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Nel 2002 Rem Koolhaas, al Berlage Istitute di Rotterdam, enfatizza la necessità di riflettere con più attenzione sulle possibilità di sviluppo delle aree urbaniz-zate del globo nella conferenza Punto a capo.

A dimostrazione di ciò Koolhaas mette a paragone un diagramma di Costan-tinos Doxiadis del 1970, con Yes-copyright dello studio OMA – sottolineando come il grafico dell’architetto greco rappresenti «l’ultimo momento di aperta e vera speculazione visionaria in termini di pianificazione e architettura»4. Di contro, continua l’architetto olandese, Yes, evidenzia una suddivisione del-la terra in base al peso delle diverse valute: lo Yen (Y), l’Euro (€) e il doldel-laro ($). Secondo Koolhaas ormai

«il mondo è governato dalla globalizzazione e da un’ideologia che privilegia il potere economico a qualsiasi altro valore di benessere sociale universalmente condiviso: nel-l’attuale contesto socio economico, l’architettura ha perso qualsiasi valore di controllo e gestione dello sviluppo della città in favore di mere operazioni speculative. » 5

2. Giovanni Attili, Rappresentare la città dei migranti. Storie di vita e pianificazione urbana, Jaca Book, Roma 2008. 3. AA.VV, The metapolis dictionary of advanced architecture, Actar, Barcello-na 2003.

4. Nel diagramma di Doxiadis ogni area nera rappresenta una città universale, le aree grigie quelle abitabili e le bianche a scarsa densità abitativa.

5. Rem Koolhaas, Verso un’architettura estrema, Postmedia, Milano 2002, p. 51.

Ragnatela realizzata da un ragno sotto l’effetto di caffeina La città euopea del XXI secolo

6. Andrea Branzi, Urbanità debole e diffusa, Skira editore, pp. 28 -31. 7. Francesco Tentori, Lezioni introdut-tiva all’anno 1993 - 94 e Sintesi sui tre temi romani e sul primo tema veneziano di esercitazione, Venezia, novembre 1995. (materiale didattico)

8. Peter Witt & Jerome Rovner, Spi-der Communication: Mechanisms and Ecological Significance, Princeton Uni-versity Press, 1982. Durante gli anni Cinquanta il farmacologo svizzero Peter Wytt decise di fare un esperi-mento molto singolare. Descritto dal New York Times come il più impor-tante esperto di ragni del mondo, lo scienziato ebbe l’idea di dopare gli oggetti dei suoi studi. Somministrò ai piccoli insetti quantitativi minimi di lsd, mescalina, caffeina e hashish per vedere se, in azione come tessitori, la struttura delle loro ragnatele sarebbe cambiata.

9. Jennifer Allen, I nuovi barbari, in AA.VV., Less, Strategie alternative dell’abi-tare, PAC, Milano 2006, pp. 108 - 112. 10. Questo sistema di sgretolamento, la cosiddetta città diffusa, si estende nel territorio formando tessuti discon-tinui ed espansi in grandi aree territo-riali nelle quali i diffusi abitano solo lo spazio privato della casa e dell’auto-mobile, e concepiscono come spazi pubblici solo i centri commerciali, gli autogrill, le pompe di benzina e le stazioni ferroviarie. Ma accanto a questi esistono dei vuoti anch’es-si utilizzati come orti abuanch’es-sivi, come parchi, come percorsi alternativi per passare da una parte all’altra della città, come luoghi per cercare spazi di libertà e socializzazione.

Non lontane sono le esperienze del XX secolo dove architetti ed ingegneri trovavano, nel dibattito collettivo, uno strumento utile per discutere sui ma-lesseri metropolitani. Sembra che queste eredità si siano dissolte in ideologie regolate da cinici dogmi economici. Oggi la maggior parte delle logiche di espansione urbana seguono strategie tese al mero guadagno economico tra-lasciando altri aspetti del pensiero e dell’agire umano come l’architettura, le relazioni umanamente reali e il benessere condiviso.

Gli anni Settanta, periodo in cui Costantinos Doxiadis disegna Courtesey, hanno senza dubbio portato stimoli, spunti, riflessioni atti a rispondere ad un progresso tecnologico senza precedenti. Architetti, ingegneri, urbanisti cerca-no di scardinare le regole disciplinari per trovare altrove soluzioni efficaci così da sconfiggere i cancri metropolitani.

