari è rappresentata dal d.lgs 24 febbraio 1998 n. 58, meglio conosciuto come Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF).

Tale normativa, entrata in vigore il 1° luglio 1998, venne predisposta su impulso della legge comunitaria per il 1994, la quale delegava al governo1 l’emanazione di un testo unico che coordinasse in un corpus organico le varie leggi vigenti in materia. L’opera di riforma, coordinata dall’allora direttore generale del Ministero del Tesoro, Mario Draghi, verteva, innanzitutto, sull’esigenza di introdurre una legislazione semplice, ancorata su principi generali, lasciando le specificazioni tecniche ai regolamenti e, ove possibile, all’autoregolamentazione dei mercati e degli stessi intermediari finanziari. In sede di stesura del TUF, inoltre, si perseguì un rafforzamento degli impianti di governance dei soggetti attivi sui mercati finanziari, allo scopo, in particolare, di specificarne gli obblighi informativi nei confronti dei risparmiatori e del mercato.

Più volte innovato dalla normativa europea, come vedremo in seguito, il TUF, diviso in sei parti, cui si aggiunge un allegato, costituisce tutt’ora, a vent’anni dalla sua introduzione, la fonte principale del diritto dei mercati finanziari italiano e, con

1 Artt. 8 e 21 legge comunitaria per il 1994

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riferimento ad esso, si svolgerà un’analisi della disciplina della materia nel nostro ordinamento.

Tuttavia, prima di dare inizio a quest’ultima, si rende utile, oltre che necessario, delineare la struttura sistematica del Testo unico in esame.

• Parte I-Disposizioni comuni (Artt. 1-4 terdecies)

• Parte II-Disciplina degli intermediari (Artt. 5-60 bis.4 bis) • Parte III-Disciplina dei mercati (Artt. 60 ter-90 septies) • Parte IV-Disciplina degli emittenti (Artt. 91-165 septies) • Parte V-Sanzioni (Artt. 166-196 bis)

• Parte VI-Disposizioni transitorie e finali (Artt. 197-216)

• Allegato I (Elenco dei servizi, delle attività e degli strumenti finanziari)

b. Cenni all’attività rilevante e distinzione da materie affini

A differenza di altre branche dell’ordinamento giuridico come, ad esempio, il diritto commerciale, il quale è strutturato intorno ad un soggetto specifico, ossia colui che l’art. 2082 c.c. definisce “imprenditore”, il diritto dei mercati finanziari è costruito, innanzitutto, sull’oggetto della sua disciplina, cioè su due attività rilevanti: la prestazione di servizi di investimento e la gestione

collettiva del risparmio.

Dopodiché, partendo dalla loro descrizione, è possibile risalire alle caratteristiche di chi è abilitato a svolgerle, tenendo conto, nel prosieguo dell’analisi, di un ulteriore elemento essenziale, ossia la tutela dei risparmiatori.

Prima di tutto, però, è necessario circoscrivere il margine operativo della materia, trovandosi quest’ultima a stretto contatto con altre, ad

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essa collaterali e concernenti alcuni principi in comune. È il caso, in particolare, del diritto bancario e del diritto assicurativo, poiché entrambe le attività che ne costituiscono l’oggetto possono essere definite finanziarie, svolgendo a loro volta una funzione intermediaria nella circolazione del denaro.

L’attività disciplinata dal diritto dei mercati finanziari, tuttavia, non è né bancaria né assicurativa, essendo, invece, legata ad un particolare mercato, quello mobiliare, al cui interno vengono commercializzati gli strumenti finanziari.

La differenza principale che intercorre tra l’attività rilevante ai nostri fini e quella bancaria risiede in un aspetto che, per la sua indiscutibile importanza teorica e, al tempo stesso, applicativa, merita di essere puntualizzato analiticamente.

Il soggetto che intende esercitare l’attività bancaria, consistente nella raccolta del risparmio tra il pubblico e nell’esercizio del credito, è tenuto, ai sensi del d.lgs 1° settembre 1993 n. 385, meglio noto come Testo Unico Bancario (TUB), a costituirsi come impresa bancaria. Quest’ultima, contestualmente all’attrazione presso di sé del risparmio, proveniente, come premesso, dal pubblico, cioè da soggetti “in attivo” non raccolti in una categoria specifica, assume un obbligo di rimborso nei loro confronti, divenendo depositaria di risorse che, in seguito, dovrà restituire.

È proprio in questa caratteristica che risiede l’elemento disgiuntivo tra l’impresa bancaria e l’impresa finanziaria, poiché quest’ultima, pur raccogliendo il risparmio, non solo non esercita attività creditizia, ma anche e soprattutto non assume alcun obbligo di rimborso. Inoltre, essa può essere esercitata anche dai cosiddetti “soggetti parabancari”, enti non qualificati, sul piano giuridico, come banche, sulla cui natura ci soffermeremo più avanti. Ad ogni modo, è possibile assistere anche al fenomeno, ampiamente diffuso

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nella prassi, delle imprese bancarie che svolgono anche attività parabancarie, venendo perciò definite “banche universali”. È essenziale, comunque, ribadire come non possa verificarsi il fenomeno inverso, poiché l’attività bancaria può essere esercitata solo dai soggetti che, in base al TUB, sono riconosciuti come banche.

c. Lo strumento finanziario

Conclusa questa doverosa puntualizzazione, possiamo tornare a soffermarci sul principale ambito applicativo della materia, ossia il mercato mobiliare, all’interno del quale, come premesso, vengono commercializzati gli strumenti finanziari.

Innanzitutto, occorre specificare che la definizione di strumento finanziario fornitaci dal TUF2, pur essendo rilevante per il diritto

dei mercati finanziari e, di conseguenza, per la presente trattazione, non sia l’unica, poiché, in altri settori dell’ordinamento, è possibile individuarne altre, come accade nel caso degli strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi, disciplinati dal diritto commerciale3.

Detto ciò, soffermandoci sullo strumento finanziario nella sua accezione attinente al mercato mobiliare, enunciare una definizione univoca e tecnica del medesimo è un compito arduo, poiché il TUF si limita a fare riferimento a “qualsiasi strumento riportato nella

sezione C dell’allegato I”4. In sostanza, il Testo Unico rinvia ad un

elenco prescrittivo di strumenti finanziari, senza specificare di cosa si tratti realmente; esso fornisce una definizione normativa, ma non descrittiva, non cogliendo l’essenza del bene-strumento finanziario.

2Art. 1 c. 2 TUF

3 Artt. 2346 e 2411 c.c. 4 Art 1 c. 2 TUF

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Quest’ultimo può essere configurato come qualcosa di oscuro, di non tangibile, una sorta di aspettativa di guadagno che, tuttavia, potrebbe non essere rispettata, oppure come un bene che, a sua volta, nasconde ulteriori attività. Interpretando il c.1 l. u dello stesso art. 1 TUF, tuttavia, è possibile ottenere qualcosa di molto simile a una vera e propria definizione tecnica di strumento finanziario. La norma, infatti, enuncia che sono prodotti finanziari “gli strumenti

finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”.

