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Il progetto delle avanguardie Il modello del club operaio nella Russia socialista

Aggregazione e controllo

2.1 Il progetto delle avanguardie Il modello del club operaio nella Russia socialista

Il club operaio nella Russia socialista rappresenta un modello architetto- nico utile a inquadrare il tema dell’architettura per l’aggregazione sociale, quand’essa è finalizzata ad un’azione di controllo sulla popolazione; il che rafforza la consapevolezza di quanto l’architettura possa, in certi casi, trasfor- marsi da strumento di interazione sociale spontanea a strumento di interazione sociale coatta, indotta dalla politica.

Le architetture scelte saranno analizzate evidenziandone i dispositivi ricorren- ti, quelli cioè finalizzati alla definizione di un modello, come ad esempio l’im- portanza dell’identità urbana dell’oggetto, la scelta di uno spazio principale dedicato alle attività di incontro e propaganda politica e il sistema di spazi di connessione finalizzati allo scambio tra diverse tipologie di fruitori.

Queste analisi permetteranno di leggere la risposta, in termini architettonici, ad una domanda politica di riforma sociale da attuare attraverso la rieducazione di un popolo.

In un contesto storico caratterizzato da un accelera- to urbanesimo, in cui gran parte della popolazione sovietica non proveniva dalle città, ai club operai veniva affidato un ruolo sociale di notevole importan- za.28 Come afferma De Magistris, i club della Russia socialista potevano essere considerati come una

2.1 Modello del progetto di un “Club di tipo siciale nuovo” di Ivan Leonidov

vera e propria «scuola della cultura urbana». Già a partire dai primi anni dopo la Rivoluzione, infatti, il club rappresentava il modello istituzionale, in una fit- ta rete nazionale, di un nuovo modo di offrire servizi culturali per la popolazione.

Se da un lato, dunque, vi fu da subito piena consa- pevolezza del ruolo chiave che queste architetture avrebbero giocato nella costruzione della Russia so- cialista, dall’altro gli spazi e le funzioni da ubicarvi non erano sempre studiati consapevolmente, sotto il profilo architettonico e programmatico; nei primi anni infatti questi spazi collettivi venivano incorporati in complessi abitativi esistenti, non sviluppando una

figuratività propria del tema né proponendo una nuova tipologia chiara: «ca-

pire il rapporto tra oggetto e contesto - scrive Kopp - ci permette di delineare lo studio che gli architetti svolgono su un modello architettonico nuovo, quello del club; infatti, tra il 1917 e il 1925, il club viene localizzato ovunque, non solo perché si costruisce poco ma perché la tipologia di tale edificio non era stata specificata».29

Fino agli anni Venti del Novecento infatti, il club collettivo socialista si basava sul modello dei circoli privati per i membri dell’alta borghesia e della nobil- tà. Come afferma Anatole Kopp «i progetti degli anni 1920-1925 risulteranno

piuttosto deludenti. Niente nel loro modo di apparire, nella loro distribuzione, indica che vi si svolga una vita culturale differente dai circoli della nobiltà o dei teatri di provincia»30. Essi, come si è detto, trovavano inizialmente spazio in architetture esistenti, e spesso non riuscivano a svolgere una efficace funzio-

2.2 Constantin Mel’nikov, Mosca, progetto del club operaio Kaucuk

ne di aggregazione sociale, in quanto lo spazio che avrebbero dovuto rappresentare non era riconoscibile come tale alla scala urbana.

Come afferma Anatole Kopp, è solo a partire dal 1928 che avrà luogo una nuova trasformazione nell’architettura dei club.31 Bi- sognerà infatti aspettare il primo Piano Quinquennale, relativo al periodo che va dal 1926 al 1930, perché gli architetti sovietici elaborino un pensiero riguardo al modello del condensatore so- ciale, fornendo così, oltre che una definizione tipologica della casa collettiva e dell’officina, anche una formalizzazione del club operaio.

L’evoluzione del club muoverà innanzitutto dall’evoluzione del programma funzionale, che introduce l’idea della costruzione di un teatro come spazio principale, trasformando progressiva- mente una tipologia formata da più locali articolati, senza ge- rarchia, in una tipologia gerarchizzata, con un locale principale e rappresen- tativo ed altri locali accessori, capaci di suggerire la molteplicità delle attività svolte. In questo senso, secondo Kopp, il club supererà nel tempo la semplice funzione aggregativa, per evolversi in un tipo più complesso, in grado di far diventare attori i suoi stessi utenti. Non a caso, vengono spesso predisposte funzioni diverse anche all’interno della sala teatrale, sperimentando differenti rapporti tra sala e spazi del collegamento, e raggiungendo un’elevata flessi- bilità di utilizzo.

