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5. Analisi dei dati raccolti sul campo alla luce degli strumenti bibliografic

5.5. Una prospettiva di genere

Le dinamiche di genere occupano un ruolo importante, seppur a volte trattato con superficialità, nel panorama dello sviluppo nel Kivu. Le osservazioni raccolte hanno permesso di comprendere quanto la realtà si discosti da quel modello, tanto osteggiato da critici come Boellstorff, che vede la donna moglie, guardiana della casa e della prole e il marito provvedere alle

172 entrate economiche. Un modello che, nonostante gli accesi dibattiti all’interno delle tematiche WID e GAD, continua a risultare predominante nei programmi di sviluppo. La maggior parte delle donne qui descritte mostrano invece figure addirittura spesso più attive della controparte maschile non solo nel provvedere al sostentamento familiare ma anche nelle iniziative generatrici di reddito. Gli esempi di cooperative aventi a capo una donna sono molteplici, così come l’elezione di Nicole Sifa al ruolo di presidente dell’AEJT Bukavu è il simbolo di un genere femminile che sta diventando protagonista. AGR e cooperative tutte al femminile diventano dei terreni dove poter sperimentare l’emancipazione e l’indipendenza a volte, come si è visto, in assenza del parere positivo della controparte maschile. È necessario però, come ampiamente dimostrato negli scritti di Cornwall, non focalizzare l’attenzione sulla solo dimensione femminile, quanto di comprendere le dinamiche di genere, e di conseguenza di potere, interne alla società. Come si è cercato di dimostrare, non esiste nella zona analizzata un modello unico applicabile a tutti i contesti, poiché le dinamiche di genere sono estremamente legate al tessuto sociale ed economico.

Conclusioni

Analizzare le politiche di sviluppo di una ONG o movimento locale risulta essere un’operazione complessa, poiché diverse sono le dimensioni che entrano in campo. La complessa rete all’interno della quale sono inserite queste realtà, sia nazionale che transnazionale, ci porta a comprendere come sia difficile parlare ancora in termini di “donatori” e “beneficiari”, dal momento in cui numerosi sono i passaggi che subirà un finanziamento da quando verrà erogato al suo effettivo impatto sul territorio. Risulta più che necessario focalizzare l’attenzione sulle tante realtà locali che compongono la società civile, espressioni di un cambiamento dal basso portato avanti anche in presenza di un minimo impiego di mezzi ma un attivo coinvolgimento della fascia più marginale della popolazione.

173 La definizione di “sviluppo” ha di certo un’eredità pesante, legata a secoli di subordinazione in nome di una presunta superiorità fondata su di un pensiero etnocentrista. È di certo legata a fallimentari esperienze basate su assunti essenzialistici, che hanno costruito “l’altro” in termini di “vittima”, di “destinatario passivo”, di modelli omogenei applicabili in tutti i contesti, senza tener conto delle specificità culturali e quel mosaico di diversità che caratterizzano ogni realtà sociale. Lo “sviluppo”, nonostante tutte le sue contraddizioni, è entrato nel vocabolario e nella vita di una molteplicità di persone, acquisendo significati e connotazioni diverse. In molti casi si è tradotto in agency, in quella produzione di “realtà multiple” osservabili attraverso quell’approccio actor-oriented auspicato da intellettuali come Long, Arce, Mosse, Olivier de Sardan. Desidero quindi conservare il termine “sviluppo” nell’accezione che ne diede uno dei miei interlocutori: lo sviluppo deve essere prima di tutto un cambiamento di mentalità. Un cambiamento di mentalità che, per superare le retoriche di inferiorità e superiorità tra “Nord” e “Sud”, deve necessariamente avvenire da entrambe le parti. La prima deve comprendere come possano esistere altre possibilità, forse anche più valide, al proprio modello di crescita e progresso, mentre la seconda deve uscire da quella condizione di subalternità che ha interiorizzato, per poter costruire delle proprie e specifiche alternative al discorso dominante.

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