“Zavattini scrive che la malinconia è ori- ginaria del Po, che altrove si tratta di imi- tazioni, e sottolinea che appena si arriva da queste parti gli sembra... di entrare in qualcosa di impreciso. Malinconia e imprecisione. Credo siano proprio questi i termini più appropriati. La malinconia è il cartello indicatore di una geografia cancellata, ed è probabilmente il senti- mento della distanza che ci separa da un possibile mondo semplice, sapendo che questo è ormai un aggettivo da coniu- gare assieme ai ricordi... Imprecisione. Perché l’orizzonte confonde quasi sem- pre cielo e terra, perché le campagne abitano anche la città e i paesi,... perché le strade sembrano andare sempre nello stesso punto e quindi da nessuna par- te”.1 È un paesaggio, quello narrato da
Luigi Ghirri, caratterizzato da ampie valli, regolarizzate dai solchi dei fossi e dei canali, da campanili di piccoli paesi e di cave di ghiaia lungo il fiume; ma è anche un paesaggio corrotto dalle ciminiere delle fabbriche, dai tralicci della corrente elettrica, dall’autostrada. È il paesaggio della bassa pianura mantovana, con i paesi estesi sino agli argini delle golene del Po. Quei piccoli borghi disabitati du- rante le esondazioni del fiume in piena, poi ripopolati dai loro abitanti. Ogni osservazione sul paesaggio, ci insegna Gianni Celati, “ha bisogno di andare alla deriva”, ha bisogno di spo- gliarsi dai codici famigliari, per potersi perdere e, aggiungiamo noi, in questo smarrimento, ritrovare una strada. L’osservazione dei fenomeni architet- tonici non è necessaria se non è mirata a uno smarrimento e a una successiva ricomposizione. Nell’immagine del vil- laggio allagato dalle acque del Po, lo sfondo delle vicende umane è costituito
da una strada diritta, arginata da schiere di case sottomesse alla lenta e precoce consunzione: “Paesi dove il fiume appa- re con la continuità della morte, lascian- do solo segni, segnali, frammenti”.2 Le
case, i portici, le corti agricole, i fienili, ma anche le cappelline poste nei cro- cicchi delle strade di campagna, le pievi e i silenziosi monasteri divengono punti fissi contrapposti al lento e instancabile scorrere dell’acqua del grande fiume: un moto oleoso e magmatico che tutto raccoglie e conduce verso la foce. Nel 1983, Aldo Rossi, insieme a Gianni Braghieri e Gian Arnaldo Caleffi, viene incaricato dall’amministrazione comu- nale di San Benedetto Po di redigere un piano particolareggiato per la ristruttu- razione del centro storico e del mona- stero polironiano.
Tale incarico avrebbe fatto parte di un intervento di recupero, iniziato nel 1975, dell’intero complesso.
Il monastero di Polirone è un caso em- blematico per la storia dell’architettura e della città:3
avamposto benedettino verso l’eresia religiosa nordica, fin dai tempi di Matilde di Canossa e, in segui- to, della famiglia dei Gonzaga, costituì un punto di riferimento attorno al quale si sviluppò il borgo di San Benedetto. Il progetto rossiano, prevede il restauro del complesso esistente e il completa- mento della parte settentrionale del mo- nastero; in particolare, la ricostruzione dei due bracci del “quarto chiostro”, una nuova corte, la “chiusura” del chiostro di S. Benedetto, l’ampliamento della corte con la ciminiera e la progettazione di una serra con gli orti. I nuovi spazi sono destinati a contenere funzioni pub- bliche - scuola, museo, e spazi ricreativi - e alloggi privati.4 Al piano di fattibilità
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Foto aerea del centro di San Benedetto Po, 1982
(Archivio personale dell’architetto Gian Arnaldo Caleffi).
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A. Rossi, schizzo a china su carta da lucido, non firmato
(Archivio personale dell’architetto Gian Arnaldo Caleffi).
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non seguono le fasi successive della progettazione.
