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Quali fattori rendono complesso lo sviluppo delle abilità legate allo

Nel documento 14 I Quaderni della Ricerca (pagine 126-129)

11. I principali problemi dell’italiano L2 dello studio 125

11.2. Quali fattori rendono complesso lo sviluppo delle abilità legate allo

Le difficoltà connesse con lo sviluppo dell’Italstudio sono da ricercare in diversi fattori che cercheremo qui di presentare sinteticamente.

11.2.1. La complessità della “lingua dello studio”

La lingua dello studio è una lingua astratta, decontestualizzata, che si riferisce a fatti lontani nello spazio e nel tempo, e che presenta molti impliciti e molte conno-tazioni culturali; è una lingua complessa dal punto di vista contenutistico, gram-maticale, semantico (rimanda a una gamma di significati che dipendono dal con-testo, usa un lessico che presenta accezioni differenti rispetto all’uso comune).

Infine, contrariamente alla lingua della comunicazione, è una lingua alla quale non si viene esposti in contesti non controllati; l’esposizione è infatti con-finata all’ambiente scolastico, dunque la quantità di input si riduce drastica-mente e, di conseguenza, sono assai meno frequenti le occasioni di ascolto, pro-duzione e sistematizzazione di lessico e strutture (cfr. Luise, 2003, p. 112). 11.2.2. La complessità delle abilità linguistico-cognitive

necessarie allo studio disciplinare

Le abilità e le competenze di cui deve appropriarsi il discente sono molte e inte-grate.

Allo studente, ad esempio, si domanda contemporaneamente di compren-dere testi complessi o spiegazioni verbali, rielaborarli, astrarre, mettere in re-lazione reciproca informazioni, inferire impliciti, rintracciare informazioni in parti diverse del testo, prendere appunti, rielaborare e studiare per poi esporre, esprimere giudizi critici, motivare scelte. Vengono inoltre richieste un’accura-tezza linguistica nell’esposizione orale o nella rielaborazione scritta, un’appro-priatezza lessicale e nell’uso dei termini microlinguistici e una precisione nella gerarchizzazione dei contenuti o dei concetti espressi. Inoltre si invitano gli stu-denti ad articolare un ragionamento secondo un modello culturale, utilizzare metalinguaggi, comprendere e utilizzare con appropriatezza termini con acce-zioni differenti (ad es. “capitale”), comprendere e produrre differenti tipi di testi, stabilire relazioni logiche (ad es. causa/effetto).

11.2.3. La complessità dei testi disciplinari

I testi scolastici possono in un certo senso essere definiti ibridi, in quanto riuni-scono caratteristiche proprie dei testi microlinguistici con quelle dei testi divul-gativi (per approfondimenti cfr. D’Annunzio, Luise, 2008).

Con i testi microlinguistici, infatti, condividono il ricorso a quella varietà di lingua detta “microlingua”. Si tratta di una lingua specifica dei settori scienti-fici e/o professionali che si caratterizza per la capacità di essere il meno ambigua possibile nei significati e ha la funzione di permettere a chi la usa e la comprende di riconoscersi e di essere riconosciuto come membro di una comunità scienti-fica o professionale (Balboni, 2000, p. 9).

Il lessico è la dimensione più riconoscibile in una microlingua. I termini microlinguistici, in un determinato contesto, assumono un solo possibile si-gnificato. Sintassi, dimensione testuale, culturale ed extralinguistica sono estremamente conservative e seguono regole rigide, peculiari di ogni singola microlingua.

Allo stesso tempo, gli adozionali scolastici sono anche testi divulgativi. Essi, infatti, non si rivolgono a un pubblico di specialisti, ma sono concepiti per veico-lare ed esporre nozioni tecnico-scientifiche a lettori non esperti che sono anche soggetti in formazione (bambini o ragazzi). I testi divulgativi utilizzano a tal scopo una serie di strategie di semplificazione per favorire l’accesso a lettori im-maturi. Questa complessa ibridazione tra microlingua e testi divulgativi non sempre tuttavia produce materiali efficaci e adatti a rispondere ai bisogni dei let-tori, soprattutto quando questi sono studenti non italofoni.