A livello urbano, nel Piano Quinquennale il fine dichiarato del modello del club era quello di inserirsi all’interno di una rete istituzionale che comprendeva sia una “fornitura di servizi culturali” che una “rete dei servizi della popolazione”.32

2.3 Constantin Mel’nikov, Mosca, vista del prospetto del Club operaio Rusakov

Le norme urbanistiche indicavano con chiarezza i procedimenti compositivi da adottarsi nell’allestimento dei club negli insediamenti residenziali, deline- ando così un tema architettonico che comprendeva sia strutture a sé stante, sia strutture incorporate nei complessi abitativi esistenti, nelle case comuni o nelle case di coabitazione (come i club mensa, gli angoli rossi ecc.). Per questa via, «i club divennero nel tempo organismi di agitazione politica, vere

e proprie strutture di addestramento di futuri combattenti in nome di un’idea di riforma sociale da attuare attraverso l’educazione».33 Per questa ragione il club può essere anche inteso come un condensatore sociale. Con tale termine si indica infatti un concetto spaziale in cui l’aggregazione fisica di una comu- nità all’interno di un oggetto architettonico è finalizzata alla promozione di un comportamento collettivo e di interazione sociale.

Dal punto di vista urbano, il club come “condensa-

tore sociale” è dunque un modello in grado di inne-

scare relazioni con ciò che Anatole Kopp chiamava il “condensatore generale”, ovvero la città. Egli af- ferma infatti che, «a partire dal 1925, il club trova

sia una propria tipologia, sia un’architettura libera dagli stereotipi del passato. Fondato sul principio del decentramento e dell’accessibilità delle attrezzature per la cultura, sarà concepito collegato al quartiere o alla fabbrica e annesso al luogo di lavoro».34 Dal punto di vista tipologico, El Lisickji distinguerà inve- ce diverse categorie di club operaio: club piccoli, club ospitati in case collettive, club delle fabbriche, club dei sindacati, infine club per villaggi e distretti urbani35.

2.4 Constantin Mel’nikov, Mosca, Club operaio Rusakov

La tipologia del club operaio sarà inoltre indagata attraverso veri e propri con- corsi di progettazione, ma anche attraverso schemi astratti di progetto, come per esempio i progetti di club per cinquecento o per mille persone36.

Dal punto di vista compositivo infine, come afferma Schmidt, nei club collettivi è possibile riscontrare «due opinioni architettoniche in competizione tra loro:

una struttura articolata in base alle sue funzioni visibili o una struttura monu- mentale articolata piuttosto in base all’importanza sociale dell’edificio.»37 Questa duplice caratterizzazione del club troverà, come vedremo nelle analisi, un riscontro diretto soprattutto nel rapporto che l’oggetto architettonico istitui- sce con il suo intorno.

Nella continua ricerca di un programma e di un modello paradigmatico, il club operaio mette dunque in discussione dualismi tradizionalmente accettati, ren- dendo sempre meno definiti i concetti di pubblico e di privato, di lavoro e di piacere, di individuale e collettivo. In quest’ottica, nell’affrontare il rapporto tra “spazio individuale” e “spazio sociale”, vennero sperimentati nuovi modelli spaziali in grado di mettere in relazione gli indi- vidui senza mai indebolire il loro controllo sociale. Tutto ciò è evidente sia nella relazione tra le parti architettoniche dell’or- ganismo, sia nella relazione che si instaura tra spazi serviti e serventi: gli spazi destinati a funzioni differenti e gli spazi del collegamento hanno infatti, molto spesso, quasi lo stesso peso all’interno dell’opera, ed anche questo è un espediente funzionale al controllo.

In termini di offerta programmatica, inoltre, i club dovevano rispondere ad una duplice funzione: quella collettiva, tradotta in un unico e grande ambiente principale, e quella di circo-

2.5 Club operaio Rusakov,vista interna dell’auditotium e delle sale con le “pareti vive “aperte

lo, con piccoli ambienti tipo aule. Attorno a quest’assunto funzionale di base si pone in essere una ricerca continua che va dall’oggetto concepito come contenitore di attività multiple e simultanee nell’opera di Mel’nikov, all’oggetto come meccanismo scomposto nelle sue parti, tipico delle proposte di Leoni- dov.

«L›edificio del club non è una meccanica combinazione di singoli locali, di sale, di stanze, di pianerottoli, ma un complesso organicamente intero, unico.

Ciò significa che l’architettura deve partire non dalla contrapposizione del- la parte tecnica e funzionale dell’edificio al suo contenuto artistico, ma dalla loro unità; unità determinata dall’ideologia del proletariato di cui il club ope- raio viene chiamato ad essere espressione in tutte le forme e manifestazioni della sua attività»38. Con queste parole, che inquadrano in termini generali il tema del club socialista, nel 1932 Kemenov sembra portare a sintesi gli intenti sperimentali di Mel’nikov e Leonidov, che saranno approfonditi nelle prossime schede, attraverso la lettura di alcuni loro progetti proposti come casi-studio.

2.6 Mel’nikov, Club operaio Pravda a Dulevo

2.1.1 Konstantin Mel’nikov: per una

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