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Nel secondo capitolo abbiamo dimostrato in che modo gli elementi autoriflessivi presenti nel corpus letterario assumano dei valori metanarrativi che si collocano in rapporto più o meno diretto con il racconto di migrazione. Abbiamo altresì osservato che, nonostante il contenuto estremamente personale delle esperienze migratorie, persistono determinate analogie narratologiche e contenutistiche nei racconti di migrazione del nostro corpus romanzesco. Eppure tali somiglianze sono di rado strettamente correlate alle classificazioni degli spostamenti proposte dalla sociologia, le quali sono basate sulla direzione e sulle motivazioni che spingono al dislocamento.

Nel capitolo precedente abbiamo altresì rilevato la soggettiva importanza accordata agli elementi culturali (quali a esempio il codice linguistico, alimentare, vestimentario e gestuale) nel procedimento migratorio che porta alla frammentazione dell’Io e/o del punto di vista. Tali risultati di ricerca confermano l’utilità, ma anche e soprattutto la necessità, di partire da una definizione di migrazione che presenti il più ampio spettro possibile, come quella a cui ci siamo affidati per la scelta dei personaggi e che è stata formulata in inglese dall’IOM. Nonostante tale scelta ci sia stata utile nella selezione dei romanzi da inserire nel corpus, non si possono accantonare le differenti prospettive e conseguenti nomenclature proposte dalla sociologia, dalle scienze politiche internazionali e

dall’antropologia a riguardo dello spostamento degli esseri umani, poiché esse dipendono dalla diversa percezione degli spazi nel tempo. Inoltre il lessico della migrazione viene utilizzato dai personaggi migranti del corpus letterario per definire e nominare il loro o altrui spostamento. Infine, non si può prescindere dallo studio del lessico legato alla migrazione e alle prospettive storiche su di essa soprattutto quando la loro applicazione in letteratura porta alla compenetrazione tra realtà e finzione, la quale a sua volta può essere indice di metafinzione, come nel caso del nostro corpus romanzesco.

Infatti, osservare e comparare il ruolo dell’io-narrante nei nostri romanzi ha permesso di dimostrare che l’esperienza della migrazione viene rappresentata in letteratura come un processo singolare e disgregante che, in maniera più o meno diretta, alle volte può facilitare i processi di trasformazione volontari, altre invece può indurre inconsciamente a dei cambiamenti nelle istanze narrative autodiegetiche, i cui Io o i cui sguardi sul mondo subiscono una frammentazione. Nello specifico abbiamo osservato come sia proprio l’incontro con l’altro a modificare l’Io o la sua percezione del mondo in un determinato momento: scoprendo l’alterità, i personaggi migranti si accorgono del fatto che, come sostiene Fabrice Olivier Dubosc:

l’esperienza umana è contingente e relazionale, che la realtà è un’intricata rete di relazioni e interdipendenze a cui ognuno contribuisce, scoprendo che l’ordine emergente non deriva né da una mera imposizione superiore, né dalle leggi che un individuo ha stabilito per sé ma da una

processualità in cui il sistema e gli individui che ne fanno parte gradualmente

scoprono la realtà mentre la immaginano e mentre inventano insieme il loro destino1.

La transfocalizzazione permette di associare nella narrazione le singolarità del processo migratorio, così come le frammentazioni che esse implicano, al contesto storico, sociale e politico in cui si manifestano. Inoltre, la scrittura armonizza la molteplicità delle dimensioni del fenomeno migratorio, poiché nel racconto il mescolamento di forme e contenuti, che rimandano a generi diversi, metaforizza la

1 Fabrice Olivier Dubosc, «Terapie etno-narrative e dimensione rituale», Rivista di

fusione dei codici antropologici specifici a differenti culture di cui fanno esperienza i personaggi.

Se l’operazione di scrittura e le sue forme appaiono fondamentali per unificare la pluralità e l’unicità della migrazione, allora sembra altrettanto indispensabile lo studio del lessico e in generale delle designazioni verbali in cui gli io-narranti migranti riconoscono o meno loro stessi e gli altri personaggi migranti. È infatti attraverso la parola e la percezione del tempo e dello spazio che si costruiscono, creano e unificano le coscienze del corpus romanzesco. Per fare ciò, i nostri personaggi migranti scelgono di volta in volta delle terminologie diverse o attribuiscono a certi lemmi degli immaginari innovativi che differiscono da quelli maggiormente diffusi dai media.