Lo strumento finanziario, quindi, è in primis una species del genus costituito dal prodotto finanziario, per quanto non sia sempre vero il contrario e, in secundis, una forma di investimento di natura finanziaria.

Le imprese finanziarie, pertanto, effettuano investimenti di natura finanziaria con il denaro raccolto tra il pubblico. Affinché un investimento abbia la natura di cui sopra, occorre che esso sia in grado di garantire a chi fornisce il capitale non solo il rientro del medesimo, ma anche e soprattutto una remunerazione. Giova precisare che il rischio, in questo tipo di attività e a differenza di quanto accade in altri settori, tra cui, ad esempio, quello della già citata impresa bancaria, resta sempre a carico del risparmiatore, non venendo mai trasferito in capo all’intermediario.

Occorre, in altre parole e concludendo l’esame del concetto teorico di strumento finanziario, il requisito della finanziarietà, traducibile nella sussistenza della possibilità di un guadagno potenziale. La causa finanziaria si distingue da quella meramente commerciale, poiché quest’ultima mira esclusivamente allo scambio di beni e servizi, mentre la prima è volta all’incremento della somma investita. Tale presupposto è il minimo comune denominatore del già menzionato elenco di categorie di strumenti finanziari che ci viene fornito dall’art. 1 c .2 TUF e che, adesso, osserveremo nel dettaglio.

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Le singole tipologie di strumenti finanziari si dividono, ai sensi del TUF, in due categorie, ossia in strumenti non derivati5 e derivati6, le quali saranno esaminate in quest’ordine.

• Valori mobiliari

Si tratta di azioni di società, di altri titoli equivalenti a queste ultime, ad azioni di partnership e di altri soggetti e ricevute di mercato azionario; di obbligazioni e altri titoli di debito, comprese le relative ricevute di deposito; di qualsiasi altro valore mobiliare che consenta di acquisire o di vendere quelli di cui sopra o che comporti un regolamento a pronti con riferimento a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, merci o altri indici o misure.7

Essi sono, quindi, i valori che possono essere negoziati nel mercato mobiliare, inteso come mercato dei capitali, come luogo in cui il denaro dei risparmiatori confluisce verso pubbliche amministrazioni ed imprese che ne hanno necessità.

Una puntualizzazione si rende necessaria, per chiarezza espositiva, sulla natura e sulla struttura delle azioni di società e delle obbligazioni, cioè delle due categorie di valori mobiliari più diffuse e più commercializzate nella prassi, come la lettera della norma, indicandole per prime, non manca di far notare.

Cominciando dalle azioni, occorre tenere presente che, in base a quanto previsto dalla disciplina delle società per azioni, queste ultime, per capitalizzarsi, emettono quote di partecipazione8; le azioni non sono altro che tali quote e il valore nominale di ciascuna corrisponde ad una frazione del capitale sociale.

Le obbligazioni, invece, sono titoli di debito, strumenti finanziari che vengono emessi a fronte di un prestito, con la prospettiva di ottenere il rientro ed una remunerazione, un quid pluris rispetto a

5 All. I, Sez. C, nn. 1-3 TUF

6 All. I, Sez. C, nn. 4-10 TUF 7 Art. 1 c .1-bis TUF 8 Art. 2346 c.c.

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quanto investito.9 La ratio che soggiace all’emissione di un’obbligazione è, nella prassi, l’esigenza, da parte della società emittente, di reperire liquidità.

Di conseguenza, mentre l’azionista acquisisce la qualità di socio, investendo sulla buona riuscita dell’attività sociale e, pertanto, concorrendo al rischio che ne deriva, l’obbligazionista, al contrario, pur effettuando un investimento, non diviene socio, mantenendo la sola qualità di creditore. Egli, infatti, è titolare di un diritto di credito perfetto al rimborso, alla data prestabilita, del capitale investito, a prescindere dall’andamento, positivo o negativo, dell’attività sociale, nonché di un diritto alla liquidazione periodica di un interesse il cui tasso viene determinato al momento della stipulazione del contratto.

Possiamo affermare, in conclusione, che l’obbligazione sia uno strumento finanziario più sicuro, ancorché, allo stesso tempo, meno redditizio rispetto all’azione, deducendo, perciò, che azionisti e obbligazionisti costituiscano, agli occhi dell’intermediario, due tipologie diverse di clienti, le cui differenti esigenze dovranno essere adeguatamente considerate, come specificheremo in altra sede.

• Strumenti del mercato monetario

Mentre azioni e obbligazioni vengono emesse da società di diritto privato che fanno appello al pubblico risparmio, gli strumenti in questione sono emessi dallo Stato, sulla base della medesima ratio. È il caso dei titoli di Stato, fra cui annoveriamo i Buoni ordinari del tesoro (BOT)10. A cambiare, rispetto ai valori mobiliari tout court,

è soltanto il soggetto emittente e non anche la sostanza dello strumento in quanto tale.

9 Art. 2411 c.c.

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È necessario precisare, per completezza espositiva, che quello monetario sia un segmento fondamentale dei mercati finanziari, poiché è la sede in cui viene raccolta la liquidità necessaria al funzionamento del sistema finanziario globale11. Come la cronaca degli ultimi anni ci ha insegnato, infatti, l’ampliarsi del differenziale tra i tassi di rendimento dei titoli di Stato, conosciuto anche con l’anglicismo “spread”, è un classico indicatore di tensione sul mercato monetario, con potenziali gravi conseguenze non solo sul piano economico-finanziario, ma anche politico.

• Quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio In questo caso, si fa riferimento alle quote dei suddetti organismi (OICR), i quali gestiscono, in ossequio al loro ruolo istituzionale, il denaro altrui in modo collettivo, destinandolo a determinate attività e a determinati investimenti. Esamineremo in seguito (infra, I, 2, d,

ii) le caratteristiche dei singoli OICR, ossia dei fondi comuni di

investimento e delle società di investimento a capitale variabile e fisso (rispettivamente, SICAV e SICAF), chiarendo in cosa differiscano a livello giuridico-strutturale, con una menzione particolare per le rispettive quote di partecipazione12.

Le tre categorie di cui sopra, le quali, giova rammentarlo, compongono la macro-categoria degli strumenti finanziari non derivati, presentano due elementi in comune.

In primis, sono tutti strumenti che provengono da un emittente. Nel

caso dei valori mobiliari, l’emittente è una società per azioni di diritto privato; gli strumenti del mercato monetario, come descritto, vengono emessi dallo Stato; le quote di partecipazione ad OICR, infine, provengono da organismi istituzionalmente deputati a gestire il patrimonio altrui.