Rossi stesso, in seguito, non mostra di tenere in considerazione il progetto poiché, con molta probabilità, si accorge che si tratta di un incarico commissio- natogli soltanto per avere la sua “firma”. Nonostante tutto, l’architetto è fortemen- te affascinato dall’idea di confrontarsi con l’architettura di Giulio Romano. I motivi del prematuro abbandono risiedo- no in una scarsa convinzione dell’ammi- nistrazione comunale nell’intraprendere una strada precisa, alla quale si aggiunge una cena tra la stessa amministrazione e gli architetti, non proprio memorabile.5
Il progetto, in ogni caso, è di notevole interesse poiché qui, Aldo Rossi, ha la possibilità di verificare gli esiti della sua ricerca tipologica, confrontandosi con gli antichi chiostri benedettini.
In una lezione tenuta presso lo IUAV il 10 gennaio 1979,6 Rossi definisce l’ordine
benedettino, costituito da una organiz- zazione comunistica o collettiva. Il chio- stro rappresenta il luogo d’incontro tra i religiosi, sul quale affacciano, ai diversi livelli, gli ambienti dell’amministrazione, della preghiera comune e quelli delle celle per la riflessione individuale. Rossi, quindi, lavora sull’ambivalenza degli spazi architettonici e sulla struttura tipologica del progetto che può garantir- gli il ricorso all’analogia: la corte lombarda viene recuperata e utilizzata come spazio al servizio delle funzioni pubbliche. L’elemento tipologico della corte viene “ammorsato” alla struttura antica dei chiostri.
Nel grande chiostro di S. Benedetto, in- vece, il nuovo braccio con gli alloggi ne continua la trama spaziale di impianto. L’importanza della piazza è notevole in relazione alla città: piazza Teofilo Fo- lengo - in passato, cortile di ingresso al monastero - e piazza Matilde di Canossa, costituiscono oggi il nucleo urbano e spa- zio civico attorno al quale si incontrano il monastero e il borgo della città storica. Il chiostro, la corte e la piazza, sono gli elementi su cui Rossi, Braghieri e Caleffi fondano la loro ricerca.
Il progetto, nello specifico, riguarda l’in- dividuazione delle parti del complesso da sottoporre a restauro, con interventi di manutenzione ordinaria e straordina- ria e la definizione delle loro funzioni: all’interno degli ambienti intorno al chiostro dei Secolari (a sud-est della basilica) sono previste “attività civiche, sociali ed artigianali”:7 gli spazi intorno
al chiostro di San Simeone (a nord-est della basilica) sono destinati ad “attività
culturali”,8 mentre la basilica di Giulio
Romano, la canonica e gli ambienti per attività parrocchiali mantengono inalte- rata la loro funzione religiosa. Il grande chiostro di S. Benedetto, rima- sto mutilo di due bracci in seguito alle demolizioni napoleoniche - su piazza Matilde di Canossa e sul fianco setten- trionale della chiesa - viene ricomposto del braccio di chiusura: Rossi, in tal senso, ricostituisce lo spazio claustrale e ridefinisce la piazza antistante. L’edificio, a due piani, contiene gli alloggi e un portico a pian terreno, posto in con- tinuità con quello del chiostro esistente. La “corte della ciminiera”, a nord-ovest del complesso, viene ampliata attra- verso la demolizione dei magazzini e la successiva ricostruzione del braccio residenziale sulla traccia di quello an- tico, ma arretrato in corrispondenza delle nuove corti. In questa corte sono previste attività collettive e manifesta- zioni all’aperto con la trasformazione dell’Infermeria in albergo, e del Refet- torio, affacciato sulla piazza Matilde di Canossa, in grande sala polifunzionale. La parte più interessante del progetto è data dalle due nuove corti: con l’edifica- zione della prima - fiancheggiante con il chiostro di S. Benedetto a sud e la corte della ciminiera ad ovest - Rossi vuole ricostituire i due bracci del “quarto chio- stro”, demoliti nell’’800, e visibili nella
Carta di Perugia risalente al XVII secolo;
la seconda corte, probabilmente mai esistita, gli serve per completare il ceno- bio con un fronte unico a settentrione. Sviluppate su tre piani, le due corti sono costituite al piano terra da un portico, su cui si affaccia una sequenza continua di vani del museo all’aperto, contenenti i carri agricoli in mostra (come si nota nello schizzo di Rossi). Qui è evidente l’analogia con i fienili padani, aperti sulla corte, ma anche il richiamo alla natura nebbiosa di Mantova, che confonde i suoi ambienti interni con quelli esterni. In pianta, la conformazione scheletrica del museo agricolo evoca i portici del Gallaratese e dei bracci del cimitero mo- denese, ma a San Benedetto i setti ven- gono chiusi e trasformati in celle aperte sulla corte: la linea dei pilastri segna sul terreno il sottile margine tra interno ed esterno, mentre la nebbia ne dissolve ogni limite. Ai piani superiori si sviluppa la scuola di agraria. Al centro del “quarto chiostro”, una serra a pianta ottagonale, in acciaio e vetro, è posta sul punto in cui convergono gli assi della corte, analogamente ai pozzi presenti negli an- tichi chiostri. Nella seconda corte, sono
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Il Monastero di Polirone in un disegno della fine del XVI sec. denominato “Carta di Perugia”. Archivio di S. Pietro di Perugia.