L’esperienza della migrazione può essere ancora una volta accostata a quella del viaggio in epoca moderna, in quanto porta al cambiamento e a nuove interpretazioni della realtà grazie allo spezzarsi delle abitudini che deriva dall’incontro con l’altro, dalla rivelazione e dallo spaesamento, confermando quanto sostiene Nathalie Roelens nel momento in cui afferma che:

cognitivement et sémiotiquement parlant, l’habitude constitue un arrêt dans l’interprétation, une stase mentale et conduit dès lors à la nécrose des facultés sensorielles et intellectives. […] Dans la pratique, ce processus est court-circuité par l’habitude que nous avons d’attribuer telle signification à tel signe dans tel contexte qui nous est familier. […] Le voyage aura cette faculté de bousculer ce train-train abrutissant et anesthésiant ; le voyage resémantise les choses, les rend inédites et donc perturbantes à force d’introduire l’insolite dans le prévisible2.

Vedremo allora in questo capitolo in che modo parte del lessico socio-antropologico che gravita attorno al processo migratorio viene interpretato, utilizzato o scartato nel racconto letterario di migrazione.

Noteremo inoltre come l’immaginario che si viene a creare attorno ai personaggi migranti (non solo narranti) e al lessico migratorio proponga delle diverse prospettive storico-geografiche dello spostamento, spesso in antitesi con l’immagine del migrante dipinta dai media. Al paragrafo 1.1 Chi è un migrante,

2 Nathalie Roelens, Éloge du dépaysement : du voyage au tourisme (Parigi: Ed. Kimé, 2015), p. 75.

abbiamo osservato come le attenzioni mediatiche riguardo al fenomeno migratorio abbiano portato alla fossilizzazione di due immagini contradditorie del migrante: individuo pericoloso o persona per cui provare pietà. In entrambi i casi si tratta di uno stereotipo: un’immagine semplificata e un modello collettivo, cioè una rappresentazione sociale che si impone nell’immaginario comune di un’epoca attraverso la quale si comprende e interpreta la realtà quotidiana. Ruth Amosy sottolinea il fatto che lo stereotipo equivale all’oggetto standardizzato trasposto dal settore industriale a quello culturale in quanto immagine prefabbricata, sempre uguale a se stessa, che circola in maniera monotona nelle idee e nei testi3.

Il risultato della creazione di nuovi immaginari letterari è duplice. Da un lato essa porta alla diversificazione delle immagini stereotipate in circolazione, demistificando l’uniformità dell’essere migrante. Dall’altro lato conferma la presenza di alcuni tratti comuni del processo migratorio che viene tuttavia esperito in maniera unica da ogni individuo. Lo spazio metafinzionale dei romanzi del nostro corpus si definisce nell’interazione tra realtà e finzione secondo le modalità appena indicate e confermate dalle teorie di Nathalie Roelens. Nel proprio presente, ogni individuo deve confrontarsi con la realtà che lo circonda, ma al contempo dà un valore simbolico al passato e si proietta nel futuro grazie agli immaginari che crea nella sua mente. Secondo questi parametri, la finzione ha la capacità di liberare il presente dall’obbligo del reale e di muoversi al contempo nel passato dei miti e nel futuro delle possibilità4. I romanzi del nostro corpus si rifanno inevitabilmente alla realtà poiché concernono la migrazione e la migrazione è un processo fortemente ancorato a questioni sociologiche e poliche a noi contemporanee; essi si rifanno altresì al simbolico poiché inscenano a volte degli eventi storici, e rimandano infine all’immaginario poiché danno vita a dei mondi finzionali.

I testi studiati propongono tuttavia una visione della realtà diversificata e frammentata che deriva in parte dalla frammentazione dell’Io, in parte dagli immaginari proiettati verso il futuro e in parte dall’interpretazione del passato. Applicando il ragionamento di Nathalie Roelens ai nostri testi, possiamo dedurre che il mescolarsi tra realtà e finzione non consiste in una volontà programmatica di

3 A proposito della concettualizzazione dello stereotipo si fa riferimento a Ruth Amosy, Les

idées reçues. Sémiologie du stéréotype (Parigi: Nathan, 1991).

