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«Voler spremere necessità da una proposizione empirica (ex pumice aquam) e, con questo voler procurare a un giudizio anche vera univer-salità […] è una pura e semplice contraddizione». Così scrive Imma-nuel Kant, in un noto passo della Critica della ragion pratica (A 23), nel quale richiama la sua classica critica alla tradizione dell‟empirismo humeano. Per Kant nessuna presunta necessità soggettiva potrà mai fondare o giustificare una conoscenza autenticamente oggettiva, la quale ultima, per sua intrinseca natura, sempre secondo il filosofo di Königsberg, non può non rinviare ad una validità oggettiva necessi-tante che sola può configurare un fondamento di un vero consenso universale, intersoggettivo e cogente. Come dalla pietra pomice non si può ricavare acqua, analogamente per Kant dal fondamento empirico non potrà mai ricavarsi alcuna autentica universalità oggettiva. Tant‟è vero che Hume, prendendo le mosse dal giudizio empirico, dal matter of fact, si è poi dovuto appellare alla “necessità soggettiva” instaurata dal custom, dall‟abitudine. Per la verità né Hume, né Kant si sono tut-tavia resi conto come anche nella stessa nozione humeana di custom fosse necessariamente implicito, per quanto assai silente, un differente punto di vista prospettico che, sia pur su basi empiriche soggettive, negava, tuttavia, la pretesa passività assoluta del conoscere empirico, a-prendo quest‟ultimo, semmai, ad un preciso condizionamento, sia pur dovuto alla stratificazione dell‟esperienza, che finiva, comunque, per aprire la strada proprio a quella innovativa “rivoluzione copernicana” kantiana che consente di cogliere il valore euristico intrinseco della dimensione trascendentale entro la concreta fenomenologia del sape-re scientifico oggettivo. La stratificazione dell‟esperienza condiziona infatti la possibilità della stessa esperienza trasformando quest‟ultima da realtà totalmente passiva nel frutto di un‟interazione tra l‟esperien-za passata e quella presente…

Ex pumice aquam?

Ma non è naturalmente questa la sede per sviluppare criticamente questo, pur decisivo, momento carsico dell‟affascinante storia con-cettuale, di lungo periodo, del trascendentalismo kantiano. D‟altra parte si può però aggiungere come l‟espressione kantiana, a sua volta, implichi un tacito riferimento ad una battuta presente in una comme-dia di Plauto, nella Persa. Nell‟apertura dell‟azione scenica plautina, ambientata ad Atene, lo schiavo Sagaristio, dialogando con il suo a-mico (servus Toxilus, che gli chiede un prestito), lo redarguisce affer-mando: «qua confidentia rogare tu ad med argenti tantum audes,/ imprudente? Quin si egomet totut veneam, vix recipi potis est/ quod tu me rogas; nam tu acquam a pumice nunc postulas/ qui ipsus siti aret» (I, II, 38-41). Il riferimento plautino alla pietra pomice che, di per sé, «muore di sete», per cui è affatto vano e impossibile cercare di trarne acqua, costituisce, dunque, il rinvio ad una norma di saggezza popolare ben nota e diffusa al livello del senso comune: quella in virtù della quale non si può cavar sangue dalle pietre.

In questa specifica prospettiva il duplice, per quanto sommesso, richiamo a Kant e Plauto, presente nel titolo di questo volumetto vuole sottolineare, non a caso rievocando anche il vivo e icastico lin-guaggio plautino, la paradossalità stridente di un‟impossibilità effet-tiva: si potranno mai risollevare le sorti di questa scuola consumistica da supermarket? Il punto interrogativo del titolo e il sottotitolo (per non accennare, poi, all‟intera articolazione delle considerazioni svolte in tutto il librino), rinviano, costantemente, ad una risposta decisa-mente positiva e ad un diverso orizzonte strategico, decisadecisa-mente più ottimistico, quello in virtù del quale anche in questa situazione di crisi conclamata occorre proprio possedere la straordinaria virtù di saper cavar sangue dalle pietre, di saper trarre acqua persino da una pietra siti-bonda come la pomice. Constatato il grave e innegabile degrado cui la scuola italiana si è ridotta occorre infatti reagire a tale stato di crisi, conclamato e generalizzato, indicando, positivamente e costruttivamente, alcune feconde e preziose vie di fuga strutturanti, mediante le quali possa infine essere riattribuita alla scuola italiana una precisa funzione au-tenticamente formativa. In questa chiave il richiamo esplicito della bat-tuta plautina, tenuta peraltro ben presente anche dallo stesso Kant, vuole suggerire che non sarà comunque dall‟interno dell‟ambito buro-cratico-istituzionale di questa scuola consumistica, burocratizzata e degradata, che potranno infine scaturire nuove energie in grado di

ri-sollevarne, in modo decisivo, le sue forze: come nell‟ambito della filo-sofia kantiana l‟universalità della conoscenza oggettiva non può mai derivare dalla dimensione empirica (che svolge, semmai, un ben diffe-rente ruolo epistemico di controllo critico-sperimentale degli assunti teorici), in modo analogo unicamente le forze della cultura, del sapere e dello studio – peraltro ben presenti anche tra le pieghe di questa no-stra scuola - potranno risollevare le sorti di una istituzione che fino ad ora ha rappresentato unicamente il terreno di azione privilegiato di burocrati, di teste d‟uovo ministeriali e di politici del tutto digiuni dei più plastici e fecondi sentieri della conoscenza, rigorosa ed oggettiva. Si può dunque cavare sangue ed acqua dalle pietre, ma si può farlo unica-mente se si possiede la virtù (largaunica-mente praticata, per esempio, da un intellettuale come Antonio Gramsci che ha sempre operato non nei blasonati studi universitari, ma nel profondo buio delle carceri italia-ni), di saper trasformare, vichianamente, una difficoltà in un’opportunità, prendendo spunto dalle molteplici scelerosi e dai numerosi crampi mentali di una scuola claudicante e sempre più fatiscente, per costrui-re una nuova scuola che possa essecostrui-re motocostrui-re di un diverso futuro per i giovani cittadini che si formano nel suo spazio-tempo. In questo caso non si trarrà direttamente acqua e sangue dalle pietre, ma si po-trà immettere nella scuola italiana nuova vitalità e nuova capacità formativa, dando spazio, ruolo e funzione decisiva proprio a quelle forze della conoscenza che, fino ad ora, in genere sono state concul-cate, vilipese e del tutto misconosciute da ministri, burocrati e sinda-calisti. In questa prospettiva ex pumice aquam? diventa allora un singo-lare e paradossale programma d‟azione, una prospettiva di lotta e di serio impegno civile e democratico per un profondo rinnovamento culturale di una scuola che oggi, spesso, non è neppure più degna del proprio nome non sapendo più assolvere alla sua funzione formativa.