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La proprietà immobiliare

A questo punto, prima di vedere quali ne fossero i caratteri, è bene chiedersi che valenza e che natura avesse a Venezia la proprietà immobiliare.

Uno degli enigmi irrisolti è l’origine dei mercanti. Secondo Berengo79 è assai difficile

distinguere tra artigiano e mercante perché di fatto si parla genericamente di “arti” senza distinguere tra coloro che producono e coloro che vendono, solo a partire dal Quattrocento vi sarà una netta separazione. Coloro che vendono merci che non producono, di solito prodotti che non sono locali, sono chiamati propriamente “merciai”; ma non era infrequente che il mercante oltre alla sua produzione potesse trarre profitto da altri commerci. Ad esempio i produttori di panni di lana tedeschi, che vanno alle fiere, possono trarre guadagno facendo i cambiavalute, i medici possono vendere panni di lana e i macellai vino80. Tra gli artigiani sono considerati mercanti gli orafi, i macellai, i drappieri, i droghieri, pellicciai, merciai, cambiatori e berrettai. Sono considerati artigiani i tessitori, follatori, tappezziere, osti, fabbri, armaioli, scrivani.

Secondo alcuni derivano dagli equites romani. Ma da chi ascendono? A Venezia i primi mercanti dall’ VIII fino al XII secolo circa, come gli Ziani o gli Orio, i Particiachi/Badoerius81, gli Orseolo etc., sono anche proprietari terrieri e ciò li identificherebbe con la classe dei patrizi, i senatori romani. Però siccome la loro origine affonda nel mito di Venezia, e molto vi si è ricamato sopra nel corso dei secoli82, potrebbe essere diversa e non essere affatto nobili.83

Nei secoli dell’alto medioevo, fino grossomodo all’XI, i nobili non abitarono le città, preferendo, investiti da poteri feudali, dominare le corti signorili nei loro castelli disseminati nel contado84.

Entrano sporadicamente in città fino alla fine dell’XI quando vi ritorneranno sistematicamente,

79 B

ERENGO, l’Europa delle città, pp. 401-467.

80 Ivi.

81 Lo studio di Marco Pozza sulla famiglia Badoer sfata la tradizione che identifica la famiglia Particiaco con quella dei

Badoer cfr. Marco Pozza, I Badoer, Abano Terme, Francisci editore 1982.

82 Si vedano in ASVe nel fondo degli Avogadori di Comun i processi di nobiltà, dove le famiglie aspiranti a essere

riconosciute patrizie ricostruivano i propri alberi genealogici.

83 C

ARILE,L’Adriatico in età bizantina, p. 469: «L’invasione Longobarda nella Venetia e quella slava in Dalmazia ebbero l’effetto di potenziare le società lagunari e insulari, che erano già caratterizzate da un fitto tessuto di realtà economiche e sociali attinenti ai ceti subalterni dei contadini, dei marinai, dei salinari dei monopoli di stato»

84 BERENGO, l’Europa delle città, distingue nel Duecento tra cittadini e nobiltà feudale, anche se ciò vale soprattutto per

le città della Germania e del Nord Europa in genere. La nobiltà cittadina si sviluppa in seguito e comunque, come quella feudale, è di origine diversa rispetto a quella senatoria romana.

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chiamati a difesa del presule contro i cives85. Chi abita in pianta stabile la città sono appunto il vescovo e il clero da una parte, e dall’altra i cives86.

I cittadini o cives sono un corpo sociale dove vi è una distinzione di censo, lo desumiamo facilmente dalle corporazioni d’arme, cioè dalle associazione dei cives per la difesa della città divise tra milites e pedites. I cavalieri o nobili rappresentano i milites mentre il comune, che nel latino volgare – commune - indica tutti coloro che non sono cavalieri, costituiscono i pedites o fanti. Ogni contrada, o sestilia o quintilia, ha una corporazione d’arme in cui militano tutti gli abitanti ivi residenti, infatti per parteciparvi, anche se è consigliato, non è obbligatorio essere iscritti a una corporazione al contrario di quanto succede per esercitare un mestiere87. A Venezia troviamo traccia di questa pratica sia nella resistenza nei toponimi di luoghi destinati al bersaglio, cioè all’esercitazione militare, sia nei testamenti dove oggetti come elmi e spade vengono lasciati in eredità88.