un ritorno al realismo, ma piuttosto di un’operazione intrinseca alla narrazione stessa. Tuttavia l’intersezione tra realtà e finzione ha delle conseguenze metafinzionali, poiché la narrazione letteraria induce il lettore a riflettere sulla realtà presente e passata. Inoltre, la creazione di immaginari diversificati della migrazione corrisponde agli spazi metafinzionali quando dichiarano che l’imitazione, ossia la vicinanza al reale, nel mondo finzionale non è imitazione di oggetti esistenti, ma creazione di oggetti finzionali che potrebbero esistere ma non esistono realmente5. Prima di procedere con l’analisi terminologica, teniamo a ribadire un concetto chiave del nostro studio (dal punto di vista letterario, poiché implica la presenza della metanarrazione, e dal punto di vista antropologico, perché porta con sé un’interpretazione letteraria di un fenomeno reale): i personaggi migranti del corpus romanzesco sentono, anche se per diverse ragioni, l’esigenza di raccontare il proprio spostamento. Poiché le narrazioni dei protagonisti avvengono alla prima persona del singolare, non solo, come abbiamo visto nel secondo capitolo, i narratori traducono il processo migratorio in un’esperienza che relativizza il reale, ma al contempo essi spingono a una forte soggettivizzazione del racconto che ha molto in comune con il racconto terapeutico in psicologia.

Come abbiamo visto in precedenza, la natura delle esperienze vissute dai personaggi implica una complicazione delle loro relazioni con gli altri o con l’ambiente circostante. Tali difficoltà necessitano di una rielaborazione che permetta loro di comprendere meglio l’entità dei processi e delle trasformazioni, siano essi subiti oppure ricercati. Raccontare significa infatti al contempo soggettivizzare la propria esperienza privandola di generalizzazioni e comprendere le emozioni così come i sentimenti provati nel tentativo di eliminare ogni incomprensione possibile6. Ciò implica ancora una volta la relativizzazione del mondo che nella specificità dei processi migratori narrati nei nostri romanzi si traduce in una diversa interpretazione del proprio o altrui spostamento. Per esempio, possiamo notare come per Maksim di (fanculopensiero) il movimento sia sinonimo di liberazione e rinascita che si intraprende in maniera volontaria, mentre

5 A proposito dell’imitazione nel romanzo metafinzionale si veda Patricia Waugh,

Metafiction: the theory and practice of self-conscious fiction (Londra: Routledge, 1990), p. 130.

6 A proposito dei significati del racconto si veda Fabrice Olivier Dubosc, Quel che resta del

per Michele de Il mosaico del tempo grande la partenza ha il retrogusto dell’abbandono degli affetti familiari e della fuga dalla povertà. Sia per Laila di Come diventare italiani in 24 ore che per Mahlet di Regina di fiori e di perle, invece, lo spostamento volontario si trasforma talvolta in una sorta di prigionia e malessere.

Come possiamo osservare nel brano che segue, Maksim vede nell’erranza e nella strada la possibilità di agire al di fuori dalle regole e quindi di esprimere in tutta libertà il proprio Io:

Perché la strada accetta tutto e tutti. Può essere una discarica umana o addirittura il paese delle meraviglie, il che dipende molto dall’angolazione sotto la quale ci illumina la nostra stella protettrice. Ma soprattutto, la strada è principalmente un luogo ove si cammina. Camminare, quindi. Un verbo con il quale ogni altro fa rima, anche se ce n’è uno su tutti che, e non certo per ragioni fonetiche, lo fa meglio degli altri, ed è ricominciare (per questo libro la parola chiave). Poiché si sa: chi sa ricominciare, vivrà.

E a parte la strada, personalmente non saprei indicare un luogo più adatto a chiunque capiti di dover ricominciare7.

Se muoversi e spostarsi ininterrottamente significa ricominciare, e se ricominciare è sinonimo di vita, allora dislocarsi fisicamente e mentalmente rifiutando la fissità degli schemi cognitivi e sociali equivale a rinascere. Il rimando al cronotopo della soglia, del confine, elaborato da Bachtin è evidente, poiché consiste proprio nello spazio-tempo dell’incontro, della crisi e del cambiamento di vita. A questo proposito, la funzione che l’io-narrante stesso di (fanculopensiero) dà volontariamente alla strada corrisponde perfettamente a quella attribuita alla strada da Bachtin nell’opera di Dostoevskij: si tratta del luogo della caduta, ma anche della lungimiranza, della presa di decisioni che cambiano il corso della vita includendo la resurrezione8.

