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Quando riesce la mediazione

Nel documento Giustizia ristorativa e mediazione penale (pagine 123-127)

Capitolo II: Gli effetti

3. Quando riesce la mediazione

Occorre a questo punto riflettere su quali sono i fattori che influiscono sulla buona riuscita della mediazione, ricapitolando anche alcuni punti espressi in precedenza ma che qui sono funzionali a determinare con chiarezza quali siano gli elementi necessari sotto questa differente prospettiva.

Abbiamo già esaminato precedentemente il requisito del consenso quale precondizione per il ricorso alla mediazione. Questo rappresenta, come si potrà facilmente capire, anche uno degli elementi fondamentali per la buona riuscita della pratica. Infatti, se le parti non sono messe nella condizione di fare effettivamente un percorso interiore, perché non lo vogliono, qualsiasi sia il motivo che le spinge, non si può pensare che abbiano il necessario stimolo e atteggiamento costruttivo per cambiare la situazione di partenza e modificare di conseguenza la relazione che li lega.

Il consenso spontaneo alle pratiche mediatorie è determinante anche sotto un altro profilo, ossia quello di costituire il presupposto perché vi sia la comune visione di entrambe le parti circa l’esistenza del reato e delle modalità in cui esso si è svolto. Abbiamo esaminato anche quest'ultimo elemento in precedenza, ma anche in questo ambito è fondamentale sottolinearne l’ulteriore importanza in relazione ad altri profili. Nonostante la confessione non sia un prerequisito per l’inizio della mediazione, ovviamente, si potrà facilmente ipotizzare una maggiore disponibilità al dialogo ed eventualmente una probabile maggiore speditezza nelle procedure, almeno quelle iniziali di contatto preliminare, se il reo abbia volontariamente confessato il reato. Diversamente, la comune visione sulle modalità di svolgimento del crimine, e, dapprima, sull’esistenza dello stesso, rappresentano non solo una condizione imprescindibile per il buon successo della pratica, ma anche le fondamenta sulla cui base costruire un nuovo percorso. Come abbiamo già sottolineato, infatti, la mediazione è

saldamente ancorata nel presente, mentre il reato è parte del passato e non può in alcun modo essere oggetto della discussione223.

Altro elemento che influisce sulla buona riuscita della procedura è dato dalla corretta preparazione dell’incontro in una fase precedente ad esso, ossia quando il mediatore provvede a contattare le parti singolarmente. Questo è un momento molto delicato al quale va prestata estrema attenzione. Infatti, inizialmente, è probabile che le parti siano scettiche o non siano propense ad esperire la mediazione. É compito del mediatore, di conseguenza, istruirle e spiegare compiutamente in cosa consiste la pratica per capire quali siano i problemi che affliggono la persona e tentare di estrapolare gli stati d’animo più remoti e nascosti che spesso rappresentano la chiave di volta per la soluzione dell’empasse. Questo è un momento molto delicato che il mediatore è in grado di gestire al meglio solo se ha sufficiente esperienza e capacità di analisi e necessariamente anche un grande tatto. Un ulteriore elemento è quello di non lasciare emergere alcuna forma di giudizio, ma neanche di risultati psicoanalitici: il mediatore non deve lasciare trasparire alcun sentimento, né emozione, né soprattutto devono emergere le sue idee o le sue convinzioni. In particolare, «egli deve

essere in grado - per formazione, competenza e sensibilità personale - di gestire l’insieme di emozioni che gli incontri possono destare, implicando ciò dover trovare una legittimazione (che non esprima parzialità di giudizio) per sentimenti negativi quali la vendetta, la rabbia, la rivalsa»224.

Infatti, abbiamo visto come il ruolo del mediatore sia quello di una “spugna di gomma” in grado di assorbire, rilanciare e rimbalzare; egli deve essere in grado di percepire le emozioni prima che i diretti interessati stessi le conoscano, agire in quella direzione perché queste emergano, ed, alla fine, aiutare le parti a capire e gestire i sentimenti che sono emersi. Risulta evidente come un ruolo fondamentale per la buona riuscita dell’incontro, sia

223 MAZZUCATO C., in PICOTTI L., SPANGHER G. (a cura di), Verso una giustizia

penale conciliativa. Il volto delineato dalla legge sulla competenza penale del giudice di pace: Atti del convegno (Trento, 25-26 maggio 2001), Giuffrè, 2002.