11 G. Marotta, Mercato monetario, Dizionario di economia e finanza, Istituto

dell’Enciclopedia Italiana Giovanni Treccani, 2012, p.111

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In secondo luogo, essi sono accomunati dall’elemento cardine della

negoziabilità, della possibilità di circolazione, la quale, pur

mutando da strumento a strumento, ben potendo anche essere ridotta ai minimi termini, deve comunque sussistere, poiché rappresenta una “via di fuga” per il risparmiatore, che si vede sempre riconosciuta la facoltà di cedere a terzi il titolo in questione, onde farsi restituire quanto investito, senza essere costretto necessariamente ad attendere che l’emittente effettui il rimborso, sopraggiunta la naturale scadenza del rapporto.

Come premesso, non tutti gli strumenti finanziari presentano la stessa negoziabilità. I valori mobiliari, infatti, fanno riferimento ad una negoziabilità potenziale, mentre gli strumenti del mercato monetario sono ampiamente negoziabili per definizione, essendo contraddistinti da una significativa liquidità; per le quote di OICR, infine, la negoziabilità è implicita, essendo insita nella struttura, nella modalità di funzionamento degli OICR medesimi, come specificheremo in seguito.

Abbiamo accennato al fatto che i valori mobiliari siano caratterizzati da una negoziabilità potenziale. Ebbene, azioni e obbligazioni sono negoziabili anche se non sono quotate nel mercato regolamentato13, al cui interno venditori e acquirenti, messi in contatto da una società di gestione, effettuano negoziazioni in via telematica. Il più rilevante vantaggio rappresentato dalla quotazione in Borsa di un titolo, tuttavia, consiste proprio nella possibilità che ne deriva di verificare, in modo chiaro e inequivoco, la sua negoziabilità e sorge spontaneo il dubbio su come effettuare la stessa analisi nei confronti degli strumenti non quotati.

Occorrerà, nel caso, esaminare lo statuto della società di emissione del titolo, il quale enuncerà se le sue azioni o obbligazioni siano negoziabili e se sussistano eventuali limiti alla loro circolazione,

13 La Borsa valori

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tenendo sempre presente, comunque, che non tutti i limiti impediscono quest’ultima. Se, nello statuto di una società, fosse presente, per esempio, una clausola di prelazione14, sussisterebbe comunque una negoziabilità delle sue azioni, ancorché bassa; se, viceversa, dovesse essere indicato un divieto di circolazione delle azioni o delle obbligazioni per il termine massimo possibile di cinque anni15, la negoziabilità non vi sarebbe affatto.

Virando su un altro esempio, le società cooperative perseguono, per definizione, uno scopo mutualistico e, se strutturate come società per azioni, emettono azioni che possono essere sottoscritte solo se, in capo all’aspirante sottoscrittore, ricorrono determinati requisiti, individuati dallo statuto16. Nonostante, in caso di mancato rispetto

di questi ultimi, sia prevista la sanzione dell’esclusione dai diritti amministrativi connessi alla detenzione di quote, i diritti patrimoniali vengono ugualmente fatti salvi e, di conseguenza, possiamo intuire che una negoziabilità di queste azioni, seppur peculiare, esista.

Terminata l’analisi degli strumenti non derivati, è giunto il momento di soffermarci su quelli derivati17.

Essendo gli strumenti finanziari più complessi e meno comprensibili agli occhi dell’investitore, come dimostra il fatto che, in correlazione ad essi, sorge la maggior parte dei contenziosi giudiziari, rappresentano uno dei temi più intricati non solo del diritto dei mercati finanziari, ma anche del diritto commerciale e d’impresa. Innanzitutto, sono complicati nella loro essenza, nella loro finalità e nella loro struttura, rese sovente ancora più elaborate dall’attività creativa degli operatori del settore. Spesso, infatti, la

14 Artt. 2355 e 2355-bis c.c.

15 Art. 2355-bis c.c.

16 Artt. 2521, 2525 e 2527 c.c. 17 Art. 1 c. 2-ter TUF

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cosiddetta finanza creativa, espressione di stampo giornalistico con cui si indica la tendenza degli operatori ad emettere ad arte strumenti finanziari maggiormente peculiari e redditizi, allo scopo di sollecitare sempre più il pubblico risparmio, ha pregiudicato gli interessi dei risparmiatori, con conseguenti contenziosi, come è accaduto nel caso dei crac dei titoli Parmalat e Cirio, per citare i due esempi più noti della storia finanziaria italiana, oppure in quello dei titoli di Stato (bond) argentini e della società statunitense Enron, che saranno analizzati dettagliatamente nel prosieguo dell’elaborato (infra, II).

Come accennato, gli strumenti derivati sono quelli che prestano maggiormente il fianco alle tecniche di cui sopra, essendo di per sé complessi e difficilmente comprensibili nel loro funzionamento.

In primis, prima di descriverne la struttura di base, occorre chiarire

un dato inequivocabile, ossia che gli strumenti derivati sono divisi a loro volta in molteplici categorie, dunque la definizione che seguirà non potrà comprenderle integralmente, limitandosi a tratteggiarne l’archetipo, gli elementi comuni.

Si definiscono derivati, infatti, gli strumenti finanziari che, dal punto di vista giuridico, sono classificati come contratti in cui il valore delle prestazioni reciproche non solo non è determinato a priori, ma non è neanche predeterminabile, essendo legato alla cosiddetta attività sottostante, dall’esito imprevedibile. Alla luce di ciò, dal punto di vista privatistico, si fa riferimento alla categoria dei contratti aleatori18, i quali si contrappongono, seguendo la classificazione del codice civile, a quelli commutativi.

Chi investe in strumenti derivati non sa esattamente a cosa stia andando incontro; sa quanto investe, ma non se e quanto ricaverà dall’investimento.

18 Artt. 1472 c. 2 e 1998 c.c.

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Come dicevamo poc’anzi, la determinazione delle prestazioni sinallagmatiche è dettata dall’andamento di un’attività sottostante ed è possibile individuare le varie tipologie di derivati in base alla natura di quest’ultima, che può essere:

• Un valore mobiliare19. Nel caso, il derivato richiamerà il valore di

azioni, di obbligazioni e di altri valori mobiliari.

• Una merce.20 In questa eventualità, si parla di “derivati su merce”,

proprio perché il valore delle prestazioni è legato al valore di una merce predeterminata come, ad esempio, l’oro, il petrolio, il grano o altri cereali. Essa presenta un prezzo di listino che varia a seconda del momento storico e, in base alle sue oscillazioni, varierà anche il valore dello strumento derivato.

• Un evento imperscrutabile21. È il caso dei cosiddetti “derivati

esotici”, così chiamati perché il valore delle prestazioni è, per l’appunto, legato al verificarsi di eventi imprevedibili come fenomeni metereologici, elezioni politiche, aumenti o diminuzioni del tasso di inflazione et similia. In altre parole, i derivati in questione sono legati ad un numero tale di variabili da renderli del tutto impronosticabili e, per tale ragione, sono quelli maggiormente aleatori.