Infine, i testi scolastici sono didattici e questa loro natura prevede che il testo scritto, utile a introdurre e sviluppare concetti e informazioni, sia corredato da

attività, approfondimenti, immagini, tabelle, riferimenti, glossari. La densità in-formativa di questi libri è quindi molto elevata sia a livello di percezione visiva sia dal punto di vista cognitivo e linguistico. Per molti studenti stranieri e anche per quelli che hanno già sviluppato una competenza in Italbase, essi costitui-scono un ostacolo insormontabile se non vengono forniti mezzi e strategie utili a superarlo. Il problema, lo ripetiamo, è che le calp si danno spesso per scon-tate nel momento in cui lo studente abbia raggiunto un buon livello nella lingua della comunicazione. Tuttavia esse non possono essere acquisite in tempi brevi dagli studenti migranti, né in assenza di azioni di facilitazione consapevoli e intenzionali messe in atto dall’intero collegio docenti. L’insegnamento di ogni disciplina, comprese quelle tecnico-scientifiche, è veicolato in lingua italiana e dunque ogni insegnante, a prescindere dalla propria disciplina, di fronte alla presenza di discenti migranti è chiamato a mettere in atto azioni di facilitazione linguistica.

11.2.4. L’inadeguatezza della lezione frontale ed esclusivamente verbale

Le lezioni frontali, assai diffuse nella nostra scuola, sono quasi sempre troppo difficili per l’allievo migrante, che ha conoscenze linguistiche molto ridotte e che proviene da una cultura scolastica diversa.

Egli afferra il significato di pochi termini e di pochi concetti e non riesce quindi a mettere in moto autonomamente i meccanismi strategici utili ad avan-zare ipotesi o a costruire inferenze che possono aiutarlo nel recuperare lo svi-luppo preciso del discorso e la corretta gerarchizzazione e interrelazione tra i concetti presentati dall’insegnante.

Lo studente, anche nel caso in cui riesca con grande impegno e fatica a co-gliere il senso generale, non avrà poi la possibilità di rielaborare le informazioni, di riformularle, proprio in virtù di questa mancanza di comprensione profonda e analitica. È ovvio, pertanto, il rallentamento nel processo di apprendimento ed è molto probabile l’innesco di un circolo vizioso di insuccessi.

Come sottolinea Gabriele Pallotti (2000, p. 160):

La mancanza di quantità significative di input comprensibile pregiudica l’acquisizione della seconda lingua. […] Se l’input linguistico non è comprensibile, l’apprendente non potrà compiere su di esso le operazioni di analisi, confronto, memorizzazione, formazione di ipo-tesi che servono per la ristrutturazione dell’interlingua e favoriscono il progresso verso le strutture della lingua d’arrivo. […] Questa non comprensione e la conseguente esclusione dalla maggior parte delle attività di classe comporta perdita di motivazione e di autostima, senso di frustrazione e isolamento; lo studente straniero si sente tagliato fuori dalla maggior parte delle attività, capisce che difficilmente riuscirà a recuperare il suo svantaggio e può assumere di conseguenza atteggiamenti di rifiuto, chiusura, aggressività.

Il legame tra la dimensione linguistica e quella psicologica è palese. Si corrono gravi rischi se non si elabora un progetto condiviso di vera e propria educazione linguistica (cfr. Balboni, 1994, pp. 29-36).

Scrive ancora Pallotti (2000, pp. 159-160) a proposito del rapporto tra com-prensione e apprendimento linguistico:

In effetti la maggior parte dei testi scritti per gli studenti […] è già assai difficile per i madre-lingua: per uno straniero che conosce poche centinaia di parole, questi testi rappresentano dei veri e propri “muri” linguistici. Lo stesso può dirsi delle lezioni orali, specie se di tipo fron-tale tradizionale: il monologo dell’insegnante contiene talmente tante parole sconosciute o costruzioni sintattiche complesse che dopo un po’ l’allievo si stanca di tendere l’orecchio alla disperata ricerca di unità linguistiche familiari, e ricade nell’apatia.

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