4.1 Eichmann ed Eatherly.
Prenderemo ora in considerazione, come già detto in precedenza, due figure del XXI secolo, di fondamentale importanza nel pensiero di Günther Anders. Stiamo parlando di Klaus Eichmann, figlio dell’ufficiale nazista Adolf Eichmann, e del pilota Claude Eatherly, un soldato americano attivamente presente sull’aereo Enola Gay, il bombardiere da cui venne sganciata la prima bomba atomica della storia dell’uomo, quella di Hiroshima.
Anders ha avuto rapporti epistolari con entrambi: quello con Claude Eatherly è particolarmente copioso, ed è un rapporto duraturo e sincero; le lettere inviate al figlio dell’ufficiale tedesco sono rimaste, invece, senza alcuna risposta. Prima di presentare il contenuto di questi epistolari, però, vogliamo esporre il motivo per cui Anders ha avuto necessità, nella sua opera filosofica, di confrontarsi con due persone realmente esistenti. Oltre al leitmotiv dell’attaccamento alla “vita vera” presente in tutta la produzione di Anders, il pensatore tedesco, soprattutto durante le conversazioni con Eatherly, impiega e spiega più volte i concetti della propria filosofia: la vergogna e il dislivello prometeici, ossia i nuovi limiti umani emersi durante la critica dell’era della tecnica condotta dal filosofo; critica della tecnica che, allo stesso modo, percorre tutte le tematiche che si trovano in queste lettere (in particolar modo, visto che lì Anders è l’unico interlocutore ed ha quindi più spazio, in quelle rivolte ad Eichmann). Questo è l’intento di Anders: mostrare che le sue “esagerazioni” e la sua “filosofia occasionale” sono realistiche; verificare ed esporre il fatto che le conseguenze per l’umanità dell’era tecnica sono già in atto. Egli si rivolge a due persone realmente esistenti per applicare praticamente il proprio pensiero. Oltretutto, secondo Anders “ogni cittadino del mondo della tecnica è metaforicamente un figlio di Eichmann e di Eatherly”271: essi rappresentano due modelli
ideali che, però, fanno parte del mondo reale e che rischiano ogni giorno di riproporsi. Storie come quelle di questi uomini devono allora essere il pane della filosofia, per
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“risvegliare l’umanità dormiente, ipnotizzata e anestetizzata dalla potenza annichilente del reale”272.
Purtroppo Eichmann ed Eatherly non sono due modelli positivi (nel caso di Eatherly, però, la situazione è più complessa, e la vedremo fra poco). Infatti, appena esporremo le loro storie, sarà facile intuire perché gli “stilemi” andersiani sono così attinenti alle loro figure.
Ciò che si è rivelato impossibile è stato, sia nel caso di Eichmann sia in quello di Eatherly (il pilota della bomba atomica su Hiroshima), un percorso di “immedesimazione”, un “processo d’identificazione” negli atti che essi stavano compiendo nel momento in cui se ne rendevano responsabili. […] Questa strutturale carenza di immaginazione, e dunque della capacità d’immedesimazione empatica da una parte e d’identificazione con le proprie dall’altra, rappresenta un immenso problema epistemologico e cognitivo le cui ricadute però sono di ordine fondamentalmente etico273.
Questa è la conseguenza più drastica del dislivello: lo scarto fra ciò che possiamo fare e ciò che possiamo immaginare e sentire si è fatto talmente grande che, non solo non siamo scandalosamente in grado di prevedere le conseguenze delle nostre azioni, ma esse sono diventate di una portata talmente vasta che il problema non è più di ordine epistemologico, della conoscenza umana, ma etico: possiamo produrre mali finora inconcepibili; ma se nessuno li può concepire, chi ne è responsabile?
È in questo momento che irrompe il “caso Eatherly”. Egli, infatti, dopo aver dato il via allo sgancio della bomba su Hiroshima, dopo aver preso parte all’evento che ha praticamente dato fine alla Seconda guerra mondiale, dopo essere stato decorato dal proprio paese, crolla nella maniera più totale. Claude Eatherly, dopo il 1945, cade in una grave depressione, tentando più volte il suicidio. Mentre i suoi compagni vengono acclamati come eroi, egli abbandona ogni forma di vita sociale. Addirittura arriva a compiere dei piccoli crimini (furtarelli, violazioni di domicilio, falsificazione di un assegno, tra l’altro, per una cifra irrisoria), evidentemente, dedurrà Anders a posteriori274,
272 Ibidem.
273 F. R. Recchia Luciani, Maxima moralia. L’antropologi liminale di G. Anders per l’etica contemporanea
dopo Auschwitz e Hiroshima, in AAVV, Obsolescenza dell’umano. G. Anders e il contemporaneo, op. cit.,
p. 116.
