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LE PROSPETTIVE DI RIFORMA

1. Prospettive de iure condendo

procedura penale redatto della Commissione Ministeriale presieduta dal Prof. Dalia. - 3: Il progetto di riforma del codice di procedura penale redatto della Commissione Ministeriale presieduta dal Prof. Riccio. - 4: Il pubblico ministero e la polizia giudiziaria nel d.d.l. 1440\s del 2009.

1. Prospettive de iure condendo

La tematica dei rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria ha registrato nel nostro Ordinamento soluzioni differenti e notevolmente problematiche sia nelle disposizioni codicistiche che nei progetti di riforma159 del codice di procedura penale.

La genesi della questione è risalente160: il codice Rocco, infatti, attribuiva la facoltà di acquisire le notizie di reato, di propria iniziativa, solo alla polizia giudiziaria. 161

159 Cfr. SCAGLIONE, Rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria: prospettive di riforma o di controrifoma? incontro – dibattito sul tema organizzato dall’Associazione

Nazionale Magistrati, Palermo, aprile 2009.

160 Cfr. art. 1, Regio Decreto 19 ottobre 1930, n. 1399. Approvazione del testo definitivo del

codice di procedura penale: «L’azione penale è pubblica e, quando non sia necessaria la querela, la richiesta o l’istanza, è iniziata di ufficio in seguito a rapporto,a referto, a denuncia o ad altra notizia di reato».

161 art.2, Regio Decreto 19 ottobre 1930, n. 1399. Approvazione del testo definitivo del

codice di procedura penale: «gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria debbono fare rapporto di ogni reato del quale vengono a conoscenza, salvo che si tratti di reato punibile a querela dell’offeso. Gli altri pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che,

La mancata previsione di un omologo potere in capo al pubblico ministero ha determinato un contrasto interpretativo162 non risolto nemmeno dall’intervento della Corte Costituzionale163 che, in materia di anonimi, aveva

riconosciuto la possibilità per il pubblico ministero di ricercare la notizia di reato attraverso le attività compiute dalla polizia giudiziaria.

Il sistema processuale del 1988 ha introdotto, in relazione alla fase investigativa, una significativa novità rispetto al processo penale preesistente, riconoscendo espressamente tale potere al pubblico ministero.

La scelta del legislatore è diretta all’instaurazione di una fase investigativa preliminare che abbia - quale obiettivo di fondo - quello della raccolta di elementi idonei a sostenere l’accusa nel dibattimento.

L’idea di una fase istruttoria, intesa quale momento deputato alla raccolta ed alla formazione delle prove direttamente utilizzabili nel successivo giudizio, lascia spazio ad un modello fondato sulla distinzione tra fase investigativa e fase processuale.

La fase investigativa, caratterizzata dalla ricerca di elementi idonei all’esercizio dell’azione penale, è finalisticamente destinata alla ricerca dei mezzi di prova; non è consentita, però, un’immediata utilizzabilità del risultato probatorio conseguito a seguito delle attività di investigazione compiute dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria.

Tale modello processuale veniva sostanzialmente stravolto dalle pronunzie della Corte Costituzionale del 1992 che, nel sancire il principio della non

nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato, sono obbligati a farne rapporto, salvo che si tratti di reato punibile a querela dell’offeso».

162 NOBILI, Il magistrato in funzione di polizia tributaria: un’ ulteriore supplenza conforme alle norme vigenti?, in Legislazione pen., 1987, 810 ss; per una panoramica completa sulla

problematica inerente l’acquisizione della notizia di reato cfr. TRANCHINA, Rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, in Pubblico Ministero e riforma dell’ordinamento giudiziario, Milano,2006,162.

dispersione delle prove, mutava la relazione tra indagini e dibattimento attraverso il meccanismo delle contestazioni.

Il legislatore ha proceduto, pertanto, al tentativo di recuperare l’originale modello attraverso la novella del 1997 con la quale modificava il sistema delle letture delle dichiarazioni rese dall’imputato.

Tale scelta si poneva nel solco tracciato dalla riforma del codice del 1988 e consentiva, di fatto, l’ utilizzabilità al dibattimento del risultato di indagine preliminare caratterizzato, geneticamente, da una irripetibilità164dell’atto. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 361 del 2 novembre 1998, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 513 comma secondo del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell’accordo delle parti alla lettura, si applica l’art. 500, commi 2 bis e 4 del codice di procedura penale. La Corte richiamava la necessità di contestare tali dichiarazioni e procedere alla loro acquisizione al fascicolo per il dibattimento. La dizione «precedenti dichiarazioni» consente formalmente di comprendere nella disciplina delle contestazioni non solo le dichiarazioni assunte in sede di incidente probatorio o in dibattimento, ma anche quelle altrimenti rese all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero.

La pronunzia della Corte richiamata evidenziava come l’imputato non potesse rinunziare alla possibilità di sottoporre al controllo delle parti le dichiarazioni

164 Conformemente ad un recente e condivisibile orientamento espresso dalle Sezioni Unite –

Cass. S.U., 17.10.2006, n. 41281 - si è affermato che gli atti redatti dalla polizia giudiziaria sono atti irripetibili e come tali vanno acquisiti al fascicolo dibattimentale, nei limiti in cui contengano accertamenti che non è possibile riprodurre nel dibattimento e cioè allorquando contengano o la descrizione di un’attività materiale ulteriore rispetto a quella investigativa e non riproducibile, ovvero la descrizione di luoghi o cose soggette a modificazione. Ed ancora nella medesima direzione cfr. Cass. I, 12.4.2005, n. 14664.

che lo riguardano: tale orientamento appare conforme al metodo di formazione dialogica della prova, principio cardine del nostro sistema processuale.