Nonostante inizialmente tutte le arti siano popolari, nel governo del Comune si distinguono subito le arti mercantili, mentre solo a partire da metà Duecento si affiancarono nella città le arti manuali che tuttavia continuarono a configurarsi e a essere considerate popolari89.

Venezia non pare faccia eccezione a questa regola della configurazione sociale dei suoi abitanti. Tra i suoi cives il gruppo dei milites è rappresentato da un corpo militare gerarchicamente organizzato con al vertice dapprima un tribunus militum e poi un dux che ai compiti di difesa

85 G

IANCARLO ANDENNA, Società cittadine e poteri signorili del contado nell’età del romanico in Italia settentrionale in Società bresciana e sviluppi del romanico (XI- XIII) atti del convegno di studi Università cattolica, Brescia 9-10 maggio 2002, a cura di Giancarlo Andenna Marco Rossi, Mikilano Vita &pensiero, 2007, pp. 4-29; Padova: architetture medievali. Progetto ARMEP(2007-2010), a cura di Alexandra Chavarria Arnau, Mantova, SAP, 2011, p. 20, presenza a Padova fino dalla prima metà del XII secolo di figure della nobiltà fondiaria extra urbana legate alla difesa del vescovo.

86 B

ERENGO, l’Europa delle città, p. 182 sull’uso e il significato di cives e burgenses: «La circostanza che [la civitas] potesse essere un luogo forte e recinto di mura non era certo privo di significato, ma non riusciva di per sé determinante Burgus ha indicato gli altri tipi di insediamento che si differenziassero dal villaggio rurale; e nell’area neolatina ha soprattutto designato un agglomerato abitativo che si era venuto formando fuori dalla città antica, alle sue porte o ai piedi dell’altura su cui essa sorgeva».

Quindi cives e burgensis hanno fatto capo a questi due aspetti. Di fatto dal Duecento si perde la distinzione tra i due termini, tra città e borgo, e tendono soprattutto nelle città di area Nord- Europea a essere assimilati o addirittura si privilegia “borghese” come abitante della città al posto di “cittadino”. Nelle città vescovili il vecovo risiedeva nella civitas e i cives erano detti gli appartenenti alla sua famiglia che abitavano assieme a lui mentre con burgensis si chiamavano coloro che si addensavano nel borgo circostante la civitas vescovile. Dal 1240 si parla di cives e il termine burgensis tende a scomparire. ID.,p. 183: «Il cambiamento ha un esplicito carattere di rottura rivoluzionaria col passato, perché il mercato e gli artigiani si sono impadroniti delle chiavi delle porte e rivendicano i pieni diritti, sino ad allora assorbiti dalla città alta.»

87 Ibid., pp. 207-211; F

EDERICO PIGOZZO, Treviso e Venezia nel Trecento. La prima dominazione veneziana sulle podestarie minori (1339-1381), Venezia, ISVSLA, 2007, p. 37.

88Venezia, Archivio di Stato, Procuratori San Marco de Citra, Busta 53/54, Commissaria Zorzi Baseio, dal punto del suo

testamento: Lascia le sue bandiere, pavesi, lanze, la sovravesta indorada, un elmo.

89 B

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associano quelli di governo90, cioè di organizzazione e consolidazione della compagine civile

rappresentata complessivamente da artigiani e dagli addetti alle funzioni curuli. La quasi mitica lapide torcellana attribuisce nel VII secolo a Maurizio, tribunus militum di investizione esarcale, l’atto di fondazione della basilica (e di lui si trova traccia fino a Ravenna); il dux Pietro Tribuno91 nel IX secolo, afferma Giovanni diacono92, iniziò a costruire una città.