274 G. Anders, L’ultima vittima di Hiroshima. Il carteggio con Claude Eatherly, il pilota della bomba
atomica, op. cit., p. 115: “Tutti i suoi atti parzialmente ‘insensati’ e ‘criminali’ sono il risultato di questa
frustrazione, della vanità dei suoi sforzi: egli ricorse ad azioni che sono (almeno) riconosciute come criminali per dimostrare al suo prossimo che non era innocente come lo giudicavano. Mentre gli uomini, in
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per ottenere la punizione che sente di meritare. Insomma, l’esistenza del maggiore Claude Eatherly viene spezzata drasticamente dallo sgancio dell’atomica.
Anders si imbatte nel suo caso nel 1959, mentre risiede già da nove anni in Europa, a Vienna. Il filosofo vede subito nella persona di Eatherly un simbolo dei nostri tempi: egli è stato vittima del dislivello prometeico nella cecità del suo fare, cioè quando ha partecipato, con evidente superficialità, all’olocausto atomico. “Con evidente superficialità” perché, anche se Eatherly fosse stato ben a conoscenza di quello che stava per compiere, secondo Anders, non avrebbe comunque potuto concepire il futuro a lui prossimo. Come abbiamo già ricordato, per Anders la bomba atomica (e la tecnica in generale) spezza l’unità concettuale mezzo-fine, rendendola antiquata. La bomba e ciò che è capace di produrre è “troppo” per qualsiasi uomo, rappresenta uno stimolo “sovraliminale”: sia per i giapponesi, muti di fronte al ricordo dell’evento, che per Eatherly stesso, completamente annichilito dopo “essersi reso conto” di ciò di cui si rese partecipe.
Ormai, però, ciò che è stato è stato, e dunque, per Anders, l’unico modo in cui Eatherly può tentare una forma di riscatto è ricoprendo la “funzione di un precursore”275.
Egli infatti dimostra come “si possa diventare ‘incolpevolmente colpevoli’, in un modo che era ancora ignoto al mondo tecnicamente avanzato dei nostri padri”276. Questo essere inseriti “come le rotelle di una macchina” in processi “di cui non prevediamo gli effetti” fa sì che non possiamo “approvare” quegli effetti, non siamo in grado di comprenderli; modificando radicalmente “la situazione morale di tutti noi”277. Siamo immersi in una
condizione in cui non sappiamo cosa possiamo provocare. Come si fa ad agire senza avere la possibilità di sapere se il proprio comportamento sia morale o meno? Eatherly è precisamente un uomo in questa condizione: un uomo condannato a una colpa che non riesce nemmeno a far sua per quanto è sproporzionata rispetto all’azione da cui deriva.
[…] nel corso dell’epoca tecnica, il rapporto tradizionale tra fantasia e azione si è rovesciato. […] Oggi i poteri della nostra fantasia (e i limiti della nostra sensibilità e della nostra responsabilità) sono inferiori a quelli della nostra prassi; per cui si può dire che oggi la nostra fantasia non è all’altezza degli effetti che possiamo produrre. Non è solo la nostra ragione ad essere kantianamente limitata e finita, ma anche la nostra immaginazione – e a maggior ragione – la
generale, sono colpevoli in seguito alle azioni commesse, egli commise quelle azioni per dimostrare la propria colpevolezza”.
275 Ivi, p. 25. 276 Ibidem. 277 Ibidem.
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nostra sensibilità. Possiamo pentirci, tutt’al più, dell’uccisione di un uomo: è tutto ciò che si può chiedere alla nostra sensibilità; possiamo rappresentarci, tutt’al più, l’uccisione di dieci uomini; è tutto ciò che si può chiedere alla nostra immaginazione; ma ammazzare centomila persone non presenta più alcuna difficoltà. E ciò non solo per ragioni tecniche; e non solo perché l’azione si è ridotta a semplice collaborazione e partecipazione, a un “azionare” che rende invisibile l’effetto, ma anche e proprio per una ragione di ordine morale [corsivo nostro]: e cioè perché la strage in massa trascende di gran lunga la sfera di quelle azioni che siamo in grado di rappresentarci concretamente e a cui possiamo reagire sentimentalmente; e la cui esecuzione potrebbe essere inibita dall’immaginazione o dai sentimenti278.
