I FILM, LA TECNICA, LE PRATICHE
4 IL QUADRO ESTETICO
4.1 Note su realismo e avanguardia
attorno al film sperimentale
Fuga dal Reale?
Su Corriere della Sera del 20 dicembre 1931 Ugo Ojetti esponeva le sue perplessità su quella che viene definita con un’efficace invenzione retorica, la “fuga
dal reale” nelle arti riprodotte tecnicamente1. Egli definisce casi di “sparizione del reale” l’opera lirica riprodotta mediante disco, l’immagine fotografica e infine il cinematografo (soprattutto con il recente avvento del sonoro).
È proprio su quest’ultimo punto che Arnaldo Ginna (che con Bruno Corra fu protagonista, quasi vent’anni prima, del cinema futurista) gli risponde, il 5 gennaio 1932, dalle colonne de L’Impero-Oggi e Domani, pubblicando l’articolo di un lettore della pagina culturale, cui fa seguire il suo personale commento: La Fuga del reale
nel cinematografo (risposta a Ugo Ojetti)2.
Ojetti mette in luce come nell’arte riprodotta “l’uomo reale è fuggito da
quell’istromento a ripetizione. S’ascolta, s’ammira ma s’è soli con un fantasma”. Il
persuasivo scrittore arriva addirittura a formulare un’ipotesi che oggi suona quasi profetica: “Certamente grammofono, cinema, radio sono tutte invenzioni ammirevoli
1 Ugo Ojetti, “La Fuga dal Reale”, in Corriere della Sera, 20 dicembre 1931, p.3.
2 Ug. Ind. e Arnaldo Ginna, “La Fuga del reale nel cinematografo (risposta a Ugo Ojetti)”, in
[…], qui osservo solo che servendocene ormai ogni giorno, finiamo a dimenticare che sono surrogati della realtà e li prendiamo per la stessa realtà, pacificamente”.
Ojetti individua le cause di tale potenziale decadenza nel dominante idealismo di matrice crociana, e del generale clima di “ansia e di panico che tornano a scuotere la
compagine umana e le fondamenta economiche appena rimurate” (l’Italia del
dopo-crisi del ’29). Una delle argomentazioni più forti è la critica delle avanguardie, favorite - secondo Ojetti - dall’idealismo dilagante: “Basta un argomento: la fine dei
ritrattisti. […] Dalla realtà più concreta e profonda, dal volto umano cioè e dai sentimenti ch’esso rivela, si ritraggono, non dico contenti, ma rassegnati”.
Ginna, che d’altra parte proveniva dalle avanguardie, sottoscrive la risposta del lettore di Ojetti dalle pagine de L’Impero – Oggi e domani. Dove però il lettore - che solo in parte dimostra di aver colto la speculazione di Ojetti - contrappone alla “fuga dal reale” il potere straordinario dei meccanismi illusivi della macchina cinematografica, Arnaldo Ginna commenta l’articolo acutamente e più persuasivamente, spostando l’accento dal concetto di riproduzione a quello di creazione ex-novo, di “arte a sé”, dove la macchina produce “impressioni
assolutamente nuove ed interessanti” grazie a un apparato di strumenti elettronici,
tecnici, chimici “docilissimi sotto il tocco sapiente dell’anima moderna”, trasformando così la riproducibilità tecnica della macchina cinematografica nello strumento di una nuova strategia veritativa.
Il confronto è piuttosto emblematico di un fronte di tensioni che si andavano addensando, nel dibattito sul cinema, già sul finire degli anni Venti. Un passaggio essenziale e un ideale punto di partenza per una riflessione sullo statuto del reale e sul realismo nel contesto artistico e culturale italiano degli anni Trenta (un dibattito che si può dire dominato dalle istanze giovanili del ceto intellettuale), è il numero tre della rivista Solaria, del marzo 1927.
