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A proposito della Cena: sulle influenze belliane nei raccont

II. SULL’ELABORAZIONE DEI RACCONTI

II. 4. A proposito della Cena: sulle influenze belliane nei raccont

Potrebbe apparire insolito che in una tesi dedicata a Le notti romane si scelga di spendere alcune pagine su un aspetto che, in prima istanza, potrebbe sembrare marginale, ma che in realtà è centrale. Riteniamo necessario soffermarci sulla lunga frequentazione vigoliana del Belli proprio perché, a parer nostro e non solo, il Vigolo studioso e critico fa corpo unico con il poeta e il narratore; inoltre, come mettono in evidenza gli echi belliani che riportiamo, i racconti risentono notevolmente degli studi di Vigolo sul Belli.

59I

D., Le notti romane, cit., p. 110. 60

Ivi, p. 109.

61 Ivi, p. 110.

48

Vigolo dedicò decenni della sua vita alla monumentale edizione commentata dei sonetti del Belli, come già ricordato, pubblicò per la prima volta il Belli presso Formiggini nel 1931 e completò l‟edizione dei Sonetti nel 1952. Nel 1963 ripropose i suoi migliori commenti e studi nel volume di critica Il genio del Belli e, nel 1978, curò la nuova edizione dei Sonetti.

Gibellini, nei Panni in Tevere, ci indicava la via: «leggere il “suo” Belli per capire Vigolo»:

Vigolo rivisita i poeti […]. Se ne scorra il catalogo sommario: Belli e Hölderlin, innanzitutto; e Rimbaud, e Petrarca, e Leopardi, e persino Ariosto […]. Ripercorse tutti, quei poeti, col viatico di una sensibilità prevaricante, filtrati al vaglio della sua propria urgenza ideologica e visionaria: con una singolare capacità di appropriazione, di far «suo»; meglio: di far scaturire da quei testi accenti riposti e virtuali; consoni alla sua poetica, adeguati alle sue valenze. Trascrivendo per organi spartiti da clavicembalo; preferendo il pedale alla sordina. La dizione vigoliana di versi a lui più cari, offre al fortunato uditore sussidi critici davvero insospettati. Dal contatto fra i poeti, come fra reagenti chimici, nascono talvolta le scintille, impreviste, riverberi illuminanti: «leggere Rimbaud per capire Belli», non è forse il metodo privilegiato che Vigolo suggerisce? E potrebbe ben rovesciarsi: leggere il «suo» Belli per capire Vigolo.63

Giuseppe Gioachino Belli nell‟Introduzione alla propria raccolta di sonetti scrisse:

Io ho deliberato di lasciare un monumento di quella che oggi è la plebe di Roma. In lei sta certo un tipo di originalità: e la sua lingua, i suoi concetti, l‟indole, il costume, gli usi, le pratiche, i lumi, la credenza, i pregiudizi, le superstizioni, tuttociò insomma che la riguarda, ritiene un‟impronta che assai per avventura si distingue da qualunque altro carattere di popolo. Né Roma è tale, che la plebe di lei non faccia parte di un gran tutto, di una città cioè di sempre solenne ricordanza.64

Ci pare che, gran parte dell‟opera vigoliana, sia percorsa dallo stesso intento, quasi che lo scrittore abbia voluto porsi nel solco aperto dal suo predecessore, essendosi accorto che la città aveva dell‟altro da raccontare.

Nonostante le notevoli somiglianze tra i due è bene sottolineare che, pur partendo entrambi dalla realtà che meglio conoscevano, sono giunti ad esiti diversi. Roma è servita a Vigolo come base per iniziare a far muovere la propria fantasia, divenendo così teatro per la propria immaginazione. Per il Belli, invece, scrivere di Roma, rendendo

63

P.GIBELLINI, I panni in Tevere, Bulzoni, Roma, 1989, pp. 246-247. 64G.G.B

ELLI, Tutti i sonetti romaneschi, a cura di MARCELLO TEODONIO, Newton Compton, Roma, 1992, (2 voll.), p. 3.

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così il popolo protagonista dei propri componimenti, risponde a un intento satirico, di dura protesta sociale. I suoi duemiladuecentosettantanove plebei romani dello Stato Pontificio sono un formidabile documento antropologico.

Possiamo pertanto concordare con il giudizio che Claudio Varese diede nell‟intervento

Giorgio Vigolo e il fantastico:

L‟amoroso studio del romanesco Belli non è stato una distrazione, un riposo o un‟alternativa, ma un momento della scoperta del possibile fantastico dentro alla dimensione e persino dentro il peso della realtà del quotidiano.65

Riteniamo però anche importante sottolineare come l‟ammirevole attività di critico belliano sia forse stata un limite a trovare un «posto nella letteratura»66 per lo scrittore.