Ecco quello che accade a causa delle nostre immense capacità tecniche: il dislivello prometeico, questa discrepanza fra agire e immaginare/sentire, provoca il blocco delle nostre capacità morali. Non potendo immaginare gli effetti degli attrezzi tecnici, come lo sterminio di centinaia di migliaia di uomini in pochi secondi, non siamo in grado di giudicare a priori un’azione. Dunque, essenzialmente, se compierla o meno. Eatherly è un simbolo per questo: è la rappresentazione perfetta dell’uomo vittima della condizione tecnica odierna.
Non pensiamo, troppo banalmente, che il dislivello prometeico sia preponderante solo in situazioni come quella della guerra atomica. Questa incapacità di presentire e premeditare l’effetto dalle nostre azioni, oggi, per noi abitanti della realtà virtuale, è sempre presente. Anzi, nemmeno l’utente più preparato e consapevole, è al sicuro da questa condizione. Non si tratta, purtroppo, di una questione di conoscenze tecniche. Nessuno può sapere dove o quando finiranno le proprie “gesta online”.
Le lettere che Eatherly scrive in risposta ad Anders contengono un inaspettato entusiasmo: il maggiore, infatti, si sente capito da Anders, forse per la prima volta. Questo a causa del fatto che, invece, quella società verso cui sentiva di avere un grosso debito, non lo capì mai. Eatherly infatti risponde ad Anders dalle stanze dei molti ospedali militari in cui lo internarono. I suoi comportamenti ambigui e i crimini che commise furono sufficienti per indurre molti a pensare che Eatherly fosse diventato pazzo. Egli, anzi, spesso poteva rispondere ad Anders solo quando gli veniva concesso dai medici. Anders, invece, parlava con lui come si fa con un amico, spingendolo a scrivere anche un’autobiografia, perché la sua storia “doveva venir narrata”. Eatherly non porterà mai a compimento questo proposito, vedendosi, nel mentre, respingere le molte richieste di
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poter tornare a vivere in libertà. Ecco alcune parole che Anders rivolge al giudice che seguiva il caso Eatherly:
Va da sé che non posso garantire personalmente per Claude, una volta che avrà ripreso la propria vita nelle sue mani. Credo di poter affermare, però, che la sua vita sarà distrutta se questa possibilità dovesse essergli negata. Claude e io abbiamo discusso sovente, nella nostra corrispondenza, del suo compito attuale, che è quello di scrivere un’autobiografia; ed essa, se riuscirà a scriverla, sarà un documento delle difficoltà veramente paurose in cui può incorrere l’uomo odierno come schiavo e padrone del mondo tecnico. Sono convinto che quello di Eatherly non è un caso isolato, isolabile ed unico, ma che rappresenta, invece, un precedente esemplare, che profeticamente ci mostra come reagiranno gli uomini dell’era della tecnica di fronte ad azioni che sono, ambiguamente, loro e non loro, ad azioni che li rendono “colpevoli senza loro colpa”. La decisione giudiziaria sul caso Eatherly […] sarà […] quella “sull’uomo nell’età della tecnica”279.
Questa libertà verrà negata ad Eatherly che tenterà più volte la fuga, venendo, però, sempre riacciuffato. Il maggiore, inoltre, non porterà mai a termine il proposito della stesura dell’autobiografia.
Ogni uomo vive, oggi, per Anders, nella prospettiva di Eatherly. Per questo motivo, e per la mancanza della sperata autobiografia di Eatherly, il filosofo pubblicherà il carteggio: per mostrare il “destino” di chi si troverà a dover reagire a una colpa che non è sua, ma al contempo lo è280. Questa è la situazione morale dell’uomo odierno. Una situazione in cui “il trionfo della specializzazione e della divisione del lavoro”, purtroppo, “degenera in divisione della responsabilità”281.
Nonostante tutto però, Eatherly rappresenta un modello “positivo” non solo perché anticipa ciò che può essere per ogni uomo, scenari prima d’ora impensabili, ma soprattutto perché è un uomo che ha continuato a vivere sulla propria pelle la discrepanza prometeica per tutta la vita, tentando di “incamerare” e poi, in qualche modo, di “riscattare” le proprie colpe: anche solo provando a ripensare il mostruoso a cui aveva preso parte. Eatherly mostra che anche se il dislivello non può essere vinto, possiamo almeno tentare di combatterlo.