La Corte procedeva, quindi, a censurare, sotto il profilo della ragionevolezza, soluzioni normative che pregiudicano le garanzie difensive e, quindi, la funzione del processo.

La linea tracciata dalla Corte era evidente: rispettare il principio del contraddittorio e le prerogative strettamente connesse al diritto di difesa. Si è, pertanto, proceduto alla modifica dell’art. 111 della Costituzione ed ad inserire i principi del contraddittorio e della ragionevole durata del processo tra le caratteristiche della giurisdizione.

Con tale scelta si è recuperata l’iniziale distinzione tra fase investigativa e fase dibattimentale pur con qualche eccezione, le parti possono concordare ai sensi dell’art. 493 comma 3 c.p.p. l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero nonché di documentazione relativa all’attività di investigazione difensiva.

Le problematiche dibattute dalle commissioni di riforma del codice di procedura penale e dal recente disegno di legge n. 1440\S, attualmente in discussione in commissione giustizia, hanno riguardato, per ciò che concerne il presente tema di ricerca, la tematica delle indagini preliminari, l’iniziativa del pubblico ministero nella ricerca della notizia di reato ed i rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria.

La scelta delle direttive da seguire per giungere all’elaborazione dell’articolato normativo ha preso spunto dal dibattito dottrinale e giurisprudenziale sui caratteri tipici dell’indagine e sui nodi problematici che hanno, nel tempo, caratterizzato la funzione della fase investigativa.

Il contrasto interpretativo165 riproposto dalla dottrina166 come dai progetti di riforma del codice di procedura penale ha riguardato differenti tematiche: nonostante, ad esempio, l’art. 330 c.p.p. evidenzia che «il pubblico ministero e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa» si sono registrate distinte posizioni in ordine alla natura del vincolo funzionale tra polizia giudiziaria e pubblico ministero e, di conseguenza, in ordine al potere in concreto da conferire ad un organo (per definizione) dipendente dal potere esecutivo.

Il progetto redatto dalla commissione ministeriale presieduta dal compianto Prof. Andrea Antonio Dalia prevedeva, nel quadro di un generale ampliamento dell’autonomia investigativa della polizia giudiziaria e di un conseguente ridimensionamento delle funzioni investigative del pubblico ministero, l’abolizione del potere del magistrato inquirente di ricercare le notizie di reato e l’attribuzione di tale attività, in via esclusiva, alla polizia giudiziaria.

Nella relazione di accompagnamento al progetto di riforma veniva evidenziata la necessità di superare la commistione e la promiscuità di funzioni e ruoli tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, esistente nell’attuale sistema processuale, che veniva ritenuta poco conforme ad un modello accusatorio pieno.

La proposta di abolire il potere del pubblico ministero nella ricerca delle notizie di reato veniva ancorata alla considerazione che l’organo dell’accusa è

165GIOSTRA, Pubblico ministero e polizia giudiziaria, in Giustizia insieme, 2008, f. 0, 145

secondo cui «statuendo l’obbligatorietà dell’azione penale, questa norma esclude soltanto che al pubblico ministero possa essere consentito un apprezzamento discrezionale in ordine all’esercizio dell’azione penale, ma non intende né imporre, né tanto meno vietare allo stesso di muovere alla ricerca della notizia di reato».

166 FERRUA, Rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, in pubblico ministero e riforma dell’ordinamento giudiziario, Milano, 2006, 151.

«estraneo alla cultura dell’investigazione» e che, pertanto, nella prassi, tale dato non consente di esercitare tali funzioni con la dovuta professionalità. Una soluzione di matrice diversa è stata proposta nella successiva bozza di legge delega legislativa elaborata, nella precedente legislatura, dalla commissione ministeriale per la riforma del codice di procedura penale presieduta dal Prof Giuseppe Riccio.

In particolare l’idea di fondo appariva ancorata alla scelta di razionalizzare il modello investigativo esistente affidando al pubblico ministero la conduzione e la responsabilità delle indagini preliminari ed alla polizia giudiziaria il compito fondamentale di prendere notizia dei reati e di coadiuvare il pubblico ministero nelle attività investigative.

Secondo tale impostazione il pubblico ministero avrebbe, però, conservato il potere di ricercare la notizia di reato in relazione a specifiche e predeterminate fattispecie di reato individuate nel successivo articolato. Tale soluzione appare convincente attesa la diffusa consapevolezza che l’art. 112 della Costituzione si presta a letture aperte in grado di restituire vigore alla regola dell’obbligatorietà.

In un ottica diversa ed in direzione opposta a quella tracciata dalla commissione di riforma presieduta dal Prof. Riccio, il recente disegno di legge governativo n. 1440\S del 2009 prevede che al pubblico ministero sia sottratto il potere di ricercare la notizia di reato.

In tale direzione il disegno di legge de qua modifica, inoltre, radicalmente167 il rapporto tra pubblico ministero e polizia giudiziaria ed attenua al massimo la dipendenza funzionale di quest’ultima.

167 Sul tema cfr. LATTANZI, Pubblico ministero e polizia giudiziaria nel D.D.L. N.1440/S, in Cass. pen., 2009,1783.

2. Il progetto di riforma del codice di procedura penale redatto della