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III. CAPITOLO : La derivazione iconografica e concettuale dei capitelli-città

III.II La proiezione della Gerusalemme Celeste

Nello studio fin qui proposto, il dais è stato analizzato a livello funzionale, concettuale ed estetico. Derivante dall’evoluzione formale del flabellum e del paracqua egizi, che fecero il loro ingresso nel repertorio liturgico ed artistico cristiano e bizantino, il baldacchino divenne un elemento contrassegnante: era di fatto utilizzato per distinguere ed elevare simbolicamente la persona, l’oggetto e il cerimoniale svolto nello spazio a lui sottostante. posizionare quindi i dais sopra le statue-colonna gotiche significava sottolinearne l’importanza a livello simbolico e materico, il suo aggetto di fatto proteggeva dalle intemperie la scultura, aumentandone ulteriormente la preziosità.

L’attenzione volta per tale parallelismo è stata di carattere puramente simbolico e correlata specificatamente al dato spaziale, sorvolando quindi sull’aspetto estetico si sono potute creare una serie di circostanze, che potrebbero ripercuotersi sulla corretta comprensione dei baldacchini gotici: non considerare la loro complessità e variabilità scultorea genererebbe un’analisi incompleta. Per tale motivo è stata avanzata l’ipotesi che i capitelli- città derivino dall’adattamento cristiano delle corone turrite sovrastanti i capi di Tyche e Cibele, a loro volta desumenti da soluzioni mesopotamiche. Del resto la ripresa del dato antico nell’Europa Occidentale e specialmente in Francia nei secoli XII-XIII è talmente evidente, che ha reso tale ipotesi particolarmente avvincente. Lo studio di carattere estetico-teorico ha coinvolto altresì la statua sottostante, riscontrando un rapporto di

299http://www.museicivici.pavia.it/,

http://www.museicivici.pavia.it/paviamusei/mcivici3.html/ in data 09/12/2017; http://www.lombardiabeniculturali.it/, http://www.lombardiabeniculturali.it/opere- arte/schede/PV300-00008/ in data 09/12/2017

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reciproca valorizzazione e creando una sorta di isolamento concettuale, ove l’elemento soprastante onorava, definiva e contestualizzava il personaggio, come accadde per la Tyche sovrastata dalla città-universo da lei governato (Lucio Anneo Cornuto).

Analizzando la forma dei baldacchini è possibile sostenere un’altra teoria da tempo avanzata dagli studiosi, la quale, derivante dal recupero del repertorio paleocristiano300, individua nei capitelli-città la proiezione della Gerusalemme Celeste, un parallelismo che si scosta dal ragionamento impiegato per la prima ipotesi (che delimita l’importanza del

dais alla sola statua-colonna), a favore di un’immagine totalizzante e riassumente il

significato concettuale dell’intera cattedrale301.

300 Recuperare nel Medioevo il dato paleocristiano significava sottolineare e confermare la

corrispondenza tra i due periodi; di fatto, attingere alle antiche composizioni iconografiche dei primi anni della cristianità e ripresentarle nei secoli successivi in chiave altrettanto elevata, aveva logicamente un’attinenza di carattere liturgico. Le prime immagini cristiane mantennero, altresì nei secoli a seguire, un’aurea artistico-liturgica superiore e capace di commuovere, esercitare fascino e credenze: le reliquie e le icone erano venerate e toccate con la speranza che il loro potere apotropaico potesse guarire i fedeli dalle infermità ... un approccio mistico-idolatrico, che acquisì maggior intensità in epoca medievale.

T. F. MATHEWS, The art of Byzantium: between Antiquity and Renaissance, London, 1998 (b), p. 63

301 La proiezione architettonica della Gerusalemme celeste nell’edificio ecclesiastico appare

scontato se si considera l’origine della chiesa quale luogo/spazio generato da Cristo e dai fedeli. Sauer fu il primo a riconoscere i riferimenti simbolici della città di Dio nell’edificio cristiano, mentre Grabar affermò con chiarezza che l’architettura paleocristiana, edificata sulle reliquie di martiri, aveva un valore simbolico celestiale e cosmico.

Sul fronte Orientale la proiezione della Gerusalemme celeste coinvolgeva l’immagine globale dell’edificio prevalentemente di pianta centrale ove il simbolismo aveva un carattere cosmico: ne sono un esempio l’Anastasis a Gerusalemme e la Basilica degli Apostoli a Costantinopoli erette da Costantino nella prima metà del IV secolo, il Santuario edificato da Gregorio di Nissa ad Antiochia (335-394), dalla pianta ottagonale sormontata da una cupola emisferica, la Rotonda di San Giorgio a Salonicco (c. 300) e Santa Sofia a Costantinopoli (532-537).

