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Il quadro italiano

Capitolo III: I profili problematici e gli interrogativi sulle azioni positive

4.3 Il quadro italiano

Volendo sviluppare ora qualche considerazione sul problema della promozione dell’occupazione femminile, intesa come fatto collettivo, è noto come in Italia la legislazione italiana e la prassi applicativa, al di là delle buone intenzioni, si sono rivelate deboli su tale versante. Guardando alle origini, le leggi del ’77 e del ’91 sembravano più idonee rispetto ai problemi individuali di occupazione e di carriera, piuttosto che alla promozione collettiva del lavoro femminile; e ciò paradossalmente proprio in un ordinamento che vantava tradizioni collettive ed egualitarie.382 Sono rimaste ferme le strutture di diseguaglianza generale e forse sono state favorite forme nuove di discriminazione nell’ambito del genere femminile. Presentava notevoli debolezze strumentali la politica di promozione dell’occupazione, per le donne in particolare, risultando difficoltoso affrontare le questioni della promozione e della salvaguardia

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R.VALENZANO, in M.G.GAROFALO (a cura di), op. cit., pp. 292-293.

382 Nel dettaglio la l. n. 903/77 tesa alla parità di trattamento guardava alla soluzione di problemi

individuali di equiparazione ma non alle diseguaglianze strutturali; la l. n. 125/91 tesa invece alla soluzione di problemi inerenti alla promozione di occasioni di lavoro si è rivelata debole nella strumentazione applicativa.

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dell’occupazione femminile intese in senso collettivo, analogamente a quella della promozione del lavoro autonomo. Dunque il problema prioritario è stato il potenziamento della strumentazione delle normative sulla parità, anche se in realtà la difficoltà stava nell’attuare delle politiche occupazionali che apportassero un vantaggio specifico nel campo del lavoro femminile e a tale scopo era necessario avviare dei meccanismi di sviluppo al passo con i tempi e considerarne gli effetti nei confronti delle donne.383

Per lungo tempo le politiche di pari opportunità sono state politiche di settore, dotate di scarse risorse finanziarie e operative, sono mancate idonee direttive attuative ed anche un’adeguata rilevazione comparata degli effetti quantitativi e qualitativi delle azioni positive realizzate, nonostante la nota previsione della relazione aziendale. Era dunque necessaria una progettazione più approfondita. In particolare nel 1999 furono attivati degli interventi di sostegno alle due leggi citate, comprendendo un rifinanziamento, una semplificazione delle procedure, l’avvio di studi per valutare i risultati ottenuti, un approccio integrato attraverso un maggiore coordinamento tra i ministeri competenti; si voleva favorire inoltre lo sviluppo dei servizi decentrati per l’impiego e l’inserimento delle politiche di pari opportunità nei processi di sviluppo locali, mediante l’analisi di genere da attuarsi nella concertazione territoriale.384

Ma volendo svolgere una riflessione più approfondita su tali tematiche, ci rendiamo conto che le politiche di pari opportunità nel

383 Più in concreto gli investimenti nella formazione erano carenti e penalizzavano le donne, altri

punti critici erano gli strumenti istituzionali del mercato del lavoro, in specie a livello decentrato, la fiscalizzazione, e in generale gli incentivi all’occupazione erano poco proficui, frammentati e mal gestiti.

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T.TREU, in Pari e dispari, Annuario 5, Milano, 1995, pp. 259-263; M.SAMEK, in Relaz. ind., 2000, pp. 171 ss.; R.SANTUCCI – L.ZOPPOLI, in L.GAETA – L. ZOPPOLI (a cura di), Il diritto diseguale, Torino, 1992, pp. 13-22.

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mercato del lavoro non andrebbero cercate in realtà solo nelle politiche del lavoro in senso stretto ma anche in quelle di sostegno alla famiglia, in quelle di accesso all’istruzione e alla formazione professionale, nelle politiche fiscali, culturali e sociali. In Italia, al di là delle enunciazioni teoriche e di principio espresse nelle fasi di indirizzo e di programmazione, le modalità con le quali le politiche vengono attuate, le risorse rese disponibili, gli attori coinvolti, sono variabili cruciali, che costituiscono il modello reale della politica seguita e il livello di successo e di soddisfazione dei bisogni.