Tuttavia, la natura dell’attività sottostante non è l’unico criterio utilizzabile per classificare gli strumenti finanziari derivati. È possibile, infatti, distinguerli anche in base alle finalità che perseguono.

La più diffusa è quella speculativa; il cliente investe in un titolo o in una merce, nella speranza che, alla chiusura del rapporto, il valore sia superiore rispetto a quando ha investito, onde lucrare sulla differenza.

19 All. I, Sez. C, n.4 TUF

20 Art. 1 c. 2-ter l. b. 21 All. I, Sez. C, n. 10 TUF

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Meno frequenti nella prassi, ma ugualmente meritevoli di essere menzionate, sono la finalità di copertura del rischio connesso all’acquisto di altri derivati e quella commerciale, consistente nell’acquistare effettivamente la merce che costituisce l’attività sottostante.

Risulta utile constatare che i derivati sono strumenti che il diritto conosce, de facto, da sempre. Pur essendo innegabilmente moderni, poiché, al giorno d’oggi, gli operatori li aggiornano ad intervalli di tempo molto brevi, il loro schema causale è, infatti, antico e risale addirittura al diritto romano, in particolare alla emptio rei speratae, cioè alla vendita soggetta alla condizione sospensiva che le cose vendute venissero ad esistenza, con il prezzo che sarebbe stato poi commisurato alla quantità22. Un proprietario terriero, ad esempio,

poteva accordarsi con un acquirente per la vendita del raccolto di fine stagione, stabilendo il prezzo in un momento in cui non solo non era possibile determinare quest’ultimo, bensì anche essere certi che il raccolto sarebbe effettivamente avvenuto, ben potendo essere inficiato da una calamità naturale. Si pattuiva, perciò, ex ante il prezzo di un bene la cui esistenza era legata al rischio climatico; si trattava di una scommessa. Qualora, poi, in estate, fosse emerso che non ci fosse alcun raccolto o che fosse inferiore alle aspettative, il venditore avrebbe “vinto” la scommessa e lucrato di conseguenza; in caso contrario, opposto sarebbe stato anche l’esito.

È bene sottolineare che la ratio di oggi sia la stessa di allora, con l’unica differenza rappresentata dall’affinamento delle tecniche di stipulazione. Anche nella nostra epoca viene concluso un accordo

pro futuro, con la determinazione di un prezzo per cui saranno

scambiati beni individuati o valori mobiliari. Così, viene stabilito quanto, ad esempio, sarà pagato un certo quantitativo di oro o di petrolio alla scadenza di sei mesi dalla stipulazione, facendo

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21

riferimento a un indice di prezzo istituzionalmente variabile. È possibile affermare, dunque, che, anche al giorno d’oggi, le parti del rapporto effettuano una scommessa, la quale potrebbe arridere al compratore come al venditore.

Facendo ancora riferimento alla disciplina privatistica, i derivati assomigliano molto al gioco e alla scommessa, fenomeni fattuali dotati di dignità giuridica e che possono far insorgere obbligazioni naturali23. Per molto tempo, la dottrina ha ritenuto che gli strumenti in esame dessero vita proprio a queste ultime, applicando loro la relativa disciplina in virtù di una evidente somiglianza causale. Come espressamente il TUF nel già citato allegato I, tuttavia, questa interpretazione non è più possibile.

Da ciò deriva che le obbligazioni originate dai derivati sono obbligazioni in senso proprio e che, pertanto, esistono azioni per obbligarne il pagamento. Il fatto che il valore della prestazione sia legato a una prognosi non incide sulla natura del contratto che sarà sottoscritto, il quale è perfettamente idoneo, come detto, a far scaturire obbligazioni in senso proprio.

Quanto precede rappresenta lo schema base del derivato, ma occorre determinare quando quest’ultimo sia connotato dai caratteri propri dello strumento finanziario e quando, di conseguenza, possa essere proposto ai clienti solo da soggetti abilitati ed autorizzati, sulla base di un principio cardine della disciplina, ossia la riserva di attività, che sarà approfondito in seguito (infra, I, 2, e, i).

Occorre, dunque, individuare indici idonei a determinare la finanziarietà di un derivato.

23 Art. 2034 c.c.

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22

• Un primo criterio è relativo alla natura dell’attività sottostante24.

Se il derivato, infatti, è legato a un valore mobiliare, esso sarà inevitabilmente di natura finanziaria.

• Un indice suppletivo rispetto al precedente, da verificare se il primo non dà esito positivo ai fini della determinazione della finanziarietà e da applicare esclusivamente ai derivati su merci, è quello che fa riferimento alle modalità di esecuzione del contratto25.

I derivati su merci, infatti, possono essere eseguiti in due modi diversi, uno tipicamente commerciale e l’altro finanziario.

In base al primo, viene stabilito il prezzo di beni che saranno scambiati alla scadenza di un termine; il secondo, invece, è strutturato sul pagamento del differenziale in contanti. Non si ha la consegna effettiva della merce, bensì il saldo in denaro, attivo o passivo, a seconda di quale, tra le parti del rapporto, ha prevalso, della differenza tra il valore iniziale della merce e quello finale. Se il derivato in questione prevede espressamente, in via fisiologica, per volontà delle parti o per la natura dello strumento medesimo, l’alternativa tra le due modalità di cui sopra, è finanziario. Se tale alternativa, al contrario, è solo patologica e conseguente a un inadempimento, il carattere della finanziarietà non sussiste.

• Qualora neppure il secondo indice porti ad un risultato positivo, il TUF prevede un terzo criterio, legato al luogo di esecuzione del

contratto26. In base ad esso, il derivato è finanziario se viene negoziato sul mercato regolamentato o su mercati di negoziazione multilaterali.

• Infine, in via speculare al primo, il TUF enuncia il criterio della non

commerciabilità del derivato27, il quale fa riferimento alla natura

dell’attività perseguita dai contraenti. Se questi ultimi intendono

24 All. I, sez. C, n. 4 TUF

25 All. I, sez. C, n. 5 TUF 26 All. I, sez. C, n. 6 TUF 27 All. I, sez. C, n.7 TUF

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realmente comprare e vendere i beni che costituiscono l’attività sottostante, senza lucrare sulla differenza di valore della merce indicizzata ad una data futura, la finanziarietà non sarà configurata.

Come accennato in precedenza, questi indici sono posti in modo scalare, poiché si ricorre a quelli successivi al primo qualora, sulla base di quest’ultimo, non risulti la natura finanziaria del derivato.

Ad ogni modo, nella maggior parte dei casi, i derivati sono finanziari e il TUF menziona i più diffusi, swaps, futures, forward

e options.

• Attraverso i primi, le parti si accordano per scambiarsi flussi di pagamento, anche detti flussi di cassa, a date certe. In base alla natura del sottostante cui è legato il valore dei pagamenti, è possibile individuare vari tipi di swaps2829.