E’ risaputo che per i nobiles, sia che fossero tali per ascendenza da famiglia senatoria93, sia

che lo fossero per investizione feudale, era altamente screditante occuparsi del commercio fin dall’antica Roma. Tanto è vero che chi esercitava profitti di questa natura usava spesso la mediazione di un prestanome, di solito un liberto, a cui fornivano il capitale, come nelle imprese di produzione dei mattoni ad esempio.

Il discredito sul profitto fu ereditato in epoca cristiana, rielaborato sotto forma di peccato contro il Signore in quanto speculazione su un bene quale il tempo che apparteneva a Dio94. Le frequenti donazioni dei propri beni in nome di Dio, fin dall’XI secolo e via giù per tutto il Duecento, Trecento e Quattrocento e oltre, tanto da essere dichiarato nella narratio dei documenti95 dove espongono i motivi che li spingono all’atto, indicano senza dubbi che i notabili veneziani sono preoccupati per la salvezza della loro anima vista la condanna religiosa del loro guadagno. Allora se i proprietari terrieri della laguna non sono patrizi o vassalli il legame alla terra deriverebbe loro da altra natura o servizio.

Durante l’esarcato sembra sempre più accreditato che vi fu la rifunzionalizzazione a fini militari dell’originaria organizzazione lagunare attrezzata per raggiungere Aquileia, tramite navigazione endolagunare – interna e protetta - partendo da Ravenna, lungo le fossa con dei punti d’appoggio, stationes, che servivano da tappe intermedie lungo il percorso96.

90 G

IORGIO RAVEGNANI,Castelli e città fortificate nel VI secolo,Ravenna, Edizioni del Girasole, 1983, PP.7-26;CARILE, L’Adriatico in età bizantina, p. 474-478 dove evidenzia da parte bizantina la creazione nell’area endolagunare, che partiva da Ravenna e arrivava fino a Grado, di una zona militarizzata di natura marittima.

91 Non si può fare a meno di notare che il nome famigliare Tribuno può essere spia di un passaggio ereditario di una carica

militare trasmessa di padre in figlio.

92 G

IOVANNI DIACONO, Istoria Veneticorum, edizione e traduzione di Luigi Andrea Berto, Bologna, Zanichelli 1999.

93 Cfr. nota 97 sulle origini della nobiltà medievale difficilmente ascendente a origini propriamente romane e

senatorie, ciò è rimarcato sulla scorta di quanto affermato da CARILE,L’Adriatico in età bizantina, pp. 473-478 della presenza di un’aristocrazia militare e fondiaria in parte di matrice orientale (siriana e armena) e in parte gota,

longobarda e germanica.

94 J

ACQUES LE GOFF,Tempo della chiesa e tempo del mercante, e altri saggi sul lavoro e la cultura nel medioevo, Torino, Einaudi, 1977, p.3-5. Ma vedi anche alla nota 86 l’affermazione di Carile circa il debito dell’etica cristiana al principio della beneficenza romana attraverso cui il ricco si faceva promotore del benessere della società.

95 pro remedio anima mea. 96 W

LADIMIRO DORIGO, Fra il dolce e il salso: origini e sviluppi della civiltà lagunare in La laguna di Venezia, a cura di Giovanni Caniato, Eugenio Turri, Michele Zanetti, introduzione di Angelo Marzollo, Verona Unesco-Roste CIerre

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Fra il VI e il IX secolo il territorio costiero alto adriatico si trasformò dapprima in centro di resistenza antibarbarico, poi in cerniera indipendente tra i due imperi, quello bizantino e quello Carolingio97. Dal 584 circa l’istituzione dell’esarcato, con capo a Ravenna, organizzò l’intera gronda

in forma militare «si cercava in questo modo di rafforzare le potenzialità difensive […]. La riforma si estese ai residui territori periferici ancora sotto il controllo bizantino, facendo passare anche qui il potere reale ai capi militari che lo esercitavano come governatori di province (duces o magistri

militum) e attraverso i tribuni al comando dei presidi cittadini. L’obbligo di concorrere alla difesa fu

esteso a tutta la popolazione, che affiancò i soldati di mestiere»98.