279 Ibidem, p. 116.
280 Cfr. A. Cernicchiaro, Günther Anders. La Cassandra della filosofia, op. cit., p. 329: “Seconda Anders,
il tentativo di Eatherly di far fronte a posteriori agli effetti che il suo collaborare ha prodotto è comunque, seppur encomiabile e consolante, irrimediabilmente votato allo scacco: è infatti umanamente impossibile pentirsi per una così immensa colpa e provare realmente dolore per lo sterminio di duecentomila esseri umani, anche quando, come ha cercato di fare per anni il “pilota di Hiroshima”, si faccia lo sforzo costante di immaginare gli effetti della propria azione”.
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Al polo opposto rispetto ad Eatherly, si trova invece Eichmann (in questo caso Anders si riferisce all’ufficiale, Adolf, padre di Klaus):
No, Eatherly non è il gemello di Eichmann, ma la sua grande e (per noi) consolante antitesi. Non è l’uomo che fa del meccanismo un pretesto e una giustificazione della mancanza di coscienza, ma l’uomo che scruta il meccanismo come paurosa minaccia alla coscienza. E così facendo coglie il nocciolo del problema morale centrale di oggi, e ci rivolge il monito veramente decisivo: poiché, se scarichiamo ogni responsabilità sull’apparato, in cui saremmo inseriti come viti inconsapevoli, e consideriamo l’affermazione: “Ci siamo limitati a collaborare” come legittima in ogni caso, liquidiamo ipso facto la libertà della decisione morale e la libertà della coscienza, e facciamo dell’aggettivo “libero”, nell’espressione “mondo libero”, l’asserzione più vuota ed ipocrita. Temo, anzi, che ciò sia già avvenuto. La grandiosità della condotta di Eatherly consiste proprio nel fatto che capovolge l’argomento, che egli annulla e raddrizza, con una conversione di 180 gradi, la perversione morale già dominante. Egli dice insomma: Anche ciò che mi sono limitato ad eseguire, è stato fatto da me; la mia responsabilità non riguarda solo i miei atti individuali, ma tutti quelli a cui ho preso parte; il problema non è solo “Che cosa devo fare”, ma “Dove e in che misura posso o non posso collaborare”282.
Eatherly cerca “nell’età dell’apparato, di tener viva la coscienza”283. L’americano
non solo non si nasconde dietro la giustificazione di aver “solo partecipato” o “eseguito un ordine”, come l’ufficiale nazista Eichmann; Eatherly tenta di assumere su di sé tutto il peso delle azioni a cui ha preso parte. Così facendo tenta di ostacolare il processo tecnico che, sistematicamente, coinvolge tutti gli uomini contemporanei: infatti, “l’apparato priva tutti (compresi i dirigenti e i proprietari dell’apparato stesso) di ogni responsabilità, al punto che alla fine non c’è nessuno che sia colpevole, e non rimane più, a perdita d’occhio, che terra bruciata e buona coscienza”284. La storica “catena di montaggio”
fordiana viene applicata talmente tanto nello specifico e minuziosamente che ogni uomo, perdendo di vista l’inizio e la fine (dunque lo scopo) del processo lavorativo a cui partecipa, non sente nemmeno in lontananza l’eco della propria coscienza.
Una posizione di questo tipo, infatti, venne sostenuta da Adolf Eichmann durante il processo giudiziario a lui dedicato nel 1961, ben quindici anni dopo essere sfuggito al processo di Norimberga. Egli si difese dalle accuse sostenendo d’essere stato solo un “impotente burocrate”, d’aver “eseguito gli ordini”, e di non avere avuto responsabilità
282 Ivi, pp. 185-186. 283 Ibidem. 284 Ibidem.
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dirette in quello che i nazisti avevano fatto al mondo e, in particolare, agli ebrei. Eichmann, appunto, basò il suo discorso sull’essere stato nient’altro che un ingranaggio “ben funzionante” del sistema nazista. Per questo motivo Anders considera Eatherly la sua antitesi. Entrambi soccombono al destino della tecnica, ma, mentre uno fugge, riparato dallo scudo dell’incoscienza, l’altro combatte per ottenere più coscienza possibile.
Eatherly “cerca di far fronte a posteriori all’effetto di un’azione compiuta senza la possibilità di comprenderne la ricaduta effettiva”, e grazie a “tale tentativo, probabilmente fallimentare, mostra che egli ha tenuto viva la propria coscienza dentro gli ‘ingranaggi’ tecnici e militari”285. La freddezza e “l’apparente serenità di Eichmann non sono altro”,
invece, “che sintomo della sua cecità psichica e morale”286. Con la stessa freddezza
Eichmann pronunciava molti nuovi particolari sul fenomeno dei campi di concentramento287. Nel 1962 venne pronunciata ed eseguita, in Israele, la sua condanna a morte.