• I futures sono contratti a termine su strumenti finanziari che vengono negoziati sui mercati regolamentati e che, di conseguenza, vengono standardizzati per oggetto, dimensione, scadenza e modalità di negoziazione30. Alle parti è rimessa soltanto la

possibilità di determinare il prezzo a cui intendono acquistare o vendere. Esse si impegnano a scambiarsi un certo quantitativo di beni ovvero una somma di denaro pari alla differenza tra il valore dell’indice di pagamento alla stipula del contratto e il valore dello stesso indice nel giorno della scadenza31.

• In via speculare e opposta rispetto ai futures, i forward sono contratti a termine che vengono stipulati al di fuori dei mercati regolamentati32.

28G.F. Campobasso, Diritto commerciale, vol. 3, p.212, UTET 2015 29 www.consob.t

30 www.consob.it

31 G. F. Campobasso, Diritto commerciale, vol. 3, p. 213, UTET 2015 32 www.consob.it

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• Le options (in italiano, opzioni) sono contratti che attribuiscono il diritto, ma non l’obbligo di comprare (opzione call) o di vendere (opzione put) una data quantità del bene sottostante ad un prezzo predeterminato, detto strike price o prezzo di esercizio, entro una certa data ovvero al raggiungimento della stessa. Nel caso di opzioni su indici di Borsa, si acquista il diritto di ricevere una somma di denaro pari alla differenza tra il maggior valore dell’indice nel giorno in cui l’opzione è esercitata o alla scadenza, rispetto al prezzo di esercizio concordato (opzione call), ovvero, se l’investitore ha “scommesso” su un ribasso dei mercati, di ricevere una somma di denaro pari al maggior valore del prezzo di esercizio concordato rispetto al valore dell’indice nel giorno in cui l’opzione è esercitata o alla scadenza (opzione put)33 Da menzionare anche i

covered warrants, ossia strumenti finanziari dematerializzati

emessi in serie, i quali incorporano un contratto di opzione di acquisto o di vendita34

Indipendentemente da quale sia il derivato in questione, deve sussistere un certo grado di imprevedibilità; il risultato, in altre parole, non può essere determinato aprioristicamente. Deve essere presente, infatti, pur potendo variare nella sua consistenza, un margine di rischio. Quanto più quest’ultimo sarà elevato, tanto più oscuro e ambiguo sarà il derivato.

Alla luce di ciò, i clienti sono chiamati a riflettere attentamente nell’investire su di essi, così come gli intermediari sono tenuti (rectius, dovrebbero essere tenuti) a fornire loro informazioni molto più approfondite, soprattutto se si trovano di fronte al risparmiatore comune, solitamente sprovvisto di adeguate competenze in materia,

33 G. F. Campobasso, Diritto commerciale, vol. 3, pp. 213-214, UTET 2015 34 G.F. Campobasso, Diritto commerciale, vol. 3, p. 214, UTET 2015

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come vedremo più approfonditamente nel prosieguo

dell’esposizione.

d. L’attività rilevante

i. Prestazione di servizi di investimento

In base al TUF35, l’esercizio professionale nei confronti del pubblico dei servizi e delle attività di investimento è riservato alle SIM, alle imprese di investimento UE, alle banche italiane, alle banche UE e alle imprese dei Paesi terzi.

Prima di delineare la disciplina dell’attività in questione, si rende necessaria una digressione relativa ai soggetti menzionati poc’anzi, i quali, sulla base della vigente normativa, possono esercitarla. Il soggetto giuridico più diffuso e più attivo sui mercati finanziari è la società di intermediazione mobiliare (SIM), la cui figura giuridica è stata introdotta nel 199136allo scopo di migliorare l’efficienza dei mercati mobiliari e, al tempo stesso, di tutelare gli investitori contro negligenze, abusi e possibili frodi di quanti operano come intermediari in tali mercati. Le SIM devono essere costituite esclusivamente in forma di società per azioni e la denominazione sociale deve comprendere, al suo interno, le parole “società di intermediazione mobiliare”; inoltre, sono obbligate ad avere un capitale versato non inferiore a quello determinato in via generale dalla Banca d’Italia, mentre i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione e di controllo devono possedere

35 Art. 18 c. 1 TUF

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specifici requisiti di onorabilità e di professionalità, al pari dei soci che superano determinate percentuali del capitale sociale3738. Tutti questi requisiti costituiscono condizioni per ottenere dalla Consob, sentita la Banca d’Italia, l’autorizzazione all’esercizio dell’attività, come vedremo meglio in seguito, esponendo nel dettaglio la disciplina dell’attività rilevante. In tale sede, altri cenni verranno riservati alle imprese comunitarie ed extracomunitarie (infra, I, 2, e).

Passiamo, finalmente, alla prima tra le attività rilevanti menzionate all’inizio dell’esposizione, ossia la prestazione di servizi di investimento. La norma39 fa riferimento a un esercizio professionale

nei confronti del pubblico di attività di investimento. I presupposti, di conseguenza, sono essenzialmente due, ossia l’esercizio professionale e la destinazione al pubblico.

Questi termini sono già noti, essendo utilizzati dal legislatore anche in altri contesti, soprattutto nel diritto commerciale e, in particolare, nell’attività di impresa, della quale la professionalità è un requisito40, mentre la destinazione al pubblico viene menzionata in relazione all’attività bancaria.

Si tratta di comprendere se, effettivamente, vi sia una coincidenza tra le definizioni, a livello di mera espressione letterale ovvero, in modo più pregnante, per quanto concerne il significato.

A tal fine, partendo dal primo presupposto, occorre ricordare la definizione di professionalità ai sensi del codice civile e del TUF. In base al primo, infatti, essa intesa come non occasionalità, da non confondere con l’abitualità, poiché quest’ultima implica una

37 G.F. Campobasso, Diritto commerciale, vol. 3, pp. 171-173, UTET 2015 38 Artt. 13-14 TUF

39 Art. 18 TUF 40 Art. 2082 c.c.

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ripetitività nel tempo, laddove l’attività di impresa può essere anche stagionale. La destinazione al pubblico, invece, nella disciplina dell’attività bancaria regolata dal TUB, significa rivolgersi ad una cerchia indiscriminata di soggetti, con metodi standardizzati e spersonalizzati.

Ciò premesso, è possibile verificare se un “trapianto” di definizioni sia compatibile o se, viceversa, si rischi una sorta di “crisi di rigetto”. A tal proposito, risultano utili le innovazioni apportate al TUF dall’insieme di direttive comunitarie conosciuto anche come “disciplina MiFID” (Markets in Financial Instruments Directive), che approfondiremo in seguito (infra, II, 5), il quale ha specificato che le imprese di investimento sono persone giuridiche che svolgono, come attività abituale, l’esercizio di uno o più servizi di investimento verso terzi e/o effettuano una o più attività di investimento a titolo professionale41.

