Art & Business nell’impresa sociale
Capitolo 4 Dalla teoria alla pratica del progetto SMATH
4.5. Punti di forza e di debolezza rilevati nel progetto SMATH
L’analisi dei casi si conclude indagando i punti di forza e di debolezza del progetto SMATH, tenendo presente che è ancora in corso e quindi le considerazioni sono necessariamente parziali. Tuttavia, a partire dalle riflessioni dei protagonisti dei casi, è già possibile individuare degli effetti positivi del progetto e delle criticità.
Punti di forza:
1. Uno dei punti di forza maggiori si riscontra nella capacità di creare uno spazio relazionale, cioè il “nido creativo”, in cui le connessioni potessero crearsi spontaneamente. In questo modo hanno potuto formarsi le combinazioni artista/azienda che avevano una maggiore affinità negli interessi, nella visione e negli obiettivi. Questo processo d’incontro e di scelta autonoma è stato rafforzato dal fatto che la prima selezione fosse svolta dall’azienda e non da un soggetto esterno. In questo modo nella fase di accompagnamento si sono sviluppate relazioni fortemente collaborative e proficue, con il sostegno del team di ricercatori dell’università. 2. In relazione al punto precedente, si può affermare che logica del “nido” abbia dato risultati positivi, prospettando la possibilità di una collaborazione che, dopo un periodo di “incubazione”, va oltre il progetto e prosegue autonomamente. Questo si è verificato soprattutto nel caso di Alessio ballerini e Simona Sala con Cooperativa Sociale Verlata. Inoltre diversi rapporti si sono sviluppati anche se non finalizzati all’idea progettuale: di nuovo la referente di Verlata afferma che ha avuto modo di conoscere molti artisti professionisti con cui le piacerebbe collaborare in futuro.
3. Nelle considerazioni degli intervistati si verifica una dimensione di apprendimento in forme diverse, sul piano individuale e organizzativo. Per esempio, sul piano individuale, Giulia Conzato di Verlata afferma che nello scambio con gli artisti ha avuto l’occasione di conoscere nuovi strumenti e tecniche musicali, che per lei rivestono una particolare interesse, dato che si occupa anche di laboratori multisensoriali per persone con
un’occasione per introdurre nuovi elementi nel lavoro degli operatori, arricchendo la prospettiva educativa, ma anche le modalità di lavorare insieme.
Per gli artisti l’apprendimento riguarda soprattutto le modalità che hanno caratterizzato il processo di accompagnamento e soprattutto di selezione. In particolare Simona Sala afferma che la preparazione del discorso per il pitching event è stata un’occasione per imparare qualcosa di nuovo, ma è stata anche una fase critica, essendo costretta ad utilizzare un linguaggio derivante dal project management che non le appartiene.
Punti di debolezza:
1. In entrambi i casi gli artisti rilevano difficoltà legate al budget e alla gestione amministrativa, tra cui anche la necessità di dover anticipare le spese di trasporto e alloggio, pur riconoscendo che questo è un meccanismo diffuso del settore.
2. Il duo di Simona Sala/Alessio Ballerini criticano la logica competitiva che ha accompagnato l’intero processo di SMATH, sostenendo che questa sia la logica tipica del business, ma è contraria proprio al lavoro che sono chiamati a fare, quindi creare un clima collaborativo e migliorare le relazioni interne- esterne dell’azienda.
3. Il duo Sala/Ballerini fa emergere anche un’altra criticità, legata a quella precedente, ovvero il fatto che è stato chiesto all’artista di adottare un linguaggio manageriale, per preparare il discorso del pitching, un format tipico del business, e rispettare tempistiche molto strette e scandite, che mettono a rischio la qualità artistica sia del processo sia dell’opera finale. Quindi da una parte riconoscono di aver acquisito delle nuove conoscenze, dall’altra fanno emergere dei dubbi sulle modalità di ibridazione, in quanto sembra che sia più l’artista a dirigersi verso il business, invece di essere messo nella condizione di cambiarlo.
Conclusioni
In questa ricerca abbiamo visto come il mondo delle arti e il mondo delle aziende si stiano avvicinando sempre di più, l’uno assumendo una dimensione economica sempre più importante e l’altro caratterizzandosi sempre di più in modo creativo. Le industrie culturali e creative stanno diventando un settore trainante, con un potenziale ancora da sviluppare, poiché si ritiene siano il fulcro per l’innovazione. Tuttavia, si è mossa una critica all’enfasi che viene posta, spesso in modo generalizzato e semplicistico, sulla creatività e sull’innovazione, che sono dimensioni complesse e multidimensionali. Il “mito” che circonda queste parole è stato ridimensionato, perché la creatività da sola non basta per innovare, deve passare attraverso i processi economici, essere incorporata nel sistema e agire dall’interno per generare soluzioni.
Istituzioni autorevoli come il World Economic Forum affermano che l’innovazione digitale sia uno strumento per migliorare la vita lavorativa, liberandola dalle attività ripetitive ed usuranti, per ridare all’essere umano una posizione in cui possa esprimere le sue capacità e la sua creatività.
Tuttavia, è ancora poco chiaro come effettuare questo passaggio: come liberare veramente il potenziale creativo delle organizzazioni? Come stimolare i meccanismi d’innovazione a partire dalle qualità umane?
A queste domande si è cercato di rispondere proponendo la pratica degli interventi artistici nelle aziende. Gli artisti e i processi artistici possono innescare un cambiamento o sostenerlo, scardinando la routine organizzativa, introducendo nuove prospettive e modalità relazionali basate sull’empatia.
