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CAPITOLO TERZO

IL FENOMENO DEI FOREIGN FIGHTERS

3.4 Una prospettiva femminile

Per concludere questo capitolo relativo al fenomeno dei foreign fighters, si è ritenuto interessante proporre una breve analisi del suo versante femminile, spesso sottovalutato. Secondo le stime considerate precedentemente parlando degli uomini, le donne occidentali partite per la Siria sarebbero almeno 550,55

alcune partite al fianco dei mariti, altre da sole.56 Una ricerca evidenzia come i

fattori che spingono queste donne a lasciare le loro case per raggiungere il Califfato siano in parte simili a quelli degli uomini. Ad esempio anche in questo caso svolge un ruolo fondamentale il sentimento di isolamento e la sensazione di discriminazione subita soprattutto dalle donne che in Occidente scelgono di indossare il velo. Anche la frustrazione per la situazione dei musulmani nel mondo è un fattore davvero importante nello spingere le donne a prendere parte al jihad, di fronte all'indifferenza occidentale riguardo alla crisi siriana, esse si sentono infatti in dovere di portare aiuto umanitario alla loro comunità. Questo loro senso del dovere, se così si può definire, è rafforzato dalla consapevolezza di dover assicurare una futura generazione di jihadisti al Califfato. Sulle pagine dell'ultimo numero di Dabiq trova spazio un articolo scritto proprio da una

muhāğirah, Umm Summayah, la quale si rivolge alle sue «sorelle» evidenziando

il loro ruolo nel jihad:

“Still, the absence of an obligation of jihad and war upon the Muslim woman – except in defence against someone attacking her – does not overturn her role in building the Ummah, producing men, and sending them out to the fierceness of battle. (…) Indeed

you are in jihad when you await the return of your husband patiently, (…) you are in jihad when you uphold your loyalty to him in his absence. (…) Indeed, you, my precious sister, are today the wife of a mujahid, and tomorrow you might be the wife of

a shahīd”57

55 SALTMAN E. M., SMITH M., 'Till martyrdom do us apart' Gender and the ISIS phenomenon, Institute for strategic dialogue, 2015, p. 4

http://www.strategicdialogue.org/Till_Martyrdom_Do_Us_Part_Gender_and_the_ISIS_Phenomenon. pdf

56 Ibid.., p. 9

57 DABIQ MAGAZINE, A jihad without fighting, From the battle of Al-Ahzab to the war of coalitions, n.11, p. 41 https://azelin.files.wordpress.com/2015/09/the-islamic-state-e2809cdc481biq-magazine- 11e280b3.pdf

A conferma dell'efficienza della propaganda califfale, si può notare ancora una volta come essa sia sempre attenta a non tralasciare nessuno nei suoi messaggi. La sezione dedicata alle donne del Califfato non era presente nei primi numeri della rivista, ma a partire dalla settima edizione è diventata una costante. Questa tattica può essere vista come un ulteriore tentativo che lo Stato Islamico mette in atto per trasmettere l'immagine e la sensazione di una comunità inclusiva, che non lascia indietro nessuno e presta attenzione ai bisogni di ogni tipo di cittadino.

Procedendo oltre nella ricerca dei fattori che spingono le donne occidentali ad emigrare, si ritrova la ricerca di avventura, sentimento condiviso con i

muhāğirūn, ma in questo caso si tratta di un richiamo reso ancora più allettante

dalla promessa di un matrimonio con un muğāhid, il quale con la sua morte le renderà degne di ogni onore nel Califfato.58 Se gli uomini pubblicano

prevalentemente immagini e frasi riguardanti la situazione militare, le donne si concentrano invece sulla vita coniugale e sul loro dovere di mogli e madri. La cosa davvero interessante è però una sottospecie di falla nel sistema propagandistico dello Stato Islamico, dovuta proprio all'attività delle donne sui social network. Come osservato più volte, la macchina propagandistica califfale e i singoli jihadisti si preoccupano costantemente di veicolare l'immagine di un paese sicuro, dotato di tutti i servizi necessari per garantire una vita agiata e dignitosa, un luogo insomma che non ha nulla da invidiare ai paesi occidentali. Tuttavia a partire dal mese di Novembre 2014 si è iniziata ad evidenziare una nuova tendenza nei tweet e negli stati di Facebook delle donne occidentali emigrate. Esse hanno iniziato ad esprimere un certo malcontento per la realtà affrontata nei territori del Califfato, rivelatasi spesso ben diversa da come si aspettavano. Le lamentele sono di varia natura: dalla mancanza di servizi che in Occidente erano dati per scontati, come acqua calda ed elettricità continua, alla scarsa attenzione dedicata alle vedove dei mujahidin,59 dalla difficoltà di vivere

senza un marito nel Califfato alla sensazione di discriminazione attuata nei loro

58 SALTMAN E. M., SMITH M., op.cit., pp. 16-17 59 SALTMAN E. M., SMITH M., op.cit., pp. 47- 49

confronti da parte della popolazione siriana.60 Alcune donne addirittura mettono

in guardia le aspiranti muhāğirāt, avvisandole di prepararsi a lunghi periodi di sopportazione e pazienza. Nonostante questi momenti di debolezza e di sfogo, anche le donne assumono spesso esse stesse il ruolo di reclutatrici, o almeno di facilitatrici. Attraverso i social network danno consigli pratici su vestiti da portare e modi per superare gli ostacoli posti dalle famiglie ed oltrepassare facilmente il confine con la Turchia.

In conclusione, i punti in comune fra muhāğirūn e muhāğirāt sono vari. I motivi che li spingono a partire sono spesso gli stessi, ciò che li differenzia è solo il ruolo ricoperto all'interno dello Stato Islamico. Gli uomini si dimostrano impegnati nel controllo delle strade, nella conquista territoriale, mentre la donna appartiene all'ambiente domestico, il suo compito è essere prima di tutto una procreatrice ed una brava moglie per il muğāhid. Nonostante esse non partecipino direttamente ai combattimenti, sono spesso agguerrite tanto quanto gli uomini, ma mentre questi lo dimostrano uccidendo i miscredenti, loro si limitano a pubblicare messaggi pieni di violenza e odio. Secondo la visione veicolata dallo Stato Islamico donne e uomini compiono lo stesso jihad, ma con strumenti diversi.