Già in epoca precedente alla caduta dell’impero romano, nella Venetia et Histria l’imperatore Augusto distribuì direttamente ai veterani terre dell’agro centuriato di Mirano in cambio delle loro prestazioni (l’area farà poi parte dei beni di S. Gregorio come proprietà derivate da S. Ilario99). Infine sotto l’esarcato divenne abituale, secondo la consuetudine militare bizantina100, fare ricorso alle forze locali per difendere il limes: il territorio da difendere fu affidato agli abitanti, sotto forma di concessione imperiale, trasformandoli in limitanei cioè nelle truppe schierate a difesa del confine. L’ ipotesi dell’esistenza di una linea di frontiera fortificata in laguna, costituita da castelli, torri, borghi e fossati, è in dubbio101 dato che la ricerca archeologica continua a non trovare riscontro diretto di un sistema di difese limitanee di quel genere. Però affiorano insediamenti a Olivolo (S. Pietro di

edizioni,1995, pp. 137-191, «Una di queste [stationes] è Poveglia, Pupilia, costruita di fronte alla nuova Metamauco ancora stazione di pertinenza patavina secondo la lezione delle cronache e dell’esilio dei vescovi patavini di fronte all’avanzare longobardo a Padova. Pare attestato che il confine municipale altomedievale, forse attribuibile a un’organizzazione municipale risalente all’età imperiale, che passa tra Poveglia e l’isola di S. Clemente sia il più antico. Non pare, infatti che l’agro altinate arrivasse così in profondità nella laguna centromeridionale ed esistono attestazioni di presenza patavina nell’area di Rivoalto».

97 G

IORGIO RAVEGNANI, Bisanzio e Venezia, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 11-23

98 Ibid., p. 23.

99 S.S. Ilario e Benedetto e S. Gregorio a cura di Luigi Lanfranchi e Bianca Strina, Venezia, Il Comitato editore, 1965;

LIDIA FERSUOCH, S.Leonardo in Fossa Mala e altre fondazioni medievali lagunari. Restituzione territoriale, storica e archeologica, Roma, Jouvence, 1995.

100 D

ORIGO, Fra il dolce e il salso in La laguna di Venezia, p. 157: «Sul territorio, ancorché spesso impaludato, ciò significò militarizzazione: strutture difensive castrensi, torri sulle anse dei corsi d’acqua, quadri di comando detenuti dall’ufficialità bizantina, quadri inferiori (tribuni militiae) affidate ai locali possessori della terra, reparti (numeri) formati dalle genti del luogo, caricate d’obbligo militare in caso di emergenza in cambio delle glebe concesse alla coltivazione, il più delle volte in forme di colonato servile e semiservile sotto il controllo tribunizio. Per quanto possiamo oggi distinguere l’armatura bizantina della Venetia marittima si fondò sulla progressiva creazione di una serie di castra e di fossata (castelli, centri murari e campi trincerati) finalizzati al presidio militare del territorio e serviti dagli aggregati demici, i vici antichi (che si reggevano sull’allevamento del bestiame, sull’economia agricola e su quella della pesca); sulla restaurazione e integrazione delle torri di controllo già esistenti nelle stationes della via endolitoranea di età imperiale; e sulla fondazione di chiese e monasteri, che nell’esperienza bizantina avevano spesso assunto ruolo civile e militare, particolarmente riconoscibili per i loro tituli di dedicazione all’arcangelo Michele, protettore dell’esercito romano, e a santi martiri militari»

101 C

ECILIA MOINE, Chiostri tra le acque: i monasteri femminili della Laguna nord di Venezia nel Basso Medioevo, Borgo S. Lorenzo, All'insegna del Giglio, 2013.