L’interazione può avvenire su diversi livelli e con diversi obiettivi, tuttavia la condizione basilare per la buona riuscita è l’instaurarsi di un rapporto di fiducia tra le due parti. In questo modo si stimola la dimensione sociale dell’organizzazione, che si può considerare un organismo “tecno-umano” (Schiuma, 2011).
Gli interventi artistici si considerano una pratica per l’innovazione sociale perché creano innanzitutto un terreno comune, da cui possono emergere nuovi modi di pensare di agire nella vita organizzativa (Darsø, 2004).
Una volta analizzate le caratteristiche della dimensione aziendale e della dimensione artistica, nonché le modalità d’interazione e i rispettivi obiettivi e benefici, la ricerca si è concentrata una particolare tipologia d’impresa, ovvero l’impresa sociale. In questo contesto, le aree d’intervento sono caratterizzate in modo diverso rispetto a un’impresa for profit tradizionale e comportano una maggiore complessità legata alla natura stessa dell’organizzazione.
L’innovazione nell’impresa sociale riveste un valore particolare, considerando che è orientata a creare valore sociale prima ancora che economico.
Nonostante il settore risulti in buona salute, e secondo i report statistici abbia superato la crisi in modo positivo rispetto ad altri settori produttivi, si riscontrano ancora numerose cooperative sociali storicamente orientate alla specializzazione dei servizi, o con una cultura organizzativa che bada molto alla sostanza e poco al contatto con l’esterno (Bortolotti & Maino, 2008). Così facendo, queste organizzazioni incorrono nel rischio di particolarismo e di perdere il contatto con il territorio.
In questo caso i progetti artistici possono costituire un valido strumento d’intervento per la loro peculiare capacità di facilitare il coinvolgimento e di creare capitale sociale (Matarasso, 1997), ricomponendo i legami con il territorio ed allargando la rete sociale.
Questi obiettivi corrispondono di fatto a quelli dei due casi studio. Come risulta dall’analisi, nelle due cooperative si riscontra un’elevata qualità dal punto di vista dei servizi offerti agli utenti, tuttavia questo valore non è pienamente recepito dall’esterno, quindi hanno compreso la necessità di innovarsi in primis nelle modalità comunicative con il territorio.
Lo studio e la comparazione dei casi hanno fornito degli spunti di riflessione interessanti, sia per quanto riguarda la declinazione dell’intervento artistico, o della
metodologia dell’Art & Business, nell’impresa sociale, sia per quanto riguarda la dimensione procedurale del progetto SMATH.
Un elemento interessante da rilevare nel rapporto tra artista e impresa sociale è che l’innovazione non scaturisce dalla “distruzione creativa”, per usare le parole di Schumpeter, né si registra una particolare “tensione creativa”, piuttosto si riscontra una dimensione di costruzione creativa, in cui le due parti collaborano in sintonia e apprendono reciprocamente senza forme di resistenza.
Questo si può definire un processo di innovazione sociale, che risulta facilitato da una cultura convergente delle due parti, quindi si può affermare che l’impresa sociale sia un contesto privilegiato per sperimentare meccanismi di innovazione che portino beneficio alla società.
Tuttavia, è necessario tenere presente la tipologia di utenza che si trova nell’impresa sociale, per cui è richiesto un tempo di preparazione e ambientamento più lungo: l’introduzione della figura artistica dovrebbe avvenire in modo graduale per evitare di creare tensione e instaurare un rapporto empatico con gli utenti. Questo permetterebbe anche agli artisti di calibrare meglio l’intervento. Per quanto riguarda il progetto SMATH, abbiamo visto come l’idea di costruire un “nido creativo”, dove le relazioni nascessero spontaneamente e si rafforzassero nel tempo per proseguire autonomamente, abbia dato risultati positivi. La volontà di continuare la collaborazione stabilmente è espressa chiaramente soprattutto dalla coppia Cooperativa Sociale Verlata con Simona Sala e Alessio Ballerini. Tuttavia, gli artisti Simona Sala e Alessio Ballerini sollevano anche delle criticità che meritano attenzione riguardo alle modalità d’implementazione del progetto SMATH: una su tutte la logica competitiva del processo, che secondo loro mina alla base i rapporti collaborativi e veicola un messaggio contrario a quello che caratterizza il nido creativo.
Gli artisti riportano che la competizione, le tempistiche ristrette e la richiesta di esprimersi con un linguaggio tipico del management, costringe più gli artisti ad adattarsi alle modalità del business, invece di cercare un terreno comune.
Nonostante il duo abbia altre esperienze nella collaborazione con le imprese, questi elementi li portano a chiedersi se l’ibridazione sia davvero possibile e cosa significhi per gli artisti.
Abbiamo visto come in letteratura queste criticità siano già state ampiamente trattate e appaiano superate attraverso la definizione di programmi di training e le attività del mediatore. Tuttavia, nella pratica risultano ancora questioni spinose: gli artisti vogliono e possono davvero imparare ad esprimersi col linguaggio manageriale? Il processo artistico viene compromesso dalle scadenze che caratterizzano il contesto aziendale? Sono gli artisti che devono adattarsi alla logica competitiva del business o le aziende che devono imparare la logica collaborativa degli artisti? Tutte queste domande possono trovare risposta solo in ulteriori sperimentazioni, poiché si tratta di una pratica per natura esperienziale e aperta, e le criticità possono essere valutate e affrontate solo sul campo.
Per quanto sia possibile affinare la metodologia degli interventi artistici, questa continuerà a generare un risultato imprevedibile perché il principio di creazione del valore del processo artistico è proprio quello di introdurre qualcosa di nuovo e inaspettato.