Disordini e fenomeni di resistenza di ogni genere vengono, ogni giorno, pro-posti dai mass media con la massima disinvoltura, quasi fossero una soap

opera quotidiana. Rari sono, invece, gli incontri e i dibattiti tra i diversi ope-ratori urbani per poter affrontare una condizione metropolitana «in perenne stato di crisi».6

Metapolis doppate

Nei primi anni Novanta Francesco Tentori7, ragionando sulle periferie roma-ne, sosteneva che i nuovi spazi di espansione della capitale assomigliavano ad una ragnatela realizzata da un ragno impazzito per effetto della mesca-lina. Oggi le città europee sembrano costruite da un aracnide sotto l’effetto di caffeina8: eccitante legalmente riconosciuto, ma dagli effetti schizofrenici, anarchici.

La ragnatela, costruzione altamente ingegnosa, richiede infatti precise rego-le di esecuzione. Il risultato prodotto dall’assunzione di caffeina è confuso, casuale, frutto di movimenti nervosi, accidentali che non seguono nessuna logica compositiva costruttiva, con la conseguenza di perdere anche la fun-zionalità di trappola per gli insetti. Ed è quello che sta accadendo in molti si-stemi urbani contemporanei, sollecitati da flussi sociali in continua mutazione, composti dai cosiddetti nuovi barbari.

Secondo Micheal Hardit e Toni Negri questa moltitudine in fuga perenne ac-quisisce il potenziale di trasformatore politico restando una massa mobile e resistendo alla territorializzazione. Anche solo con il loro numero e il movi-mento – continuano gli autori – i barbari della moltitudine sono in grado di lanciare una sfida all’architettura, ponendo una variegata serie di esigenze quali la non permanenza, la non fusione, la non distruzione, ma soltanto la transizione. Alla ricerca di un posto dove dormire, riposarsi, prendere fiato prima di proseguire, la moltitudine non abita l’architettura ma la spinge ai li-miti dell’esistenza, la tratta come una seconda pelle temporanea, a malapena distinguibile dalle funzioni basilari del corpo.9

La città euopea del XXI secolo

Francesco Careri in Walkscapes (Einaudi, 2006). Se si tralasciano le analisi sui centri storici, sui rapporti tipo-morfologici e sui tracciati urbani, ci si può accorgere che intorno alla città è nata una cosa che non è città, un disordine generale al cui interno sono individuabili dei frammenti casualmente disposti sul territorio, immersi un in complesso sistema di vuoti10 che viene utilizzato e vissuto in infiniti modi diversi, divenendo parte fondamentale del sistema ur-bano. Sono spazi che abitano la città in modo nomade, che si spostano ogni qual volta il sistema tende a dare un ordine. Sono realtà cresciute al di fuori e contro quel progetto urbano che risulta ancora incapace di riconoscerne i valori e quindi ad accedervi.11

Il disegno della città che si ottiene separando i pieni dai vuoti può essere riletto come forma dalle geometrie complesse, sviluppato secondo una dinamica naturale simile a quella delle nuvole o delle galassie, in cui la crescita dei vuoti è difficilmente programmabile e prevedibile in virtù delle forze e delle variabili che entrano in gioco.12

Questo sistema non tende, per sua natura, solamente a saturarsi riempiendo gli spazi rimasti vuoti, ma anche ad espandersi lasciando al suo interno un ulteriore sistema di vuoti, sottolineando così le diverse velocità della crescita urbana: dalla stasi dei centri13 alla trasformazione continua dei margini. In essi si trova un certo dinamismo e si può osservare il divenire di un organismo vitale che si trasforma lasciando intorno a sé e al suo interno considerevoli parti del territorio in abbandono difficilmente controllabili. Questi sono i luo-ghi che più rappresentano la civiltà occidentale nel suo divenire inconscio e molteplice: sono i luoghi dei cavalieri del vuoto14, spazi vivi da riempire di significati. Si tratta di una città parallela con dinamiche e strutture proprie che devono ancora essere comprese, in cui ci si può sentire fuori dal controllo, quasi un parco spontaneo15, uno spazio pubblico a vocazione nomade che vive e si trasforma tanto velocemente da superare, di fatto, i tempi di proget-tazione delle amministrazioni pubbliche.

Careri sottolinea come, scavalcando un muro di cinta che delimita queste aree, ci si può trovare immersi in una sorta di liquido amniotico da cui trarre linfa vitale: l’inconscio delle città descritto dai situazionisti francesi, e si può quindi comprendere come quello che viene chiamato vuoto non è poi così vuoto e, in realtà, presenta diverse identità sociali e spaziali.

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