Tra i diversi modelli di intervento nel mercato del lavoro esistenti in Europa, l’Italia soprattutto prima del 2000 aveva seguito il modello di sostanziale esclusione delle donne dal mercato del lavoro. Le politiche del lavoro e le politiche dei servizi sociali e della famiglia erano centrate sulla protezione dell’occupazione degli uomini e tendevano a disincentivare la partecipazione delle donne o vincolavano le stesse entro delle tipologie di presenza molto rigide, l’accesso e la permanenza nel lavoro risultavano difficili.385 In seguito tale modello è entrato in crisi ed il tasso di partecipazione femminile è cresciuto a partire dagli anni ’80, emergendo anche una certa continuità nella partecipazione al lavoro durante tutta la vita attiva. Tuttavia la posizione delle donne nel mercato del lavoro risultava ancora piuttosto debole.386 In particolare se poniamo in rilievo il problema della

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Emergevano infatti notevoli differenziali di genere nell’occupazione, nella disoccupazione, nelle retribuzioni, nell’attività lavorativa.

386 Infatti l’occupazione femminile era cresciuta nel terziario e nelle posizioni flessibili atipiche,

ma è da considerare anche che la crescente flessibilizzazione del mercato del lavoro ha sì offerto maggiori opportunità di ingresso per le donne ma allo stesso tempo ha accresciuto la loro condizione di marginalizzazione e precarietà. La scelta del lavoro autonomo è apparsa non una libera scelta professionale ma piuttosto una forma di impiego che possa concedere organizzazione ed orari più flessibili. In più le politiche di sostegno all’imprenditoria femminile hanno incontrato difficoltà nel raggiungere l’utenza femminile e nel far uscire le imprese interessate dai ristretti ambiti familiari.

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segregazione occupazionale femminile, questo potrebbe essere legato non solo alla concentrazione delle donne in alcuni settori o posizioni che offrono condizioni di lavoro peggiori rispetto ai settori o posizioni a dominanza maschile ma l’ingresso delle donne in questi ultimi potrebbe essere associata al declino del valore sociale di quei settori o posizioni, o alla concentrazione delle donne nelle posizioni meno prestigiose al loro interno.

Le già note criticità dunque erano principalmente la scarsità di risorse, la mancanza di analisi specifiche sui bisogni e sulle diversità – che comporta l’utilizzo di approcci non rispondenti alle esigenze della popolazione femminile e la difficoltà stessa di individuare la popolazione destinataria – le complessità procedurali, la carenza di azioni di orientamento e di azioni per la conciliazione, il mancato utilizzo di dati cognitivi disaggregati per genere e di metodi di monitoraggio, lo scarso coordinamento tra gli enti competenti.387

Ci interroghiamo sulla reale portata attuale del diritto della persona all’accesso al lavoro senza discriminazioni, che necessita dei rimedi adeguati a tutte le questioni che si pongono. Gran parte delle ragioni del basso livello di occupazione femminile è da ricollegarsi alle caratteristiche del mercato del lavoro; i modelli organizzativi adottati dalle imprese e la regolamentazione del mercato del lavoro tendono ancora a focalizzarsi sulla figura maschile, occupata a tempo pieno, per tutta la vita lavorativa, che non va in maternità, che non ha esigenze di conciliazione e responsabilità di cura. Se l’entrata nel mercato del lavoro per le giovani donne è già difficile, l’ostacolo diventa insuperabile per le donne nelle fasce centrali di età; infatti nel mercato del lavoro italiano è molto difficoltoso uscire

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temporaneamente dalla vita attiva per poi rientrarvi successivamente. In conclusione rimangono nel mercato del lavoro in condizioni di continuità lavorativa le donne più istruite, ed hanno anche accesso ai lavori meglio retribuiti e con maggiori tutele, potendo anche beneficiare di un’articolazione dell’orario di lavoro maggiormente flessibile; riescono in concreto ad ottenere l’indipendenza economica mediante il proprio lavoro. E’ vero che con l’innalzamento del livello di istruzione sono aumentate le aspettative per un più facile inserimento nel mercato del lavoro ed una migliore qualità dei lavori, seppur entrambe non sono state ancora realizzate in maniera soddisfacente. Una volta poi superato l’ostacolo dell’ingresso nei lavori sicuri si presenta comunque il problema della conciliazione lavoro-famiglia, rispetto al quale emergono un atteggiamento di chiusura delle imprese ed una scarsa capacità innovativa nell’organizzazione del lavoro e nella gestione degli orari.388

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