Da ciò possiamo ricavare i tre elementi dell’abitualità, della prestazione verso terzi e della professionalità. La normativa MiFID, inoltre, elenca una serie di eccezioni, di attività esenti da riserva42, in particolare le attività di investimento che vengono effettuate all’interno di un gruppo di società e quelle che sono svolte a titolo accessorio.

• Alla luce del chiarimento apportato dalla disciplina MiFID, l’attività deve essere abituale, cioè continuativa, in netta contrapposizione con la citata definizione di professionalità enunciata dal codice civile, il quale fa riferimento alla mera non occasionalità.

• Il requisito della professionalità, sulla base della normativa comunitaria, può essere compreso grazie alle due esenzioni citate in

41 Art. 4 c. 1 n. 1 Dir. 2004/39/CE 42 Art. 2 c. 1 Dir.2004/39/CE

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precedenza e, in particolare, esaminando la seconda. Ai fini della riserva, le attività devono essere svolte a titolo principale e non, al contrario, a titolo accessorio. Molte società, infatti, si costituiscono prevedendo, nell’oggetto sociale, non solo un’attività principale, ma anche un elenco, dalla consistenza quantitativa variabile, di attività accessorie o strumentali, spesso di natura finanziaria. Nella maggior parte dei casi, ciò accade perché i soci fondatori vogliono riservarsi la possibilità di cambiare attività senza dover passare dal lungo procedimento di modifica dell’atto costitutivo previsto dal codice civile43. L’attività finanziaria, in altre parole, deve costituire l’oggetto sociale principale della società. Abbiamo, così, un’ulteriore conferma di come il concetto di professionalità identificato dalla disciplina MiFID non sia lo stesso previsto dall’art. 2082 c.c.

• Per quanto riguarda la destinazione al pubblico (rectius, ai terzi), invece, la normativa MiFID afferma che non vi sia riserva in caso di attività prestata all’interno di un gruppo di società44, dunque

nell’ambito di rapporti tra società-madre e società-figlie o tra società-sorelle. Le società facenti parte di un gruppo si identificano come un insieme, al cui vertice è posta una capogruppo, con, al di sotto, le società controllate, dette anche società-figlie. Se l’attività di investimento avviene all’interno di questo sistema di rapporti, non è riservata. Da ciò possiamo intuire che, nell’evocare il concetto di terzietà, la normativa europea si riferisca ad un’indipendenza concepita non solo a livello giuridico, ma anche e soprattutto sul piano economico, poiché le società facenti parte dello stesso gruppo sono de jure autonome, ma rappresentano un fenomeno economico unitario.

43 Artt. 2436 ss. c.c.

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Vediamo, adesso, cosa sono effettivamente i servizi d’investimento. Il TUF4546 enuncia un elenco tassativo, suscettibile, tuttavia, di ampliamento tramite intervento del Governo, di servizi, i quali devono avere ad oggetto strumenti finanziari. Va da sé che un intermediario possa esercitarne più d’uno.

1) Negoziazione

Consiste nell’offerta di vendita o di acquisto di strumenti finanziari. Lo strumento è negoziato, infatti, quando viene acquistato o venduto, ossia quando forma oggetto di trasferimento. In tal senso, l’impresa di investimento può operare in base a due distinte modalità, dette negoziazione in contropartita diretta47 e esecuzione

di ordini per conto dei clienti.

Attuando la prima, l’impresa si pone come controparte contrattuale diretta dell’investitore che intende acquistare o vendere strumenti finanziari, mentre, osservando la seconda, essa funge da intermediario in senso letterale, cioè da soggetto che si interpone nella circolazione dello strumento finanziario.

Questi due distinti modi di operare presentano dati che li accomunano e, viceversa, elementi distintivi. Per quanto attiene ai primi, la negoziazione è un servizio di investimento che viene esercitato con modalità personalizzate; l’impresa studia le caratteristiche dell’investitore e recepisce le sue indicazioni in materia di acquisto o di vendita di un determinato strumento. L’attività viene, per così dire, “confezionata su misura” e ha ad oggetto solo strumenti determinati dal cliente, i quali sono reperiti nel mercato secondario, essendo stati, cioè, già sottoscritti da un altro soggetto che, a sua volta, li ha fatti circolare, a differenza di quanto avviene nel mercato primario, ove vengono

45 Art. 1 c. 5 TUF

46 All. I, Sez. A TUF 47 Art. 1 c. 5-bis TUF

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commercializzati titoli di nuova emissione. Inoltre, l’impresa agisce nell’interesse diretto ed esclusivo del cliente.

I dati divergenti tra le due modalità di cui sopra, invece, risiedono nel fatto che, dal punto di vista meramente economico, la prima comporta un maggiore sforzo, poiché quest’ultimo è inevitabilmente inferiore quando l’impresa agisce come mera esecutrice, dovendo osservare soltanto criteri di trasparenza e di correttezza del comportamento. La contropartita diretta, all’opposto, richiede il rispetto di regole sulla sana e prudente gestione, volte a contenere il rischio economico delle operazioni. Come è possibile notare fin da questa fase preliminare dell’elaborato, a differenza del diritto bancario, settore ove prevalgono criteri relativi alla gestione dell’attività, il diritto dei mercati finanziari è maggiormente focalizzato sui rapporti con l’investitore e, di conseguenza, sulla trasparenza. Nella negoziazione, come si nota, sussiste una sorta di commistione tra queste due distinte anime.

2) Collocamento

Il collocamento48 è il servizio di investimento più vicino a quello della negoziazione, esaminato poc’anzi. Esso consiste nel piazzamento degli strumenti finanziari sul mercato per ordine di un cliente, riguardando, dunque, un’offerta di vendita, che l’intermediario presenta a terzi, di titoli che gli vengono proposti dal cliente medesimo. In questo caso, non vi è alternativa tra acquisto e vendita, come avviene nella negoziazione, poiché è il succitato cliente che chiede all’intermediario di piazzare titoli che si trovano nella sua disponibilità presso terzi. L’assenza di una facoltà di acquisto di titoli, tuttavia, non è l’unica differenza intercorrente tra questo servizio e quello precedentemente trattato.

48 www.consob.it

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In particolare, il collocamento può, a differenza della negoziazione, avere ad oggetto titoli di nuova emissione, cioè provenienti dal mercato primario, come dimostra il fatto che sia il servizio maggiormente utilizzato dalle società per piazzare proprie azioni sul mercato, onde incamerare capitale di rischio. Inoltre, proprio in ragione di questa esigenza, l’offerta di vendita è rivolta alla generalità dei terzi, risultando, perciò, standardizzata, spersonalizzata, all’opposto di quanto accade nella negoziazione. Ad ogni modo, il collocamento deve avere ad oggetto strumenti emessi da terzi e non sarebbe tale, se i titoli fossero emessi dall’intermediario medesimo. Non deve sussistere, in altre parole, una sovrapposizione tra emittente e intermediario, poiché, se quest’ultimo prova a piazzare i suoi stessi strumenti, non svolge quella che la normativa qualifica come attività riservata.