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A. Rossi, G. Braghieri, G. A. Caleffi Progetto di rilievo e ristrutturazione del centro storico di San Benedetto Po. Tavola n. 7. Progetto funzionale, pianta piano terra. (Archivio dell’Ufficio Tecnico del Comune di San Benedetto Po).
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A. Rossi, G. Braghieri, G. A. Caleffi Progetto di rilievo e ristrutturazione del centro storico di San Benedetto Po. Tavola n. 8. Progetto funzionale, pianta piano primo. (Archivio dell’Ufficio Tecnico del Comune di San Benedetto Po).
allocati gli orti a servizio della scuola di agraria, posti a recuperare il senso dello spazio comune che contraddistinse l’organizzazione benedettina. I chiostri antichi assumono il significato della corte, mentre le corti nuove sono pensate come chiostri antichi. A risolvere l’ambiguità chiostro-corte è il sistema dei collegamenti: “i portici degli edifici di progetto sono in connessione con i portici dei chiostri esistenti, così da moltiplicare i percorsi coperti e am- pliare l’estensione dei percorsi di questa singolare città”.9 Ma ad assumere un’im-
portanza fondamentale è la rotazione delle due nuove corti rispetto al resto del complesso benedettino: i tre architetti si servono di tale scarto non solo per diffe- renziare il loro intervento, ma per dimo- strare che non può esserci ricostruzione senza una rilettura personale del luogo. “Come i contadini veneti, per secolare miseria, rompevano la misura romana dei campi costruendo sul cardo e sul decu- mano [...] Oppure era come il risultato di un movimento tellurico, un assestamento statico che avesse diversificato gli assi della costruzione. Amavo l’assestamento del Pantheon descritto nei libri di statica; la crepa imprevista, un crollo visibile ma contenuto, dà una forza immensa all’ar- chitettura perché la sua bellezza non po- teva essere prevista”10 scriveva, qualche
anno prima, Aldo Rossi.
Risulta evidente il disinteresse dei tre ar- chitetti per la funzione: il loro obiettivo è la riconfigurazione formale del cenobio benedettino. Il raggiungimento dell’uni- tà avviene dalla giustapposizione del frammento antico con quello nuovo: la forma che ne risulta potrebbe contenere qualsiasi funzione.
Con particolare forza proprio in questo progetto, precocemente abbando- nato, Rossi ci fa capire l’importanza del recupero della misura della terra e dell’ascolto del luogo, l’imprescindibile distinzione tra la memoria collettiva - la piazza e i chiostri dell’abbazia - e la memoria individuale - chiostro-corte, fienile-museo - il rapporto saldo tra la storia passata e il presente, tra la tipolo- gia monastica e il suo rinvenimento nelle tracce nascoste della terra.
