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2.1 Emissione di polveri (PM

10

, PM

2.5

)

La normativa vigente in materia di qualità dell’aria è rappresentata a livello nazionale dal D.lgs. 155 del 13/08/2010 – che adotta quanto riportato nella Direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa. Nel decreto vengono stabiliti i limiti di concentrazione, a lungo e a breve termine, a cui attenersi facendo riferimento agli standard di qualità e ai valori limite di protezione della salute umana, della vegetazione e degli ecosistemi.

Si riportano di seguito i limiti di concentrazione previsti dalla normativa per le PM10 anche con riferimento al Piano Regionale per la qualità dell’aria (Allegato 1 alla Delibera 288-2013). A tali limiti si è fatto riferimento per la valutazione dei risultati derivanti dal presente studio di dispersione di polveri.

Inquinante Periodo di

I limiti di emissione in atmosfera sono definiti invece dal dlgs 152/2006, allegato I parte II alla parte V e

Pur esistendo norme tecniche per la misura dell’odore, a oggi in Italia non vi è una disciplina metodologica specifica e mancano riferimenti normativi cogenti sui livelli di accettabilità degli odori e del disagio olfattivo.

La normativa italiana, infatti, non fa esplicito riferimento alle molestie olfattive e tratta il tema degli odori in un più ampio quadro di inquinamento ambientale; nella disciplina riguardante la qualità dell’aria e inquinamento atmosferico e nelle leggi sanitarie si possono individuare, infatti, alcuni criteri atti a disciplinare le attività produttive in modo da limitare le molestie olfattive.

In particolare, possono essere individuate:

1) norme relative ai criteri di localizzazione degli impianti ed aventi lo scopo di limitare le molestie olfattive sulla popolazione attraverso una serie di prescrizioni che fanno capo alle norme in materia di sanità pubblica come il R.D. 27 luglio 1934 n.1265, “Approvazione del Testo unico delle leggi sanitarie” Capo III, artt. 216 e 217 e successivi decreti di attuazione e in particolare il D.M. 5 settembre 1994. Il R.D. 27 luglio 1934 n.

1265, indica i criteri per la localizzazione di determinate tipologie di impianti, in modo da limitare, a livelli accettabili, eventuali molestie alla popolazione. Più specificamente il R.D. individua le lavorazioni insalubri, definite come le manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri o che possano riuscire pericolose per la salute degli abitanti indicandole in due tipologie di insediamenti:

a) le industrie insalubri di prima classe, che comprendono le installazioni che devono essere localizzate fuori dei centri abitati; si può, in deroga, ammettere la localizzazione nell’abitato qualora venga garantito che per l’applicazione di nuovi metodi o speciali cautele l’esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato;

b) le industrie insalubri di seconda classe, che comprendono le industrie o manifatture che esigono particolari cautele.

Gli allevamenti rientrano tra le industrie insalubri di prima classe.

2) norme in materia di inquinamento atmosferico e qualità dell’aria per specifici agenti inquinanti individuati nel d.lgs. 152/06, nonché norme in materia di prevenzione integrata dell’inquinamento (d.lgs. Governo n. 59 del 18/02/2005 - Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento) che determinano criteri generali per il contenimento delle emissioni di odori. Sebbene presente nei principi, l'alterazione delle normali condizioni di qualità dell'aria provocata da emissioni odorigene non ha avuto una specifica attenzione da parte del legislatore. Anche se la definizione di inquinamento include di fatto anche i composti odorigeni, tuttavia il d.lgs 152/2006 non prevede limiti, espressi in unità odorimetriche, alle emissioni di sostanze odorigene dagli impianti e metodologie o parametri per valutare la rilevanza del livello di molestia olfattiva da essi determinato, limitandosi a qualche

quinta dello stesso, tra le norme di gestione dei rifiuti e di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera, manca un esplicito riferimento ai composti odorigeni, trattando solo di sostanze rilevanti dal punto di vista tossicologico e definendo solo la necessità di limitare le emissioni odorose (ad es. in materia di rifiuti l’art. 177 del decreto prevede che la gestione degli stessi debba avvenire "senza causare inconvenienti da odori").

La recente entrata in vigore del D.Lgs. 183/2017 modifica il titolo I della parte V del dlgs 152/2006, e introduce la problematica dell’impatto odorigeno quale elemento di valutazione da parte dell’autorità competente. In particolare, con l’introduzione dell’art. 272-bis La normativa regionale o le autorizzazioni possono prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti di cui al titolo I della parte V del dlgs 152/2006.

3) Linee guida regionali e/o direttive tecniche, seguite dall’autorità competente in fase di rilascio delle autorizzazioni. L’unica regione italiana ad aver affrontato la problematica della valutazione dell’impatto odorigeno è la Lombardia con l’emanazione del DGR IX/3018 del 15/02/2012 (Determinazioni generali in merito alla caratterizzazione delle emissioni gassose in atmosfera derivanti da attività a forte impatto odorigeno, BURL Serie Ordinaria Lunedì 20 febbraio 2012). Le Linee guida (LG) della Regione Lombardia si applicano a:

• tutte le attività esistenti che, durante il loro esercizio, danno luogo ad emissioni odorigene;

• tutte le attività che sono soggette ad autorizzazione integrata ambientale (D.Lgs 152/06 e s.m.i. parte seconda) oppure ad autorizzazione alla gestione dei rifiuti (D.Lgs 152/06 parte quarta);

• tutte le attività sottoposte a valutazione d'impatto ambientale o a verifica di assoggettabilità da cui possono derivare emissioni odorigene.

La valutazione dell’impatto olfattivo si deve basare sulla classificazione del territorio, l’orografia e la meteorologia, utilizzando procedure e modelli definiti nell’Allegato 1 delle L.G. e valutando l’entità dell’eventuale molestia olfattiva nel raggio di 3 km dall’impianto.

In base alle linee guida il progettista deve redigere mappe di impatto in cui devono essere riportati i valori di concentrazione orarie di picco di odore al 98° percentile su base annuale a 1, 3 e 5 ouE/m3. Si tenga presente che al livello di 1 ouE/m3 il 50% della popolazione percepisce l’odore; a 3 ouE/m3 l’85% della popolazione percepisce l’odore; a 5 OU/m3 il 95% della popolazione percepisce l’odore.

La concentrazione di odore al 98° percentile è il valore percepito per il 2% delle ore in un anno (pari a 175 ore). Ad esempio, se presso un dato recettore il 98° percentile delle concentrazioni orarie è di 3 OUE/m3, significa che la concentrazione di picco di odore presso quel recettore è inferiore a 3 OUE/m3 per il 98% delle ore nell’anno considerato.

Nessun atto normativo o linea guida indicano, tuttavia, un valore limite di accettabilità in termini di concentrazione odorigena; tale limite dipende, infatti, anche dal tono edonico della fonte odorigena.

In mancanza di una specifica legislazione, si assumerà come riferimento metodologico per il presente studio il succitato DGR n.IX/3018 del 15/02/2012, anche se non specifico per gli insediamenti zootecnici.

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