Nelle architetture occidentali, dalla pianta basilicale, la Città santa poteva manifestarsi solamente in alcune parti, vale a dire nella facciata, nell’arco trionfale o nell’abside (quest’ultima sino al V secolo fu centro focale dell’intera basilica cristiana) in quanto lo spazio creatosi attorno allo specifico elemento assumeva il medesimo significato. Particolarmente menzionabili sono San Pietro in Vaticano (324/329), Santa Pudenziana (IV secolo) e Santo Stefano Rotondo (468-483) a Roma (quest’ultima venne realizzata prendendo come riferimento l’Anastasis, le cui caratteristiche giunsero in Italia probabilmente grazie alle descriptiones dei pellegrini), e ancora la Basilica di Santa Maria Maggiore (432) e San Lorenzo fuori le Mura (seconda metà del VI secolo) a Roma.

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Avvalorando le parole di Emile Mâle, che considerava la chiesa gotica la rivelazione totale del mondo capace di operare come un Sacramento (grazie alla sua bellezza) e di acquisire un senso solamente se riconosciuta come la Gerusalemme Celeste302, l’associazione

dais=Città Santa trasformerebbe lo stesso baldacchino in uno degli elementi di maggior

risalto all’interno della facciata, che aveva perso il ruolo di “accesso furtivo a un segreto”, per abbracciare la funzione di un’accogliente introduzione ad una rivelazione. Se quindi la cattedrale gotica trasmetteva l’idea di essere un mondo completo ed ordinato, ove ogni forma e numero aveva all’interno del ricco sistema figurativo un significato303, il dais- Gerusalemme Celeste avrebbe anticipato concettualmente quanto il fedele avrebbe poi visto ed ascoltato entrando nella cattedrale.

Studiosi come Günter Bandmann e Agostino Colli hanno sviluppato tale teoria in seguito all’analisi del testo apocalittico di San Giovanni:

₉ Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene Degli ultimi sette flagelli e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello».

₁₀ L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e altro, e Mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio.

₁₁ Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.

Tra gli studi di Sauer sono menzionate anche le chiese medievali, che egli considera prototipi paleocristiani

A. GRABAR, Martyrium. Recherches sur le culte des relique at l’art chrétienne antique, Parigi, 1946, pp. 251-282; M. L. GATTI PERER, Milano, 1983, pp. 77-89

302 Secondo Piva l’immagine della Ecclesia universalis venne utilizzato malamente, come altri

concetti medievali, dalla storiografia dei secoli XVIII-XIX, negli scritti esegetici, di fatto, la E.u. era associata alla Gerusalemme terrena, un parallelismo che trova la sua condanna nella lettura dell’Apocalisse di Giovanni, ove la città è la Civitas coelestis, ovvero la Gerusalemme celeste. Così Piva nega l’interpretazione della basilica gotica (e paleocristiana) quale rappresentante della Città santa.

P. PIVA, 2008, pp. 68-69 (note 5,6); J. LE GOFF, 1967, p. 183; E. MÂLE, 2001, p. 432

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₁₂ La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele.

₁₃ A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte.

₁₄ Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.

₁₅ Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura.

₁₆ La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi;

la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono eguali.

₁₇ Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall’angelo. ₁₈ Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo.

₁₉ Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffiro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo,

₂₀ il quinto di sardonica, il sesto di cornalina, il settimo di crisolito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista.

₂₁ E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente. ₂₂ Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Angelo sono il suo tempio.

₂₃ La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna Perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello.

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₂₄ Le nazioni cammineranno alla sua luce

e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza. ₂₅ Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte.

₂₆ E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni304.

La descrizione della città santa, Gerusalemme, è particolarmente dettagliata, il termine “nuovo” si ripete con costanza: «il cielo nuovo» e la «terra nuova» sono i segni del rinnovamento escatologico compiuto dall’Agnello, così la Città, che scenderà dall’alto, equivale al superamento qualitativo del presente e quindi si rivolge al passato, la meta piena di luce e di gloria divina che richiama l’uomo a significati profondi di valori. Architettonicamente è descritta come una fortezza sicura con mura, fondamenta e porte spalancate dalle quali la luce fuoriuscirà, allontanando le tenebre della notte che non potranno più entrare; tali caratteristiche furono essenziali nelle rappresentazioni della Gerusalemme ideale, delle quali esiste un repertorio particolarmente ampio305, che fu ulteriormente arricchito dai caratteri enunciati da distinte scritture di carattere filosofico e religioso, come la Lettera ai Galati ove Paolo affermava «.. la Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme coi suoi figli. L’altra è la Gerusalemme di lassù ed è libera e nostra madre.»306; nei Canti di Sion del Salterio si legge: «₃Il suo monte santo, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra. Il monte Sion, dimora divina, è la città del grande Sovrano. ₄Dio nei suoi baluardi è apparso fortezza inespugnabile.» e ancora «₁₃Circondate Sion, giratele intorno, contate le sue torri, ₁₄osservate le sue mura, passate in rassegna le sue fortezze, per