Rossi non ricorre all’artificio retorico. Il suo poeta è Virgilio; Pindaro non lo interessa. L’architetto ascolta e traccia poche righe imprecise su di un foglio bianco; forse il progetto è già scritto sulle nume- rose cartografie polironiane. Pochi anni dopo, nel suo ultimo film, Fe- derico Fellini metterà in scena la cattura della luna all’interno di un fienile di una
cascina padana, per svelarci soltanto alla fine della storia che “non c’è niente da capire, c’è solo da ascoltare”.11
L’autore ringrazia gentilmente l’architetto Gian Arnaldo Caleffi per aver messo a disposizione tempo, indicazioni e tutto il materiale prodotto insieme ad Aldo Rossi e Gianni Braghieri. Si ringrazia inoltre il Comune di San Benedetto Po per aver messo a disposizione il materiale conte- nuto nell’archivio dell’Ufficio Tecnico, e la Fonda- zione Aldo Rossi di Milano per aver acconsentito la pubblicazione di tali documenti.
1 L. Ghirri, Un cancello sul fiume, in Le città imma- ginate: Un viaggio in Italia, XVII Triennale di Mila-
no, a cura di V. Magnago Lampugnani e V. Savi, Milano 1987, p. 87, cit. anche in P. Costantini,
Cose che sono solo se stesse, in Luigi Ghirri, Aldo Rossi. Cose che sono solo se stesse, a cura di P.
Costantini, Milano 1996, p. 27-28.
2 A. Rossi, Autobiografia scientifica, Parma 1990,
p. 21.
3 È inutile ribadire la rilevanza religiosa ma anche
culturale e artistica che il monastero ha avuto nel tempo: si pensi solamente al Correggio, chiamato ad affrescare il refettorio grande del monastero intorno al 1514, e a Giulio Romano, l’architetto dei Gonzaga, che progettò la nuova basilica intorno al 1539.
4 La documentazione originale del progetto prelimi-
nare è contenuta presso l’archivio personale dell’ar- chitetto Gian Arnaldo Caleffi a Verona; essa contiene copia delle otto tavole presentate nel Comune di San Benedetto Po, la relazione tecnica, numerose foto- grafie del complesso benedettino risalenti al 1983, e alcuni schizzi redatti da Aldo Rossi ma non firmati. Le tavole n. 1-2, in scala 1:200, rappresentano il rilievo del piano terra e del piano primo, allo stato di fatto, del monastero e della piazza; le tavole 3-4, in scala 1:500, individuano l’uso del complesso prima dell’intervento; le tavole 5-6, in scala 1:500, indicano le categorie di intervento alle quali sarebbero dovuti essere sottoposti i manufatti, mentre nelle tavole 7-8, in scala 1:500, è rappresentata la riorganizzazione funzionale dell’intero complesso benedettino. Per questo progetto non furono redatti i prospetti. Presso l’archivio dell’Ufficio Tecnico Comunale di S. Benedetto Po, si trovano le copie delle otto tavole e la relazione tecnica consegnate e firmate da Aldo Rossi. Copia di tale documentazione è altresì reperi- bile presso l’“Aldo Rossi Archive” al Candian Centre for Architecture/Centre Canadien d’Architecture di Montreal, Canada.
5 Conversazione con l’architetto Gian Arnaldo
Caleffi. Cfr. anche G. A. Caleffi, Aldo Rossi, la vita,
le opere, l’insegnamento, in Atmosfere e nostalgie di Montecatini. Il Kursaal rivisitato da Aldo Rossi, a
cura di M. Guidi, Verona 2003.
6 Lezione trascritta e pubblicata nel libro a cura di
G. A. Caleffi e G. Malacarne, Progetti veneziani, Milano 1985, pp. 172-183.
7 Le attività civiche, sociali ed artigianali compren-
dono: Sala conciliare, l’ufficio postale, sedi di enti, associazioni, partiti politici alcune botteghe artigiane ed uffici di rappresentanza e professionali. A. Rossi, G. Braghieri, G. A. Caleffi, Relazione di progetto.
8 Le attività culturali comprendono, al piano terra:
vani per mostre temporanee, gallerie d’arte, sale per cineforum, circoli culturali e ricreativi. Al piano primo rimane il Museo Civico Polironiano. A. Rossi, G. Braghieri, G. A. Caleffi, Relazione di progetto.
9 A. Rossi, G. Braghieri, G. A. Caleffi, Relazione di progetto.
10 A. Rossi, Autobiografia..., cit., p. 41. 11 F. Fellini, La voce della luna, prodotto da Mario e
Vittorio Cecchi Gori, Rai, 1989. 5 4