I contributi del numero, interamente dedicato al cinema, raccolgono le posizioni più varie, da Giannotto Bastianelli che scrive Contro le illusioni cinematografiche, al primo contributo di Giacomo Debenedetti sul cinema dal titolo Cinematografo: di lì a poco il giovane critico darà vita all’esperienza del Cinema d’eccezione a Torino. Su
Solaria Debenedetti esprime chiaramente la sua posizione all’interno del dibattito,
della vita vissuta”3. Ma facendo riferimento al ‘solleticare dolcemente’, chiarisce Debenedetti, non “sarà lecito parlare di ‘verismo’ o ‘illusione dal vero’”4: matura in queste pagine quella posizione che in Debenedetti si manterrà nel corso della lunga carriera, come spiega Micciché, “in buona sostanza antirealista”5.
Debenedetti arricchirà la sua intuizione negli anni immediatamente successivi, fino all’importante intervento al Circolo del Convegno: intervento che pubblicherà sulla rivista Il convegno il 26 giugno 1931, con il titolo Frammenti di una conferenza6.
Il cinematografo, scrive Debenedetti è:
la risultante sui generis di un’invenzione poetica ed attiva e di una testimonianza documentaria e passiva. La grande risorsa del cinematografo, è di scaturire dall’occhio visionario e creativo di un poeta, combinato con l’occhio meccanico e senz’anima della camera da presa.7
In questa dinamica, Debenedetti rileva nel cinema una “ineccepibile tara veristica”: “una soggezione alla realtà esterna ed oggettiva, nella quale il poeta deve trovare
appoggio per raggiungere la posizione di canto”8.
È la fotografia la “tara realistica”, e a partire da questa premessa Debenedetti richiama la formula del “realismo integrale”, formula che egli abbraccia, giustificando e salutando positivamente l’introduzione del sonoro come ideale compimento di quell’“integralità”: si tratta di un’idea di realismo dissimile all’orizzonte zoliano del realismo “scientifico”, piuttosto in esso vi si configura quel “potere di concretare e di
documentare la materia narrata, travolgendola al tempo stesso in un tono fantastico, che intorno le ricrea l’atmosfera propria e favorevole e conveniente”9.
3 Giacomo Debenedetti, “Cinematografo”, in Solaria, No. 3, marzo 1930 poi in Giacomo Debenedetti, Al Cinema, cit., p. 6.
4 Idem., p. 5.
5 Lino Micciché, Introduzione, in Giacomo Debenedetti, Al cinema, cit., p. XXXVI.
6 Giacomo Debenedetti, “Frammenti di una conferenza”, in Il Convegno, n.6, 25 giugno 1931, poi in Giacomo Debenedetti, Al Cinema, cit., pp. 8-42: il contributo viene unito da Micciché, curatore del volume, con altri frammenti autografi dello stesso autore, ricostruendo in questo modo un unico contributo che originariamente sarebbe andato sotto il titolo di La conversione
degli intellettuali al cinema.
7 Giacomo Debenedetti, Al cinema, cit., p. 25.
8 Idem., p. 27.
Dunque immediatamente da un piano per così dire fenomenologico transitiamo a un piano estetico e sarà proprio quell’“atmosfera propria e favorevole e conveniente” a rappresentare il fulcro delle questioni sul realismo in ambito culturale cinematografico, letterario, artistico.
Italianità e realismo
Nel 1926 la rivista Critica fascista di Giuseppe Bottai indice un “referendum”, raccogliendo le opinioni di “scrittori ed artisti su ciò che deve intendersi per ‘arte fascista’”.
L’idea della rivista scaturisce dalle parole pronunciate a Perugia da Mussolini sull’Accademia di belle arti nell’ottobre 1926, puntualmente riprese in esergo alla pubblicazione degli esiti del referendum riportati sull’autorevole La fiera letteraria nel 1928: “Noi non dobbiamo rimanere dei contemplativi, non dobbiamo sfruttare il
patrimonio del passato. Noi dobbiamo creare un nuovo patrimonio da porre accanto a quello antico, dobbiamo creare un’arte nuova, un’arte dei nostri tempi, un’arte fascista”10.