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Castello)102, a S. Lorenzo delle Motte, nome attuale dell’antico sito di Ammiana, che presentano

caratteristiche di avamposti difensivi, forse solo di una via interna a carattere fluviale, come suggerisce anche Concina e che ben si raccorda con le preesistenze del territorio di gronda «In effetti, come gli studi e le ricognizioni archeologiche in laguna e in città hanno confermato, dopo una fase in cui l’assetto difensivo della Venetia et Histria in funzione antilongobarda sembra impegnarsi principalmente sul controllo del principale asse viario che mantiene i contatti con il territorio ravennate, dato dal tracciato della via Annia, l’assetto della Venetia marittima già dal VI sec. si imposta sul precedente sistema portuale e sui preesistenti assi di collegamento endolagunare della fascia costiera, attribuendo nuove funzioni a centri più antichi e costituendo centri di nuovo popolamento (come nel VI secolo sarà la civitas nova Heracliana). E’ in questo contesto che la

mirabilis habitacio si conforma, dove la via d’acqua assume funzione determinante

nell’organizzazione insediativa, come elemento ordinatore dell’abitato che si forma generalmente a partire dalle sponde accessibili, estendendosi assai lentamente verso l’interno delle insulae occupate»103.

Il profilo dei primi magnati veneziani allora sarebbe quello di proprietari fondiari104 inizialmente non tutti nobili, alcuni di origine plebea se non popolare, forse addirittura di origine non libera anche se non servile105, con degli obblighi da cui si emanciparono in seguito. Appare

102 Qualcosa di paragonabile a un assetto difensivo fu ritrovato a S. Pietro di Castello durante la campagna di scavo del

1986-1989 nella zona dietro alla chiesa in un’aera iniziale di m. 3 x 6 a sud –est dell’abside. Fu rinvenuta una struttura quadrata con lato di circa m. 7, databile approssimativamente al VII secolo, a questo primo vano pare che in un secondo momento ne sia stato affiancato un secondo verso Ovest dando al primo forma rettangolare. Non vi è presenza di pareti divisorie. Il ritrovamento di un tremisso d’oro del periodo eracliano e di tre bolle bizantine del VI- VII secolo farebbero intendere un uso ufficiale del luogo. Tuttavia una serie di testimonianze quali ossa, conchiglie e vegetali farebbe propendere per un uso insediativo-commerciale di generi di pregio in diretta dipendenza con il mediterraneo orientale e diretti verso l’entroterra. L’insediamento ufficiale – forse il castrum helibolis del patto di Lotario – avrebbe potuto trovarsi in posizione diversa rispetto a questi locali affiancati a strutture lignee spondali che ne accreditano piuttosto un uso portuale. STEFANO TUZZATO, Venezia gli scavi a S. Pietro di Castello (Olivolo). Nota preliminare sulle campagne 1986- 1989, «quaderni di archeologia del Veneto», VII (1991), pp. 93-103.

103

ENNIO CONCINA, Venezia «Tra due elementi sospesa» in Tra due elementi sospesa» Venezia costruzione di un paesaggio urbano, testi di Laura Anglani [et alii], Venezia Insula- Marsilio, 2000, pp. 15-51.

104 BERENGO, L’Europa delle città, La questione è particolarmente dirimente in riferimento all’esercizio del potere nella

città fino al XIII secolo perché non bastava essere residente, bisognava avere un capitale immobiliare all’interno di essa, cioè essere proprietari di fondi, in seguito, a partire dal Trecento, il capitale mobile, in denaro, si sostituirà a quello fondiario.