224 VEZZADINI S., La vittima di reato tra negazione e riconoscimento, CLUEB, 2007, cit.

svolto dalla figura del mediatore. Egli costituisce il jolly dell’intera procedura, la regina di cuori o il re in una partita a scacchi, l’elemento fondamentale e determinante per la buona riuscita della pratica. Il mediatore agisce quasi come un fantasma, nel senso che agli occhi delle parti, deve rimanere assolutamente passivo e non lasciare trasparire niente, ma nei fatti agisce, seppur in modo nascosto e quasi invisibile, imboccando le parti nella direzione opportuna. La virtù del mediatore è quella di condividere, di stare nel mezzo, di sporcarsi le mani, e dunque non deve essere imparziale. Le Raccomandazioni che impongono l’imparzialità del mediatore lo confondono con il giudice, ma senza però che costui abbia i suoi poteri e le sue prerogative. Il mediatore deve stare tra le parti ed essere in mezzo a loro, non trovare uno spazio neutro ed equidistante. «Il giudice è nec utrum,

né l’uno né l’altro, né questo, né quello, è neutro. Il mediatore deve essere questo e quello, deve perdere la neutralità e perderla fino in fondo, solo così si neutralizza la sua identità rispetto al giudice e si realizza come identità differente rispetto alle parti. Mentre le parti litigano e non vedono il loro punto di vista, il mediatore può vedere le differenze comuni ai contendenti e ripartire da qui operando perché le parti riprendano la comunicazione»225. Egli è il munus è comune ad entrambe. Solo grazie a questa sua intrinseca parzialità, il mediatore può trovare rimedio al conflitto.

Le competenze del mediatore, dunque, sono tale e tali che è opportuno vengano istituiti degli appositi Centri permanenti di formazione per i mediatori. Sarebbe infatti auspicabile che i mediatori seguissero periodici corsi professionali di aggiornamento che permettessero loro di raggiungere con costanza tutte le abilità necessarie. Il mediatore, infatti, dovrebbe avere un quantitativo di abilità e competenze molto disparato.

Non concordiamo con chi propende per la scelta di mediatori volontari provenienti da qualsiasi branca del sapere226 perché riteniamo che i mediatori, stante la delicatezza del ruolo che gli stessi devono svolgere, dovrebbero possedere un sapere specifico ed in continuo aggiornamento. Inoltre, uno dei problemi maggiori che vengono riferiti227 riguarda il fatto che i mediatori volontari non abbiano una disponibilità, in termini di risorse e di tempo, sufficienti per realizzare un progetto continuativo e lavorare efficacemente con le persone coinvolte nei percorsi mediatori.

Dalle indagini effettuate all’estero228, emerge che talvolta la mediazione si conclude efficacemente nel corso di mesi, dopo un lavoro svolto dapprima con le parti singolarmente considerate e poi, successivamente, con la vittima ed il reo insieme.

Perché questo percorso possa efficacemente concludersi, è necessario un investimento in termini di energia e soprattutto una continuità non indifferenti. Se il mediatore è un volontario che svolge quest’attività solo saltuariamente, affiancandola a quella che è la occupazione principale, tale cammino non potrà mai realizzarsi completamente, né efficacemente concludersi.

Per avere maggiore incentivo e stimolo nello svolgimento del loro lavoro, a mia opinione, i mediatori dovrebbero essere appositamente professionalizzati ed adeguatamente remunerati. Le Linee Guida esistenti in ambito internazionale229, prescrivono che le prestazioni debbano essere gratuite dal che se ne deduce che i mediatori non possono essere stipendiati mediante contributi degli assistiti, ovviamente per evitare che chi non ha i mezzi di sostentamento necessari per vivere, non possa nemmeno accedere

226 Tra gli altri, cfr. SCARDACCIONE G., Integrazione tra mediazione sociale e mediazione

penale: ruolo del mediatore e dei servizi dell'amministrazione della giustizia, in

"Minorigiustizia", n. 3-4, 2001, pp. 129 e ss.

227 MESTIZ A., a cura di, Mediazione penale: chi, dove, come e quando, Roma, Carocci,

2004.

228 SHERMAN L. W., STRANG H., Restorative justice: the evidence, published on the

Jerry Center of Criminology, University of Pennsylvania, 2007; CROSLAND P., LIEBMANN M., 40 cases. Restorative justice and victim—offender mediation, Mediation UK, October 2003.

alle pratiche di mediazione. Tuttavia, non esiste alcuna prescrizione che imponga ai mediatori di essere dei puri e semplici volontari. É imposto, tuttavia, che le retribuzioni non provengano dai privati, ma nessun ostacolo sussiste ad un finanziamento pubblico, statale o regionale che sia.

Dalla previsione di possibili stipendi per i mediatori, ne discenderebbe l’istituzione di una vera e propria figura professionale, che esiste già in altri ambiti, e permetterebbe la realizzazione delle esigenze sopra menzionate della necessità di preparazione professionale e di continuità nella elargizione delle prestazioni. Realizzati questi obbiettivi, si potrà anche raggiungere l’ulteriore possibilità ottenere una maggiore diffusione delle pratiche ristorative.

Questi i principali fattori che contribuiscono alla riuscita della mediazione e sui quali occorre porre l’attenzione per ottenere l’obbiettivo di implementare la diffusione di queste pratiche.

Nel documento Giustizia ristorativa e mediazione penale (pagine 123-127)

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