In (fanculopensiero), quella dello spostamento è quindi una condizione che permette di rinascere, di liberarsi dagli obblighi sociali che Maksim tenta di spiegare in questi termini a coloro che incontra sul proprio cammino:

7 Maksim Cristan, (fanculopensiero) (Milano: Feltrinelli, 2007), p. 13.

8 A proposito del cronotopo della soglia si veda Michail Mihailovič Bachtin, Voprosy

literatury i estetiki, Trad. fr. Olivier D. Esthétique et théorie du roman (Parigi: Gallimard,

Durante una delle nostre lunghe conversazioni un giorno le dissi che avrei potuto trasformare questo periodo della mia vita in un esperimento. In una ricerca del tipo: “Che cosa succede se qualcuno di colpo molla tutto e si mette a fare solo quello che gli piace, quello che sente, e a inseguire quello che crede di dover seguire9?”.

Per abbandonare ogni obbligo sociale ed economico è necessario allontanarsi da tutto ciò che è familiare, dal contesto di inculturazione, ma soprattutto dal sistema capitalistico. Il processo vissuto da Maksim si trova agli antipodi di quello esperito da Michele e dai suoi concittadini, i quali spostandosi trovano una sorta di liberazione forzata dal piccolo paese di campagna dell’Italia meridionale (Hora) che non può offrire loro lavoro o realizzazione intellettuale. Una donna del villaggio parla in questi termini del fenomeno che sta colpendo Hora:

Questo sta diventando un paese di vecchi, voi giovani arrivate nella bella stagione come le rondini, come i germanesi, e poi via, giustamente, verso il mondo grande10.

Dalle parole della donna traspare una nota di nostalgia per una dimensione locale e intima che sta scomparendo con l’aprirsi del mondo a spazi e dimensioni globali, le quali attirano la curiosità dei giovani che sperano in un futuro migliore di quello dei genitori. Appare quindi lo spettro di una globalizzazione che porta inesorabilmente alla morte di piccole realtà locali e rurali in ragione dell’ampliamento degli orizzonti raggiungibili.

Laila Wadia e Maksim Cristan esplorano e toccano altri limiti, quelli socio-politici, che restano ancora invalicabili nell’esperienza di chi sceglie di scoprire e “abitare” nel villaggio globale. Nel mondo globalizzato inizia a prevalere l’esigenza di affidarsi sempre più a «un concetto di “cittadinanza sostanziale”, basato più sul diffondersi di un sentire condiviso di bisogni concreti che sull’antica nozione di appartenenza giuridico-formale ad uno Stato-Nazione11». Tuttavia, l’esigenza di smarcarsi dallo Stato-Nazione e il conseguente bisogno di stabilire e concepire dei diritti della persona senza ulteriori specificazioni entrano in contraddizione con una serie di legislazioni nazionali, regionali e comunitarie (nel caso dell’UE) che restano

9 Maksim Cristan, (fanculopensiero)… cit., p. 63.

10 Carmine Abate, Il mosaico del tempo grande (Milano: Mondadori, 2007), pp. 112-113.

11 Luigi Ciaurro, «I diritti fondamentali dello straniero», in Flussi migratori e fruizione dei

ancora legate all’idea dello Stato-Nazione stesso. Il seguente brano di (fanculopensiero) esemplifica una delle conseguenze nel quotidiano che implica il diffondersi di idee a difesa dei confini politici:

Il controllore si credeva come minimo un capo della Cia o del Kgb, e in più gli mancavano alcune informazioni geopolitiche basilari. Io avevo i documenti croati, e in più ero un istriano, quindi non avevo bisogno del visto. Per passare il confine mi bastava una semplice carta d’identità uguale a quella dei cittadini italiani e, quanto al permesso di soggiorno, quello serve a chi vuole lavorare e sistemarsi in Italia. Io in quel momento ero un semplice turista12.

L’immaginario letterario che si crea attorno a una questione geopolitica si contrappone al discorso mediatico nel quale impera spesso la confusione terminologica e giuridica a favore della difesa di discorsi ideologici. La focalizzazione del racconto conferisce un effetto ridicolo alla scena, la cui azione è mossa dall’ignoranza dell’interlocutore dell’io-narrante.