304 (Ap. 21,1-26)

305 Il repertorio iconografico della Gerusalemme Celeste si arricchì sin dai primi anni dell’età

paleocristiana, nel contesto italiano la rappresentazione più antica appartiene ad un ciclo pittorico catacombale risalente al III secolo d.C. (ante 270-275): all’interno dell’Ipogeo degli Aurelii a Roma il terzo cubicolo è dedicato alle Storie dell’Anticristo, tra le quali, nella lunetta frontale all’ingresso, vi è l’affresco della città Tempio di Dio, simbolo della fede nascente.

A. PERGOLA, “Il quadrante delle interpretazioni”, in L'ipogeo degli Aureli, a cura di F. Bisconti, 2011, pp. 81-124 (specialmente pp. 84-86), in https://www.academia.edu/,

https://www.academia.edu/9284120/Il_quadrante_delle_interpretazioni_in_F._Bisconti_ed._Lip ogeo_degli_Aureli, in data 15/01/2018

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narrare alla generazione futura.»307; l’evangelista Luca apre e chiude il suo Vangelo con la Città Santa, che, al contempo, equivale al destino ultimo della lunga marcia di Cristo (Lc. 9,51 – 19,27)308.

Prima di avanzare un’analisi che possa confermare o affievolire l’ipotesi della riproduzione della Gerusalemme celeste nei baldacchini gotici, è sicuramente rilevante volgere lo sguardo nei confronti dell’utilizzo dell’iconografia della urbs.

Fin dalle civiltà assiro-babilonesi, l’uomo religioso ha sempre elaborato un concetto di spazio dotato della duplice dimensione sacra e profana, una “struttura mitica” dotata di contenuti simbolici, ove le mura e le porte, con le loro forme e materialità, si trasformavano nei punti limite tra i due mondi; esemplare è la statua del re architetto Gudea di Lagash (2144-2124 a.C.), sulle cui ginocchia è poggiata una tavoletta con incisa la planimetria dell’edificio da lui elaborato (Im. 62)309.

Le città murate avevano una pianta di forma quadrata o circolare, erano orientate secondo un andamento che rispettava i punti cardinali e i loro accessi acquisivano non solo una connotazione sacra e cosmologica, ma altresì apotropaica e in stretta sintonia con la divinità, così in Grecia Hermes era considerato il dio dei cambiamenti dello Stato, mentre per i romani Giano era il custode delle porte celesti. Tra l’età tardo antica e quella medievale la rappresentazione della città visse un evidente processo di diffusione, altresì favorito dalla circolazione delle monete romane, sulle quali era incisa la urbs, formule che vennero altresì proiettate nel mondo della cartografia e della topografia, entrando così a far parte di un processo di diffusione massiva, ove il Corpus Agrimensorum Romanorum (VIII-IX secolo) costituisce uno degli esemplari più significativi. Derivante da un codice della seconda metà del V-VI secolo, nel Corpus sono raffigurati, secondo una prospettiva

307 (Sal. 48)

308 M. L. GATTI PERER, 1983, pp. 33-36

309 Per approfondimenti: M. RAMAZZOTTI, “Ideografia ed estetica della statuaria mesopotamica

del III millennio a.C.”, in Quaderni di Vicino Oriente V, a cura di M. G. Biga, M. Liverani, Roma, 2010, pp. 309-326

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aerea, molteplici modelli di città disposti secondo l’andamento del cardo e decumano e delimitati da una cinta muraria turrita310.

Il processo evolutivo che visse l’iconografia della città è facilmente organizzabile in due formule iconografiche: la prima propone la urbs dotata dei caratteri principali (e solitamente esterni), quali le mura e le porte urbane; la seconda, carica di valenza metaforica, suggerisce l’immagine di una porta urbana quale riassunto concettuale- figurativo della città311.