Anche il collocamento può essere esercitato con due diverse modalità, ossia con garanzia, a fermo o non a fermo, ovvero senza garanzia.

Nel primo caso, l’intermediario assume, nei confronti dell’utente, un’obbligazione di risultato, poiché garantisce, ex ante se si tratta di collocamento a fermo, ovvero ex post nell’ipotesi di un collocamento non a fermo, rendendosi acquirente, in caso di insuccesso, dei titoli oggetto del servizio, l’effettivo collocamento dello strumento finanziario; nel secondo, invece, viene assunta un’obbligazione di mezzo, con l’intermediario che si impegna a cercare di trovare un acquirente entro il termine prestabilito e con il titolo che, in caso di insuccesso, resta nella disponibilità dell’emittente.

A seconda della modalità adottata, varia lo sforzo economico a carico dell’intermediario, poiché il collocamento con garanzia espone quest’ultimo ad un rischio maggiore. La finalità che spinge un intermediario a svolgere il collocamento con garanzia è,

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essenzialmente, speculativa, poiché l’obiettivo consiste nel lucrare sulla differenza di valore del titolo. A tale riguardo, entrano in gioco le famigerate agenzie di rating4950, chiamate a misurare il livello di appetibilità di uno strumento finanziario nel corso del tempo. Più il

rating è alto, più l’intermediario sarà spinto a tentare un’attività

speculativa e, di conseguenza, a garantire l’operazione del cliente. Da ricordare come il collocamento possa essere effettuato anche al di fuori del luogo in cui viene esercitata l’attività; nel caso, viene applicata la disciplina dell’offerta di prodotti finanziari fuori sede51.

3) Gestione di portafogli

In questo caso, accomunabile, sotto tale aspetto, alla consulenza in materia di investimento, che esamineremo a breve, l’intermediario presta un servizio con discrezione decisoria, non limitandosi, cioè, ad eseguire gli ordini dei clienti, come accade nella negoziazione e nel collocamento. La gestione di portafogli consiste nella gestione, su base discrezionale e personalizzata, di portafogli di investimento che includono uno o più strumenti finanziari, nell’ambito di un mandato conferito dai clienti52.

Questa definizione è fondamentale, poiché enuncia i requisiti necessari affinché si possa parlare proprio del servizio di investimento in esame. Il TUF, infatti, afferma che la gestione di portafogli sia connotata dagli elementi della discrezionalità e della individualizzazione e che concerna la gestione di un portafoglio, inteso non certo con l’accezione atecnica con cui spesso il termine viene menzionato nel linguaggio comune, bensì come patrimonio che comprende strumenti finanziari. Occorre, perciò, chiarire il significato dei singoli presupposti di cui sopra, perché si ha attività riservata solo se sussistono tutti e tre.

49 M. Giusti e E. Bani, Complementi di diritto dell’economia, pp. 90-94, CEDAM

2016

50 Art. 1 c. 1 l. r-quinquies TUF 51 Art. 30 TUF

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Partendo dalle basi, è possibile notare ictu oculi che si tratti di un’attività di gestione, altro termine comune nell’ordinamento e ricorrente a livello trasversale, in quest’ultimo, basti pensare alla privatistica negotiorum gestio53, alla gestione del servizio pubblico disciplinata dal diritto amministrativo o all’amministrazione di una società in base al diritto commerciale54.

Possiamo dedurre, in generale, che quelle sopra menzionate siano attività organizzate per l’amministrazione di una cosa generica che muta a seconda del ramo dell’ordinamento di riferimento, rispettivamente l’affare altrui, il bene pubblico, la società. In altre parole, viene perseguita la cura di un interesse legato alla conservazione di una cosa. Approfondendo i singoli ambiti, poi, notiamo come, in alcuni casi, la gestione comporti anche il compimento di un’attività ulteriore, non volta unicamente alla conservazione, bensì anche produttiva. Può essere chiesto al gestore di fare quanto in suo potere perché la cosa prosperi e produca. In questo, senso, emblematica è la forma di gestione disciplinata dal diritto commerciale, poiché gli amministratori delle società non sono certamente tenuti unicamente ad assicurare la sopravvivenza di queste ultime, così come, nella negotiorum gestio, l’obiettivo è il compimento dell’affare nell’interesse dell’affidante, con la diligenza necessaria affinché ciò accada nel miglior modo possibile. Distinguiamo, dunque, una finalità meramente conservativa ed una, come detto, produttiva, con la prima che mira soltanto a mantenere lo status quo e la seconda che, invece, persegue la realizzazione di un quid pluris.

Ai fini del diritto del diritto dei mercati finanziari, la gestione deve essere intesa sotto l’angolo visuale della testé delineata finalità produttiva. In caso contrario, risulterebbe snaturata la stessa attività

53 Art. 2028 c.c.

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di intermediazione finanziaria, poiché il risparmiatore potrebbe provvedere anche autonomamente alla mera conservazione del proprio patrimonio, mentre l’incremento di quest’ultimo presuppone una gestione attiva.

Un soggetto digiuno di nozioni in materia può decidere di affidare a una società che svolge professionalmente questo tipo di attività (c.d. società fiduciaria55) il compito di gestire passivamente i titoli in suo possesso; essa eserciterà in sua vece i diritti che derivano dagli strumenti, ad esempio quello di voto nell’assemblea dei soci in una società per azioni, attuando, perciò, una gestione passiva. Ebbene, la gestione di portafogli non è che l’opposto di quanto sopra, cioè una gestione attiva di un patrimonio che, come premesso, contiene strumenti finanziari, nell’ottica della determinazione del succitato quid pluris.

Passando ai requisiti della discrezionalità e del carattere individualizzato della gestione, l’intermediario ha libertà di scelta, ma non un mero arbitrio. La sua attività, in altri termini, deve essere improntata sull’interesse del risparmiatore e sulle sue caratteristiche soggettive.

I risparmiatori, infatti, non presentano tutti le stesse caratteristiche, tanto dal punto di vista patrimoniale, tanto per ciò che attiene alla consapevolezza in materia. È proprio in relazione al differente grado di “educazione finanziaria” del risparmiatore che variano gli oneri informativi a carico dell’intermediario, inevitabilmente meno pregnanti se il cliente è maggiormente qualificato. Rileva, poi, anche un ulteriore elemento, probabilmente il più legato alla natura del singolo cliente, cioè la propensione al rischio, la quale è, per definizione, insuscettibile di presunzione e di valutazione a priori, rendendosi necessario un accertamento mediante domande dirette. Essa deve essere indagata approfonditamente, sia in virtù della sua

55 R.D.L. 16 dicembre 1926, n. 2214

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citata imperscrutabilità, sia perché è un punto fondamentale nella scelta di investimento, esistendo inevitabilmente strumenti più sicuri rispetto ad altri, più incerti e, al tempo stesso, potenzialmente più redditizi, basti pensare al caso, paradigmatico e precedentemente trattato, dei derivati (retro, I, 2, c). La gestione di portafogli, quindi, deve costituire il risultato di un’analisi ad

personam dei risparmiatori, ma questo non esclude che costoro

possano essere suddivisi in categorie, sulla scorta di una determinazione su misura effettuata in senso elastico.