Anders coglie l’occasione per impiegare ancora una volta la propria filosofia, e cerca di farlo comunicando via lettera con il figlio di Eichmann, Klaus. Il ragazzo, ancora ventiquattrenne, è l’esempio che serve ad Anders per marcare ancora di più la possibilità, per ogni uomo, di diventare “un Eichmann”. Klaus stesso, infatti, pur portando quel cognome, ha la possibilità di non diventare un Eichmann: “l’origine non è una colpa”, e Klaus non può essere accusato in nome di suo padre. Piuttosto, egli sarà un Eichmann non come “vittima del principio genealogico”, ma se e solo se “sente, agisce e ragiona come un Eichmann”288. Proprio per questa ambiguità, perché Klaus è un Eichmann ma
allo stesso tempo può non esserlo, “il suo destino”, ad Anders, “ispira rispetto”289. Perché
figure come quella di Eichmann (qui sia Adolf che Klaus), e quella di Eatherly, sono “esistenze tanto maledette ed infelici” ma che “non sono entrate per caso nel nostro mondo d’oggi”; questi uomini “sono davvero qualcosa di assolutamente emblematico della condizione del nostro mondo odierno”, “sono simboli di qualcosa che è orribile”290: ecco perché, in quanto modelli ideali, possono essere seguiti o meno. Klaus, essendo il figlio di Adolf Eichmann, ed essendo di fatto un Eichmann, è per Anders l’uomo che
285 Cfr. S. Maletta, Anders, Arendt e la soggettività dissidente. Una prospettiva sulla filosofia sociale, in
AAVV, L’uomo e la (sua) fine. Saggi su Günther Anders, op. cit., p. 55.
286 Ibidem.
287 G. Anders, Noi figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 2007, p. 7. 288 Ivi, p. 11.
289 Ibidem. 290 Ivi, pp. 26-27.
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rischia più di tutti di perpetrare l’errore del padre: non rischiando di ripetere ciò che il nazista portò a compimento, quanto piuttosto a causa della sua vicinanza emotiva familiare. Klaus rischia di non poter riuscire a condannare l’operato del “male in persona”. Per questo motivo Anders si rivolge a lui.
Ancora una volta il filosofo tedesco spiega al proprio interlocutore il mostruoso della situazione tecnica di oggi e le limitazioni umane:
Come e attraverso cosa si può arrivare al “mostruoso”? La risposta: attraverso il fatto che il nostro mondo, sebbene l’abbiamo inventato ed edificato noi stessi, con il trionfo della tecnica è diventato tanto smisurato, che in verità ha smesso di essere “nostro”, nostro in senso psicologicamente verificabile. Insomma che ci è diventato “troppo”. E questo cosa significa? Innanzitutto che quello che siamo capaci di fare (e quindi quello che davvero facciamo) è più grande di ciò di cui noi possiamo farci un’immagine291.
Queste speculazioni potrebbero sembrare, secondo Anders, “come uno scagionamento di” Eichmann stesso, ma ciò “non potrebbe essere un malinteso peggiore”, perché “come l’ammissione dell’istinto sessuale non significa salvare l’onore di un omicida violentatore” in egual misura “l’ammissione della situazione del nostro mondo d’oggi non significa l’assoluzione di quelli che cedono alle tentazioni delle chances di infamia che esso contiene”292. Adolf Eichmann non solo ha collaborato coscientemente
all’olocausto nazista, ma non ha nemmeno mai mostrato un briciolo di pentimento o di rimoso, e anzi ha cercato giustificazione alla sua condotta nel “sistema” stesso. Il problema è che “l’inadeguatezza del nostro sentire” rende “possibile la ripetizione di queste terribilissime cose”293.
Anders scrive a Klaus dopo essersi imbattuto in una nuova speranza, nominata Claude Eatherly:
Infatti è vero che col crescere della grandezza degli effetti diminuisce la nostra facoltà di immaginazione e di responsabilità, che questa facoltà s’inceppa del tutto dopo il superamento di una certa grandezza massima, e che oggi nessuno di noi riesce a vive fuori dall’ambito di validità di questa legge. Ma questo non significa che così è automaticamente decisa la nostra sconfitta morale, che la porta è aperta all’irruzione del mostruoso; né significa che ad ognuno di noi potrebbe accadere, per così dire inavvertitamente, di elaborare dei progetti alla
291 Ivi, p. 29.