Le formule iconografiche tipiche della urbs pagana divennero i modelli per l’iconografia della Gerusalemme Celeste, che, al contempo, abbracciò soluzioni più sofisticate dai caratteri soprelevati; tale evocazione-evoluzione dimostrava che, mentre da un lato gli elementi caratteristici della urbs erano basilari, dall’altro vi era la necessità di superarli, al fine di dimostrare la superiorità della Gerusalemme Celeste, essendo quest’ultima il prototipo della bellezza massima, un aspetto che fomentò la fantasia artistica. Il collegamento con la vicenda apocalittica di Giovanni era consueto, ma la Città fu altresì riprodotta in seguito al recupero di fonti apotropaiche, dei racconti di Paolo, dei testi appartenenti alla Bibbia ebraica e alla narrazione apocalittica giudaica, così come nei commentari esegetici, tra i quali quelli di Ticonio che nel 385 concluse il Commentarius in

Apocalypsin, che influenzò Beato di Liébana e Sant’Agostino312.

Gli artisti attinsero a questo complesso repertorio teologico-letterario per elaborare formule capaci di esaltare i caratteri principali della Città, tra i quali la trasfigurazione e l’immaterialità313, favorendo quindi la nascita di un articolato apparato figurativo, che

310 G. BANDMANN, 1972, p. 72; per approfondimenti: W. BIEDER, Ekklesia und Polis im Neuen

Testament und in der alten Kirche, Basilea, 1941

311https://u-pad.unimc.it/, https://u-

pad.unimc.it/retrieve/handle/11393/43158/1134/VIMERCATE%20san%20rocco%20088-113.pdf, p. 103, in data 15/01/2018

312 O. PISANO, “«E Abiterà con loro» (Ap 21,3): la Gerusalemme nuova e la Shekinah”, in

Apokalypsis. Percorsi nell'Apocalisse di Giovanni, a cura di E. Bosetti, A. Colacrai, Assisi, 2005, pp.

188-192; per approfondimenti: J. COWAN, The Celestial City Symbolic Architecture and the Heavenly

Abode, in https://www.academia.edu/,

https://www.academia.edu/22022485/The_Celestial_City_symbolic_architecture_and_the_heave nly_abode, in data 15/01/2018

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Agostino Colli ha suddiviso in sei gruppi tematici, la cui dettagliata analisi risulterebbe fuorviante rispetto all’argomento di questa tesi, ciò nonostante è bene nominarne alcuni, selezionando i temi principali nei quali Gerusalemme è protagonista e i cui caratteri si individuano nei dais gotici:

• Gerusalemme Celeste come città: si individua in scene apocalittiche (realizzate a partire dal IV secolo d.C.) o in contesti isolati; nonostante le differenti forme adottate per la pianta314, in generale si attiene alla descrizione del testo di Giovanni, si dota di fatto di un recinto murato merlato, con torri e porte. Il repertorio miniato è sicuramente il più ricco e vario: a partire dall’XI secolo iniziò a svilupparsi un’iconografia associabile a quella dei dais gotici, infatti dalla pianta poligonale si elevano edifici irregolari con (occasionalmente) una torre centrale e circondati da mura ove la porta principale è affiancata da torri. Tra le illustrazioni più rilevanti vi sono le miniature dell’Apocalisse di Trier (inizio IX secolo) e Cambrai (IX-inizio X

314 La forma cubica e la rispettiva pianta quadrata della Città Santa apocalittica furono affiancate da

planimetrie circolari od ottagonali, il cui simbolismo (forse derivante dagli ideali neoplatonici riguardanti l’importanza delle forme radiocentriche) risultava particolarmente idoneo per la rappresentazione Celeste. La triplice circolarità del Santo Sepolcro e quindi l’associazione di quest’ultimo alla Gerusalemme Celeste e di riflesso a quella terrena fu sostenuta persino da Eusebio, che, al fine di illustrare le condizioni della Chiesa del suo tempo, enunciò tale parallelismo nel Panegirico (316-317) e nella Vita di Costantino (337).