Nel racconto Il Plutone casareccio la cucina è rappresentata dalla prospettiva del piccolo protagonista del racconto; nella descrizione ci pare ravvisabile, sia per quel che riguarda la strumentazione di cui dispone, sia per le pietanza che vi si trovano, l‟influenza del sonetto La cuscina der Papa, che riportiamo nella sua interezza:

Co la cosa ch‟er coco m‟è ccompare m‟ha vvorzuto fa vvéde stammatina la cuscina santissima. Cuscina?

Che ccuscina! Hai da dí pporto de mare. Pile, marmitte, padelle, callare,

cossciotti de vitella e de vaccina, polli, ova, latte, pessce, erbe, porcina, caccia, e ‟ggni sorte de vivanne rare. Dico: «Pròsite a llei, sor Padre Santo». Disce: «Eppoi nun hai visto la dispenza, che de grazzia de Ddio sce n‟è antrettanto». Dico: «Eh, scusate, povero fijjolo!,

ma ccià a ppranzo co llui quarch‟Eminenza?». «Nòo», ddisce, «er Papa maggna sempre solo».

65

C.VARESE, Storia mito e racconto: G. Vigolo e il fantastico, in Sfide del Novecento. Letteratura come

scelta, p. 257.

66P.G

50

Significativo il fatto che, proprio come accade nel racconto vigoliano, dopo la descrizione della cucina, anche il sonetto seguente del Belli si focalizzi sulla cantina (La

cantina der Papa).

Nei due racconti che aprono Le notti romane (Il guardiacaccia e Il Plutone

casareccio) il termine «fiume» viene usato per antonomasia a indicare il «Tevere»

(«fiume» ricorre cinque volte, mentre di «Tevere» si riscontra una singola occorrenza). Se ne ritrova lo stesso uso in Belli: egli nei sonetti non utilizza che una sola volta il termine «Tevere» («in quer tevere granne der giordano»).67

Per quanto concerne la toponomastica, non è possibile riportare tutti i casi in cui i luoghi vigoliani coincidano con quelli in precedenza citati dal Belli poiché, come si è visto, entrambi mettono al centro della propria scrittura la Capitale; ad esempio nel racconto Il sogno delle formiche si designa una località di Roma come «Ponte Quattro Capi»;68 ovvero il Ponte Fabricio che unisce l‟Isola Tiberina al rione S. Angelo. Il Belli nel diciottesimo sonetto della serie Er còllera mòribbus, fa richiamo alla medesima località («Pponte Quattro-capi»).

Nel dattiloscritto del medesimo racconto si fa riferimento ad alcune leggende tra le quali «quella della bellissima fanciulla inglese che sarebbe divenuta Papa nel IX secolo col nome Giovanni VII».69 Belli dedicò un intero sonetto a questo episodio leggendario: La papessa Ggiuvanna.70

Come abbiamo già avuto modo di vedere, nella Cena degli spiriti l‟immaginazione dello scrittore riveste un ruolo non indifferente. Non solo nella materia ma anche per quanto riguarda lo stile e le scelte lessicali possiamo avvertire qui e là l‟influsso del poeta romanesco per eccellenza. Vigolo , infatti, confessa che:

non solo con l‟attività laterale, marginale di commentatore e critico io mi avvicinai al Belli, ma impegnandovi l‟intiera mia personalità e fantasia [...] io ho sentito e approfondito il Belli liricamente attraverso la mia propria poesia e potrò magari in qualche momento di più accesa adesione essere stato artifex additus artifici, poeta del poeta. […] attraverso non so più quante letture e riletture dei sonetti, a cui mi costringevano anche le numerose, ripetute correzioni di bozze, sono arrivato a

67G.G.B

ELLI, Son. n. 333, La circoncisione der Zignore, in Tutti i sonetti romaneschi, cit., p. 355. 68

G.VIGOLO, Le notti romane, cit., p. 34. 69 G.V

IGOLO, (A.R.C. 16 Sez. E II/11cc. 29-35). 70G.G.B

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conoscerne moltissimi a memoria e ad averli quasi tutti presenti con una certa iscrizione al mio inconscio, dove forse stanno tutti registrati.71

Nella Cena degli spirtiti ci pare percepibile l‟influenza del sonetto belliano: Er mortorio

de Leone duodescimosiconno72 che proponiamo per intero. Jerzera er Papa morto sc‟è ppassato

Propi‟ avanti, ar cantone de Pasquino. Tritticanno la testa sur cusscino Pareva un angeletto appennicato. Vienivano le tromme cor zordino, Poi li tammurri a tammurro scordato: Poi le mule cor letto a bbardacchino E le chiave e ‟r trerregno der papato. Preti, frati, cannoni de strapazzo, Palafreggneri co le torce accese, Eppoi ste guardie nobbile der cazzo. Cominciorno a intoccà ttutte le cchiese Appena usscito er morto da Palazzo. Che gran belle funzione a sto paese!