Abbiamo visto che Maksim si difende con una certa sicurezza dai tentativi di abuso di potere del controllore dell’autobus; le reazioni rispetto alle normative che regolano la migrazione sono tuttavia soggettive. Come possiamo notare da questo brano, la giovane Laila da poco arrivata in Italia vive, al contrario di Maksim, con ansia i limiti legislativi che le vengono imposti dal luogo d’arrivo:

“Siamo dei naturisti” mi ha confessato Alvise Zannier stasera.

“Ah, che bello, anch’io adoro fare passeggiate in montagna” ho replicato. “Quello è un po’ più difficile” Alvise ha rimuginato. “Ti potrebbero arrestare”.

“Ma ho il permesso di soggiorno in regola!” ho detto allarmata13.

Per la protagonista, l’eventualità di venire imprigionata è strettamente legata al fatto di possedere i documenti che autorizzano la sua permanenza sul suolo italiano. La possibilità di spostarsi nel villaggio globale non è completamente libera, ma, al contrario, in base alla provenienza e al luogo d’arrivo può talvolta addirittura costituire un reato. Da un lato, le restrizioni politiche e le angosce che provocano vengono rappresentate tramite l’utilizzo dell’ironia, figura retorica che permette di verbalizzare dei pensieri considerati inaccettabili, riabilitando in maniera

12 Maksim Cristan, (fanculopensiero)… cit., p. 52.

metanarrativa il potere della parola14. Dall’altro invece le conseguenze che le restrizioni politiche hanno nella vita privata di coloro che le subiscono vengono inscenate con grande serietà in Come diventare italiani in 24 ore:

Andare a casa per dare l’estremo saluto ad una delle persone che amo di più al mondo? No, non posso. Non posso perché non ho ancora fatto la domanda per la cittadinanza italiana, (so che è da scemi, ma vorrei farlo quando sono sicura di meritarmela, non semplicemente in quanto coniuge) quindi il mio attuale permesso di soggiorno mi dà il diritto di uscire dall’Italia solo tre volte all’anno.

Una tale restrizione è soffocante ovunque uno abiti, ma in una città di confine come Trieste è la morte sociale. I triestini sono soliti fare dieci minuti di macchina per recarsi in Slovenia a fare la spesa, fare benzina, cene luculliane di pesce, per rimorchiare nelle saune… Oggi è il 18 dicembre e io ho esaurito i permessi.

Sono una donna allegra, vedo sempre il bicchiere mezzo pieno, ma oggi sono avvilita e infuriata. Mi sento inerme. Diversa. Di categoria B15.

La protagonista, ormai adulta, non vede più il permesso di soggiorno come un documento che le permette di vivere nella legalità in un dato luogo, ma, al contrario, come un cavillo burocratico e politico che la imprigiona e che le impedisce di spostarsi liberamente. A queste restrizioni consegue una duplice esclusione: da un lato rispetto alla socialità nel luogo di residenza e dall’altro rispetto al mantenimento dei legami con la comunità di origine. Ciò induce immancabilmente lo sviluppo di sentimenti negativi che implicano il vedere se stessi come diversi in senso svantaggioso, poiché i diritti di cui si può godere vengono ristretti. L’io-narrante dapprima ironizza sull’angoscia che il permesso di soggiorno provocava in lei all’inizio della propria presenza in Italia; in seguito però essa denuncia le ripercussioni che determinate scelte politiche hanno talvolta sulla vita privata e sui diritti civili di chi migra. Le questioni riguardanti la politica internazionale sul superamento dei confini si fanno più complicate e le restrizioni della libertà individuale di movimento si palesano nel subentrare di dittature, come a esempio quella messa in atto da Enver Hoxha e così rappresentata da Carmine Abate:

14 A proposito dell’interpretazione dell’ironia si veda Jean-Paul Sermain, Métafictions

(1670-1730). La réflexivité dans la littérature d’imagination (Parigi: Honoré Champion,

2002), p. 139.

“Partirò ai primi di agosto, se tutto va bene”, e quel tono di voce alto, concitato, mulinava nell’aria con un’eco di urgenza, come una questione di vita o di morte troppo a lungo taciuta.

Di [Antonio Damis], a dire il vero, molti ridevano già da un pezzo per via del viaggio, che si era messo in testa di fare, verso il paese da cui erano fuggiti gli antenati nostri, i fondatori di Hora, più di cinque secoli addietro. […] Ammesso e non concesso che il paese esistesse ancora, i nostri presunti

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