M. L. GATTI PERER, 1983, p. 75; A. ROVETTA, La Gerusalemme celeste e la città ideale nell’età

dell’umanesimo, “Atti del convegno nazionale di studi su la città ideale nella tradizione classica e

biblico-cristiana”, (Torino 2-3-4 maggio 1985), a cura di Roberto Uglione, pp. 275-276

Utilizzare per oggetti liturgici (candelabri, incensieri, turiboli ...) le forme e i numeri propri della

Urbs Sancta significava evocare e creare una connessione allegorica con essa; lo stesso approccio si

utilizzò a livello architettonico, del quale l’esempio più rilevante è la Cappella Palatina della Cattedrale di Aquisgrana, la cui pianta ottagonale a partire dal 1224 fu arricchita con grossi timpani disposti sui lati poligonali. Tra gli esemplari di arte minore vi è il lampadario donato nel 1130 dall’abate Hartwig all’Abbazia di San Nicola a Corburg, dalla cui forma circolare si eleva un recinto dotato di dodici strutture equivalenti alle porte della Città, alternate dalle figure degli Apostoli. La Corona del Sacro Romano Impero (ante 962) di forma ottagonale si compone di placche d’oro arricchite con materiali preziosissimi, che non solo esaltavano lo splendore dell’Impero, ma nuovamente si allacciavano all’illusione simbolica della Gerusalemme Celeste e quindi alla rappresentazione terrena del mondo divino (Im. 63).

G. BANDMANN, 1972, pp. 77-78, 88; per approfondimenti: G. DUBY, Adolescence de la chrétienté

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secolo), che, simili, si caratterizzano per agglomerati di torri ed edifici sovrastanti delle fondamenta di mattoni315. Un esempio più tardo proviene dal Liber Floridus (ca. 1220) ove al foglio 65r. è raffigurata la Gerusalemme Celeste con pianta circolare e una cinta murata gemmata e merlata, le cui torri, terminanti in cupole alternate a cuspidi, sono affiancate dai nomi degli Apostoli. Un esemplare di più semplice fattura si identifica in un capitello del chiostro dell’Abbazia di Moissac (fine XI secolo), ove la Città è di fatto riassunta in una semplice cinta merlata dotata del portone d’ingresso dagli infissi serrati, mentre nella parte superiore si ergono dei personaggi di riferimento divino (Im. 64)316.

• Gerusalemme Celeste con Angeli e Santi: secondo la descrizione apocalittica (Ap. 21,12), gli Angeli svolgono azioni o sovrastavano le dodici porte della Città, nelle quali solitamente la schiera dei giusti si presta ad entrare. Gli eletti, come Apostoli, Martiri, Profeti, Patriarchi, Vescovi, Confessori ..., sono radunati in gruppi disposti entro le mura della città, come nelle miniature dei frontespizi dei manoscritti del

De civitate Dei di Sant’Agostino o nei portali scolpiti delle cattedrali romaniche; ne è

un esempio il timpano della Maiestas Domini della Chiesa di Sainte-Foy a Conques (fine XII secolo) ove sottostante la copertura a doppia falda (arricchita dall’iscrizione che attesta si tratti della Gerusalemme Celeste) lo spazio è suddiviso da sei arcate ospitanti Cristo, Santi e Beati (Im. 65-66)317.

• Gerusalemme Celeste immagine della Chiesa: l’associazione della Città Santa alla Chiesa, quale comunità di fedeli in cammino verso Cristo, veniva rappresentata, soprattutto in età paleocristiana, con i caratteri architettonici della ecclesia. Durante il periodo medievale l’iconografia della Gerusalemme Celeste acquisì nuove caratteristiche, fu di fatto arricchita con edifici, probabilmente ecclesiastici, svettanti dal centro delle mura, come nell’Apocalisse Douce (f. 92r,93r) realizzata

315 B. KÜHNEL, From the earthly to the Heavenly Jerusalem. Representation of the Holy City in Christian

Art of the First Millennium, in “Römische Quartalschrift für Christliche Altertumskunde und

Kirchengeschichte”, Rom-Freiburg-Wien, 1987, pp. 124-127

316 M. L. GATTI PERER, 1983, scheda di catalogo n.64 (p. 181)

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attorno alla seconda metà del XIII secolo, ove la Città murata e merlata si dota di torri e portali sormontati da timpani, ai quali si accede mediante una scalinata composta da dodici gradini.

L’Agnello, spesso accostato alla figura di Cristo, completava concettualmente l’immagine della Gerusalemme Santa quale Tabernacolo e Tempio di Dio, evocando al contempo Gesù Salvatore, il Risorto. La sua presenza, a favore della descrizione apocalittica «Dominus enim Deus omnipotens templum illius et agnus» (Ap. 21,22), era arricchita dal nimbo crucifero e dallo scettro, che, racchiusi in un tondo di luce dai raggi luminosi, acquisivano i caratteri della lampada della città, come nell’Evangeliario carolingio di San Medardo di Soissons di fine VIII secolo, ove nel registro superiore l’Agnello sovrasta il Tetramorfo, le schiere angeliche e

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