Le convergenze tra i testi sono evidenti, infatti, nel dattiloscritto vigoliano Racconto

d’inverno leggiamo «tamburi lontani» che nella ne varietur è corretto in «tamburi

scordati». La correzione ricorda da vicino il «tammurro scordato» belliano. Questa espressione, che ben si addice al racconto vigoliano, indica lo strumento dalle corde allentate in modo che la resa del suono risulti più funebre. È una sfumatura lessicale importante, che fa parte di quella serie di riferimenti utilizzati nel racconto dallo scrittore per sottolineare la forte presenza sonora del corteo funebre nella città:

Ma poi l‟insistere di questo suono, che batte come un cuore nell‟interno delle nubi e dei muri, l‟improvviso affollarsi della strada, ci convincono che, da molte torri, migliaia di bronzi insieme rintoccano a lutto.73

Nel manoscritto Luce d’inverno e nel dattiloscritto Racconto d’inverno Vigolo raffigura così il sarcofago del Papa: «un‟enorme arca di porfido, scolpita di triregni e di chiavi»;74

71G.V

IGOLO, Il genio del Belli, cit., pp. 16- 23. 72

G.G.BELLI, Son. n. 281, Er mortorio de Leone duodescimosiconno, in Tutti i sonetti romaneschi, cit., p. 303.

73G.V

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descrizione che riprende dal sonetto belliano Er mortorio de Leone duodescimosiconno, nel quale, infatti, leggiamo: «E le chiave e‟r trerregno der papato».

Proponiamo l‟altro sonetto belliano dedicato allo stesso episodio: Le ssequie de Leone

duodescimosiconno a Ssan Pietro.75

Prima, a Ppalazzo, tanti frati neri

La notte e ‟r giorno a bbarbottà orazzione! Pe Rroma, quer mortorio bbuggiarone! Cqua, tante torce e tanti cannejjeri! Messe sú, mmesse ggiú, bbenedizzione, Bòtti, diasille, prediche, incenzieri, Sonetti ar catafarco, arme, bbraghieri, E sempre Cardinali in priscissione!

Come si a er Papa, che cquaggiú è Vvicario De Crist‟in terra, possi fa ppeccati,

E annà a l‟inferno lui quant‟un zicario! Li Papi so ttre vvorte acconzagrati: E ssi Ccristo sciannò, cciannò ppe svario A ffà addannà li poveri dannati.

Qualche reminescenza ci pare di avvertire anche in questo sonetto relativo alle esequie del Papa. Infatti, in entrambi gli scrittori, ad accompagnare il «catafarco» in cui è disposto il Papa ci sono moltissime candele accese. Inoltre, la processione dei Cardinali del Belli ricorda la processione descritta da Vigolo alla quale partecipano i cavalieri ed il Balì.

Nella versione manoscritta del racconto, Vigolo corregge, per elevare il lessico, «giornata» in «nuvolata»,76 variante che sarà accolta nel dattiloscritto Racconto

d’inverno. Ritroviamo la stessa espressione, che apparentemente potrebbe sembrare un

neologismo, nel sonetto di Belli Er fuso,77 benché riferito a degli insetti («Ar giorno d‟oggi er popolo romano // pare una nuvolata de moschini»). Tale termine non presenta questa singola occorrenza in Vigolo, ma è da lui utilizzato anche nei racconti della

74I

D., Luce d’inverno, c. 14. 75 G.G.B

ELLI, Son. n. 282, Le ssequie de Leone duodescimosiconno a Ssan Pietro, in Tutti i sonetti

romaneschi, cit., p. 304.

76G.V

IGOLO, Luce d’inverno, cit., c. 12. 77G.G.B

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medesima raccolta Autobiografia immaginaria («nuvolati bassi»)78 e La piccola

apocalisse,79 e in due racconti contenuti nel Silenzio creato (in Bellezza mortale «denso nuvolato»80 e in Sera di fortuna «nuvolato fitto»).81

Ci pare di riscontrare un‟influenza belliana, che riguarda il lessico, anche nel

Pavimento a figurine; la notte trascorre tra sogno e allucinazione e si conclude solo

quando dalle finestre entra una «sperella di sole».82 Nel sonetto La madre canibbola83 la «sperella der zole» pone fine alle violenze che un‟indegna madre sta compiendo sul proprio figlio.

78G.V

IGOLO, Le notti romane, cit., p. 73.

79 Ivi, p. 119.

80I

D., Il silenzio creato, cit., p. 111. 81

Ivi, p. 119.

82 Ivi, p. 144.

83G.G.B

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