Prima del recepimento delle direttive comunitarie MiFID, si era posto il problema di comprendere se le attività di gestione di strumenti finanziari che si risolvevano nello studio dell’investimento migliore da parte dell’intermediario e, in seguito, nella sottoposizione della scelta all’investitore, rientrassero nella gestione di portafogli, integrando la cosiddetta “gestione con preventivo assenso”. La MiFID ha fugato ogni dubbio56,

determinando l’inclusione nel TUF della precedentemente menzionata consulenza in materia di investimento. Di conseguenza, se la gestione con preventivo assenso non è gestione di portafogli

tout court, sarà consulenza; occorre tenere presente che, prima

dell’avvento della normativa europea, quest’ultima non rientrava nei servizi di investimento e ciò portava a pratiche elusive, nonché all’insorgenza di servizi atipici che venivano svolti da soggetti non qualificati, con annessi elevatissimi rischi per i risparmiatori. Il tema del targeting dei prodotti finanziari, ossia della loro destinazione a categorie di investitori individuate non solo, ma anche in base ai fattori sopra delineati, verrà ampiamente trattato in seguito (infra, I, 2, f; III; IV), in quanto rappresenta il vero fil rouge della presente esposizione.

56 All. I, Sez. C, n. 5 Dir. 2004/39/CE

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Veniamo, adesso, all’elemento basilare di questo servizio, ossia il portafogli. Come già accennato, questo termine viene spesso considerato come un sinonimo della parola “patrimonio”, ma, in realtà, di quest’ultimo il portafogli è una species, in quanto patrimonio finanziario. In particolare, sulla base del TUF, un patrimonio assume i connotati del portafogli quando comprende almeno uno strumento finanziario57 al suo interno. Si tratta, come è evidente, di un’interpretazione minimalista che amplia a dismisura l’ambito operativo della disciplina.

Concludiamo l’analisi della gestione di portafogli ricordando che essa viene eseguita nell’ambito del mandato del cliente, come espressamente affermato dalla norma. Il mandato originario deve essere rilasciato in forma scritta, mentre gli eventuali ordini successivi possono essere impartiti anche in assenza di tale requisito formale, seppur non senza l’adozione di precauzioni da parte dell’intermediario. In caso di ordine impartito per telefono, ad esempio, quest’ultimo è tenuto a chiedere di registrare la comunicazione58.

4) Ricezione e trasmissione di ordini

È un servizio prettamente esecutivo59, poiché l’intermediario non è titolare neppure della discrezionalità tecnica che contraddistingue la negoziazione. Nel caso in cui una determinata prestazione possa essere eseguita solo da un soggetto bancario o parabancario, si rende necessario rivolgersi all’intermediario, in quanto egli ha accesso al sistema di trasmissione e il risparmiatore, senza il suo ausilio, non potrebbe provvedere. La ricezione e trasmissione di ordini può altresì comportare l’attività consistente nel mettere in

57 Art. 1 c. 5-quinquies TUF

58 Art. 94 Delibera 20307 15/02/2018 Consob 59 www.consob.it

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contatto due o più investitori, rendendo così possibile la conclusione di un’operazione tra loro60

5) Consulenza in materia di investimento

Come accennato in precedenza, tale servizio di investimento è stato inserito nel TUF in seguito al recepimento delle direttive MiFID, risolvendo l’annoso problema legato delle forme surrettizie di gestione di portafogli. Non si trattava, ad ogni modo, di un’attività sconosciuta al nostro ordinamento, essendo stata istituita contestualmente alle SIM61, salvo poi venire espunta dall’ordinamento, almeno apparentemente, pochi anni dopo, da una norma che eliminava ogni riferimento ad essa62.

La normativa MiFID, quindi, si è limitata a riprendere questo servizio e a determinarne l’inserimento nel TUF63, tra quelli

sottoposti a riserva, da parte del legislatore italiano.

La consulenza è descritta in modo puntuale proprio in virtù della discrezionalità decisoria dell’intermediario, come accade nella gestione di portafogli. Anche qui, egli non agisce come mero esecutore, essendo, al contrario, protagonista nel suggerimento e nell’indicazione delle scelte di investimento che saranno sottoposte all’investitore. La norma, infatti, la configura come prestazione di raccomandazioni personalizzate ad un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo una o più operazioni relative ad un determinato strumento finanziario64. Qui non sussiste, invero, alcuna gestione conservativa ovvero produttiva. Ha luogo, invece, una prestazione di consigli, di suggerimenti personalizzati a clienti che lo richiedono espressamente o che vengono raggiunti da tali raccomandazioni. In altre parole, la consulenza può essere tanto passiva quanto attiva e

60 Art. 1 c. 5-sexies TUF

61 L. 1/1991 62 D.lgs 415/1996 63 All. I, Sez. A, n. 5 TUF 64 Art. 1 c. 5-septies TUF

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questa previsione espressa, da parte del TUF, assume un valore fondamentale, poiché, in mancanza di essa, la prestazione di consulenze non richieste si sarebbe trovata al di fuori della riserva di attività, con conseguente proliferazione di suggerimenti non richiesti, rivolti a risparmiatori non tutelati dalla normativa. La raccomandazione, come detto, deve essere personalizzata, ossia ben circostanziata, precisa e tutt’altro che generica. Il TUF65 ne

enuncia una definizione in positivo e una in negativo:

• la raccomandazione è personalizzata quando è presentata come adatta al cliente ed è basata sulle sue caratteristiche specifiche e soggettive; tale precisazione è indubbiamente significativa, perché l’idoneità del parere deve risultare ex ante. L’intermediario, cioè, deve catalogare il risparmiatore in ragione della sua adeguatezza e procedere per gruppi, con ratio analoga a quella incontrata trattando la gestione di portafogli.

• Non è personalizzata quando è diffusa al pubblico mediante canali di distribuzione, ossia quando non è destinata al singolo investitore, bensì a una platea indifferenziata di clienti. Nel caso, il suggerimento è spersonalizzato, in quanto rivolto a qualunque soggetto acceda, per esempio, al sito internet della SIM che l’ha elaborato. Non tiene conto, perciò, delle caratteristiche e delle esigenze del singolo risparmiatore.

In ogni caso, la raccomandazione deve essere presentata non solo come adatta al cliente, ma anche con modalità che ne denotino la personalizzazione.

Consulenza in materia di investimenti e gestione di portafogli, pur essendo accomunate dall’elemento della discrezionalità decisoria riconosciuta all’intermediario, differiscono per il fatto che, nella prima, la scelta finale sull’operazione spetta al risparmiatore, per quanto questi possa essere influenzato dalla raccomandazione,

65 Art. 24-bis TUF

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