Tra i contributi, La fiera riporta quello di Ardengo Soffici, artista e scrittore già fondatore de Lacerba, vicino alle avanguardie futuriste e cubiste che in questi anni vira progressivamente in arte come in letteratura verso un più spiccato tradizionalismo:
è la letteratura, è l’arte che non può dirsi né reazionaria, né rivoluzionaria perché riunisce in sé l’esperienza del passato e la promessa dell’avvenire; è l’arte e la letteratura dell’equilibrio e della probità; è la letteratura e l’arte che si può insieme denominare materialistica e idealistica perché la materia e lo spirito vi hanno la loro parte quali termini imprescindibili di vita; che né nuova, né tradizionalistica, né romantica, né classica, né pesante, né leggera, né culturale, né tutta istintiva, contempera in sé gli estremi di ogni esperienza, e tende così alla sincera espressione dell’anima del creatore, cioè allo stile ed alla perfezione.
10 A.F., “Che cosa si intende per ‘arte fascista’”, in La fiera letteraria, No. 47, 21 novembre 1928, p. 1. L’intervento di Soffici riprende un intervento precedente in A. Soffici, “Il fascismo e l’arte”, in Gerarchia, anno I, No.9, 1922. La posizione di Soffici è discussa con notevole chiarezza da Alessandro Del Puppo, “Da Soffici a Bottai. Una introduzione alla politica fascista delle arti in Italia”, in Revista de Història da Arte e Arqueologia, No. 2, 1995/1996, pp. 192-204.
Direi che è una letteratura e un’arte realistica […]. È la letteratura, è l’arte, in una parola, italiana, quale fu nei tempi antichi e moderni11.
Gli fa seguito Curzio Malaparte che mette in evidenze un nodo cruciale, già sotteso da Soffici:
La verità, caro Bottai, è che a molti, cioè agl’interessati conviene di fraintendere le parole pronunciate a Perugia dal Duce; il quale, come egregiamente ha rilevato Soffici, ha inteso alludere non già a una arte, dirò così, di regime o di partito, a un’arte ufficiale di stato; ma a un’arte nuova che sia il segno più eccellente dei tempi nuovi12.
A questo punto ci troviamo al cuore della questione della politica fascista delle arti. Nel corso di questo capitolo esporremo la nostra posizione a proposito della specifica questione della pratica cine-sperimentale dei Cineguf e della loro ricerca estetica, tuttavia è di fondamentale importanza collocare quella problematica specifica all’interno della questione più vasta che investiva tutto il sistema delle arti in Italia, negli anni del consenso al regime.
La questione è se sia mai esistita un’arte fascista o se piuttosto si debba parlare di un arte durante il fascismo. Arriveremo nel corso di questo capitolo a specificare la questione nei termini cinematografici e nel frangente specifico della cultura dei Cineguf, tuttavia partire dal quadro interdisciplinare è ancora una volta necessario sia in virtù degli strettissimi legami che univano Cineguf e movimenti artistici, sia per le esperienza personali di molti dei protagonisti di quei gruppi, esperienze che spesso li vedevano portatori di istanze maturate nella critica letteraria o artistica.
Alessandro Del Puppo ci offre una sintesi e un punto aggiornato sulla questione che, come riporta puntualmente l’autore con ricchezza di riferimenti, è stata ampiamente discussa nei suoi caratteri generali così come nei suoi ambiti specifici13.
Del Puppo distingue tre fasi nel complessivo sviluppo dei rapporti tra cultura e fascismo:
11 Ibidem.
12 Ibidem.
13 Alessandro Del Puppo, Da Soffici a Bottai, cit. Si rimanda all’articolo per un resoconto esauriente della bibliografia di riferimento sull’argomento.