• Non ci sono risultati.

Il quadro normativo di riferimento

La redazione di un Bilancio di genere presuppone anche la ricostruzione, sia pure sinteticamente, della cornice normativa ad esso sottesa e, più in generale, in tema di pari opportunità nelle Pubbliche amministrazioni e, dunque, nell’Università, riconducibile a strumenti diversi (leggi, circolari e altre fonti). Occorre partire dalla “Direttiva sulle misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche del 27 maggio 2007” (cd. Pollastrini-Nicolais), emanata dal Dipartimento della funzione pubblica, avente l’obiettivo, fra gli altri, di aumentare la presenza delle donne nelle posizioni dirigenziali e di «promuovere analisi di bilancio che mettano in evidenza quanta parte e quali voci del bilancio di un’amministrazione siano (in modo diretto o indiretto) indirizzate alle donne, quanta parte agli uomini e quanta parte ad entrambi. Questo anche al fine di poter allocare le risorse sui servizi in funzione delle diverse esigenze delle donne e degli uomini nel territorio di riferimento».

Importante anche la previsione, da parte del Codice delle pari opportunità (l. 11 aprile 2006, n. 198), dell’obbligo per le pubbliche amministrazioni di redigere Piani di Azioni Positive (PAP) triennali al fine di assicurare «la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari opportunità di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne» (art. 48). In base a questa indicazione, le amministrazioni devono orientare le politiche di gestione delle risorse umane e l’organizzazione del lavoro - sia a livello centrale che a livello decentrato - secondo linee di azione a favore della parità di genere.

Il PAP è, dunque, un documento programmatico che aiuta l’amministrazione ad auto-valutarsi – tramite la lettura dell’organizzazione in prospettiva di genere - e a diffondere la cultura delle pari opportunità grazie alla realizzazione di iniziative specifiche al contesto di riferimento. Il PAP è, infatti, destinato principalmente ai vertici delle amministrazioni e, in particolare, ai responsabili del personale che devono orientare le politiche di gestione delle risorse umane e l’organizzazione del lavoro, secondo le linee di azione fissate.

In caso di mancata attuazione del piano, la sanzione prevista è l’impossibilità di assumere nuovo personale, compreso quello appartenente alle categorie protette, come stabilito all’art. 6, co. 6, del d.lgs. n. 165/2001. Il legislatore ha anche accompagnato l’adozione delle norme in materia di parità (già a partire dagli anni ’90) con la previsione di organismi ad hoc, sia a livello centrale sia a livello di singola amministrazione. A livello decentrato, l’art. 21, l. 4 novembre 2010, n. 183 (cd. Collegato al lavoro), novellando l’art. 57, d.lgs. n. 165/2001, ha previsto la costituzione (presso le Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 2, d.lgs. n. 165/2001), del “Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni” (CUG) che sostituisce, unificandoli, i Comitati per le Pari Opportunità (CPO) e i Comitati Paritetici sul fenomeno del mobbing, il tutto espressamente «senza nuovi oneri per la finanza pubblica». Il CUG deve essere formato da un determinato numero di componenti designati da ciascuna delle organizzazioni sindacali rappresentative e da un pari numero di rappresentanti dell’amministrazione (dirigenti e non), assicurando la presenza paritaria di entrambi i generi. Ha poteri propositivi, consultivi e di verifica ed entro il 30 marzo di ogni anno deve redigere e trasmettere una relazione dettagliata, riferita all’anno precedente, ai vertici politici e amministrativi dell’ente di appartenenza. La mancata costituzione del CUG comporta la responsabilità dei dirigenti incaricati della gestione del personale, da valutare anche al fine del raggiungimento degli obiettivi. Le linee guida per il funzionamento del nuovo Comitato sono state tracciate da una direttiva ministeriale a firma congiunta dei ministri per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e per le Pari Opportunità del 4 aprile 2011.

In tali Linee guida, il Bilancio di genere è chiamato in causa laddove sono indicati i compiti “propositivi” del CUG. Un cenno va fatto anche al più recente sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa dell’amministrazione (introdotto dalla cd. Riforma Brunetta) che deve tenere conto, tra l’altro, anche del

«raggiungimento degli obiettivi di promozione delle pari opportunità» (art. 8, lett. h, d.lgs. n. 150/2009).

Il d.lgs. n. 150 ha previsto l’istituzione di una Commissione Indipendente per la Valutazione e l’Integrità delle Amministrazioni Pubbliche (oggi Anac) che ha predisposto linee guida per la valutazione della performance individuale dei dipendenti, con l’obiettivo futuro di pervenire a meccanismi di valutazione anche in un’ottica di genere, finalizzati alla valorizzazione del lavoro femminile: ai sensi dell’art. 14, co. 5, lett. e, d.lgs. n. 150/2009, l’ex Civit «favorisce la cultura delle pari opportunità con relativi criteri e prassi applicative». Nell’ambito di ciascuna amministrazione pubblica è stato istituito un Organismo Indipendente di Valutazione (OIV, coincidente, nelle Università, con il Nucleo di valutazione, quale organo tecnico istituzionale interno all’Ateneo, ex art. 2, l. n. 240/2010, con funzioni di verifica e valutazione, nonché funzioni propositive e consultive nei confronti degli organi di governo) avente, tra gli altri, il compito di verificare «i risultati e le buone pratiche di promozione delle pari opportunità» (art. 14, lett. h, d.lgs. n. 150/2009).

Non solo. L’art. 10, d.lgs. n. 150/2009, dispone anche che «al fine di assicurare la qualità, comprensibilità ed attendibilità dei documenti di rappresentazione della performance, le amministrazioni pubbliche […] redigono annualmente: […] b) un documento, da adottare entro il 30 giugno, denominato «Relazione sulla performance» che evidenzia, a consuntivo, con riferimento all’anno precedente, i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti, e il bilancio di genere realizzato».

Con specifico riferimento alla realtà universitaria, occorre specificare che già il risalente Ccnl del personale tecnico amministrativo del 1987 (D.P.R. 28 settembre 1987, n. 567), all’art. 17, contemplava la necessità di definire “specifici interventi che si concretizzassero in vere e proprie ‘azioni positive’ a favore delle lavoratrici”. Nello stesso articolo si prevedeva l’istituzione, con la presenza delle organizzazioni sindacali, di CPO. A distanza di qualche anno (prima con il D.P.R. 3 agosto 1990, n. 319 (art. 6), e poi con il Ccnl (art. 10) del Comparto Università per il quadriennio 1994-1997 (parte normativa), siglato il 18 novembre 1996), si ribadiva la necessità, laddove non si fosse provveduto, di insediare tali Comitati entro termini tassativi e di fornire ai medesimi strumenti idonei al loro funzionamento. Inoltre, si introduceva il criterio dell’elettività delle rappresentanze del personale in seno ai Comitati, in sostituzione della nomina rettorale su designazione delle Organizzazioni sindacali. Tali disposizioni sono state riprese nei successivi Ccnl (art. 14 del Comparto Università per il quadriennio 1998-2001, del 9 agosto 2000, e per il quadriennio 2006-2009), ancora vigenti. Da ultimo è intervenuta la l. 30 dicembre 2010, n. 210 (c.d.

Riforma Gelmini) in materia di “Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché' delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario”, emanata in concomitanza all’entrata in vigore della legge sui CUG.

Documenti correlati