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Punti di forza e debolezza del GAS

Dall’intervista attuata dall’IRES Piemonte (2011, pp. 54 ss.) è stato possibile individuare ciò che i gasisti percepiscono come punti di forza e punti di debolezza dei Gruppi di Acquisto Solidale, che sono rappresentate sia dalle modalità organizzative interne al gruppo (fattori endogeni) che dalle condizioni esterne (fattori esogeni). Quasi tutti i gruppi considerano un elemento molto positivo le relazioni che si vengono ad instaurare tra i sogetti partecipanti, favorendo la cooperazione, l’aiuto reciproco e facilità l’insorgere di discussioni costruttive circa l’introduzione di nuove pratiche di consumo critico; se tali relazioni sociali vengono a mancare questo genera un problema poiché viene a mancare uno dei principi fondamentali su cui si fonda il GAS.

Per quanto riguarda la dimensione del gruppo, è un argomento che divide nettamente l’opinione dei gasisti. Alcuni vedono l’aumento del numero dei

41 membri come una buona opportunità sia dal punto di vista organizzativo che dei risvolti ideologici e culturali, più persone significa una maggiore possibilità di differenziare i prodotti acquistati (questo è possibile grazie ad un aumento del numero di referenti, ognuno dei quali si occupa di curare il rapporto con il produttore assegnatoli) e una maggiore penetrazione delle pratiche di consumo critico nella società. Altri, invece, ritengono che l’arrivo di nuovi membri debba essere evitato o comunque tenuto sotto controllo, quest’ultimi mirano ad una gemmazione (cioè la creazione di nuovi gruppi gemmati da un gruppo madre già esistente) oppure la creazione ex novo di altri gruppi di acquisto consentendo di avere un organizzazione più snella e quindi con una minore gerarchia e più possibilità di applicare in modo concreto la democrazia così tanto voluta dai GAS. Molto spesso questa prospettiva viene abbracciata in seguito ad esperienze di ampliamento che si sono dimostrate controproducenti in termini di socializzazione e di divisione dei compiti.

Quasi tutti i gruppi individuano i punti di debolezza nelle questioni pratiche; una necessità avvertita da molti è quella di trovare una sede per il gruppo, questa è fondamentale per poter svolgere le riunioni, assemblee e per lo stoccaggio del materiale. Spesso i gruppi più piccoli svolgono queste attività nelle abitazioni dei partecipanti, ruotando settimanalmente tale “sede”, si può immaginare che problemi possa causare un ritardo nel ritiro dei prodotti.

Nel paragrafo precedente si è sottolineato come la crisi economica abbia dato l’input per far aderire nuovi membri e quindi creare concretamente un sistema economico alternativo basato su principi bio ed ecologici; ma molti intervistati hanno paura che tale punto di forza possa trasformarsi in uno svantaggio, ad esempio alcuni gasisti potrebbero iniziare a ricercare produttori che offrano la merce a prezzi vantaggiosi, oppure se il fenomeno dei GAS aumenta considerevolmente la GDO potrebbe porre l’attenzione su questo circuito ed omologarsi ai gruppi come è avvenuto per la vendita dei prodotti bio.

42 2.3. Attitude-Behaviour Gap

Un punto, a mio avviso molto interessante analizzato dalla letteratura è il divario tra intenzione ed atteggiamento, cioè il così detto Attitude-Behaviour Gap, come ho già detto un consumatore etico costruisce la propria identità e si auto-realizza mettendo in atto determinate pratiche e politiche di consumo. Per questo motivo alcuni ricercatori hanno cercato di capire come si costruisce il processo decisionale del consumatore etico, altri hanno studiato e cercato di costruire un profilo tramite i discorsi d’intenzione di consumo etico da parte dei soggetti, partendo da un’analisi di consumatore razionale. Strong (1996) afferma che l’informazione sta alla base per la scelta di attuare decisioni di acquisto etiche, un consumatore più informato è maggiormente esigente e per questo motivo non viene soddisfatto in pieno dall’offerta proposta nel canale mainstraim, perciò si viene a modificare l’atteggiamento di acquisto in relazione alle loro intenzioni generate sulla base di una maggiore informazione e consapevolezza, andando a colmare l’attitude-behaviour gap .

Minton e Rose (1997) hanno esaminato gli effetti dell’atteggiamento, le norme sul comportamento e l’intenzione comportamentale ed hanno scoperto che la norma personale, cioè la volontà di avere un comportamento etico, ha un’influenza primaria sul comportamento, mentre l’atteggiamento (soprattutto in relazione alle questioni ambientali) ha una primaria influenza sull’intenzione. La Teoria del Comportamento Pianificato mette in evidenza che le intenzioni comportamentali sono spiegate dagli atteggiamenti e dalle norme soggettive, mentre tale comportamento può essere ostacolato dalle così dette barriere percettive che non consento di reperire a causa di una vastità di scelta o scarsa disponibilità le informazioni necessarie per svolgere le intenzioni, ponendo così in essere l’attitude-behaviour gap.

Nuttin (1987) sostiene invece che, l’intenzione è senza dubbio un importante precursore dell’azione, ma il suo ruolo e il suo significato devono essere chiariti, infatti oltre all’intenzione le ricerche hanno messo in evidenza che anche il

43 desiderio ed altri precursori pertenenti sono la motivazione del comportamento etico.

Le ricerche sono sensibili a questa tematiche poiché l’incertezza dell’informazione rende debole la relazione tra intenzione e comportamento, ma gli studiosi sostengono che anche se sono state attuate molteplici ricerche non si è giunti ad un risultato attendibile.

Newholm (2005) ha sostenuto che “l’atteggiamento non può essere letto come comportamento e viceversa, a causa anche delle mediazioni sociali e la varietà di significati associati ad una pratica particolare di consumo”, cioè quello etico. Inoltre ha sottolineato che dal punto di vista del consumatore è l’accumulo di problemi di consumo, dinamiche di mercato e la complessa competizione che consentono di mantenere un comportamento etico, poiché il consumatore è portato dalle sue convinzioni ad abbattere il sistema tradizionale in cui si trova. Possiamo quindi concludere dicendo che oltre all’informazione giocano un ruolo importante altre variabili come le norme personali, i dinamismi di mercato ed una forte motivazione per poter superare il gap che separa l’intenzione dall’atteggiamento.

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3. LA METODOLOGIA

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