105 Ibid., p. 262, Berengo parla ad esempio, anche se per un periodo successivo e come figura peculiare del sistema

tedesco, dei ministeriales che sono uomini non liberi elevati dal loro signore, laico o ecclesiastico, a servizi e funzioni di responsabilità. A loro possono essere richiesti solo servizi “decenti” e non vili, richiesti invece ai servi della gleba e agli schiavi. Ciò che contraddistingue l’uomo non libero è la mancanza delle prestazioni militari e l’uso delle armi. A differenza dell’uomo libero o vassallo che ha prestato solo l’homagium al signore, mantenendo intatta la sua

condizione giuridica, e a cui possono essere imposti solo obblighi determinati – di solito militari -, L’uomo non libero il ministeriale ha promesso la fidelitas e ha prestato obsequium per cui mantiene retaggi servili, ad esempio non può contrarre matrimonio senza prima chiedere il permesso al signore, così anche testamento e patrimonio sono

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abbastanza evidente che a Venezia, diversamente da altre realtà territoriali gravitanti attorno all’impero, dove la necessità di difesa dei diritti di un territorio che apparteneva al sovrano era più definita, la proprietà della terra non è mai stata l’unico elemento di affermazione sociale, né il concederla fu nelle prerogative esclusive dell’imperatore. L’unico vero grande proprietario dei terreni fu la chiesa che, nell’ambito delle sue diocesi, la distribuì gradualmente per lo sfruttamento urbano, quasi a sottolineare il retratto urbano di un territorio che città non era: lo spunto iniziale alla città, al conglomerarsi civile nella laguna venne dalla chiesa e Torcello ne è una ferma testimonianza106.

A complicare ulteriormente il panorama proprietario si aggiunge l’ipotesi, avanzata da Dorigo, della possibile creazione, risalente alla riorganizzazione di età augustea, di un’area di pertinenza imperiale interposta tra i due agri – altinate e padovano - volta a evitare controversie tra i due municipi, nella fascia delimitata rispettivamente dal Canal grande e dal rivus vicanus o Canal della Giudecca, cioè l’area di Rivus altus. La medesima funzione di cuscinetto era svolta, nell’ area meridionale della laguna che fu agro patavino, dalla Saccisica. Qui Clodia maior e minor (Chioggia e Sottomarina) sono i due vici che sorgono sulla riva della fossa clodia o canal Vena e sulla marina litoranea, dipendendo amministrativamente dalla Plebs Saci (Piove di Sacco): «in esso il toponimo capoluogo (Sacus, cioè fisco, demanio) indicherà un territorio Curtis Saci (della corte del fisco) di pertinenza demaniale, probabilmente risalente fino ai beni della casa imperiale (comunque bene attestato almeno al 781, quando Carlo Magno ne conferma le già concesse prestazioni al monastero di Sesto al Reghena»107.

Una sorta di prefettura, tolta all’amministrazione municipale, giustificherebbe l’esistenza in periodo altomedievale di prefetti iure dicundo per la regolarizzazione delle attività di mercato dei territori

non liberi e che potrebbero essere stati presenti anche nelle nostre lagune come intermediari dei traffici tra la terraferma e altre città marittime.

106 D

ORIGO, Fra il dolce e il salso in La laguna di Venezia, p. 157, Molte di queste terre, talvolta compromesse dal regime avanzante delle acque, erano pervenute a partire dal 554 all’organizzazione ecclesiastica, per disposizione della Pragmatica sanctio di Giustiniano: si trattava per lo più di beni del fisco o della casa imperiale, già caduti nelle mani del regno ostrogoto, riacquisiti dal vincitore bizantino come spolia gothorum, e donati quindi ai vescovi (sicuramente – per documentazione di atti pervenutici o di memorie successive – a quelli di Ravenna, di Padova, di Grado; con ogni probabilità anche a quelli di Treviso – che potè mantenerli anche in territorio longobardo per la nota largitas, l’atto di donazione di Alboino - , di Altino, di Oderzo, di Concordia) e successivamente a monasteri.

La chiesa, tuttavia, gestì parti considerevoli di quei beni immobiliari concedendoli a livello (libellus) venti novennale rinnovabili a ufficiali bizantini, nonostante il veto di Costantinopoli, e ai tribuni indigeni. Si compassarono così sostanze

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