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CAPITOLO SECONDO

2.3 La Guerra Fredda nella storiografia occidentale

2.3.3 La questione tedesca

La questione tedesca rimaneva il nodo più difficile da sciogliere: non bastarono tre con- ferenze internazionali e numerosi tentativi di negoziati per definire un progetto comune per le sorti di questa nazione.

Tra il 1945 e il 1947 anche in questo campo, la situazione s’inasprì: da una parte l’Occidente cercava di consolidare la propria presenza e controllo nel territorio, allo stesso tempo tentava di indebolire l’influenza sovietica. Dall’altra parte l’Unione Sovie- tica imponeva nei territori dell’Europa orientale, attraverso azioni non sempre pacifiche, la propria politica e cercava di allargare i propri confini. Entrambe le parti quindi ave- vano delle ragioni valide per temere l’avversario, tentare di opporsi e avere difficoltà nello scendere a compromessi. Inoltre l’alleanza tra gli Stati Uniti e i paesi dell’Europa occidentale si face sempre più forte, giungendo alla firma di alcuni trattati di pace.70

La divisione dell’Europa si stava facendo concreta, soprattutto quella della Ger- mania. Al termine della Seconda Guerra mondiale si decise di dividere il territorio tede- sco in quattro zone di occupazione, affidate a USA, URSS, Inghilterra e Francia; inoltre

69 E. Di Nolfo, “Storia delle relazioni internazionali”, Editori Laterza, Bari, 1994, pp. 720-737. 70

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pur trovandosi all’interno della zona d’occupazione sovietica, ma essendo la capitale, venne divisa in quattro parti anche Berlino. Su questo punto non si riuscì a trovare una soluzione differente: Berlino sarebbe stata amministrata allo stesso modo in cui si am- ministrava tutta la Germania. Questo fatto portò a due problemi fondamentali: come ge- stire la comunicazione tra la parte ovest della Germania e di Berlino e come sostenere la popolazione occidentale che si trovava nella parte orientale. Si riuscì a giungere ad un accordo, in cui i Sovietici autorizzavano la parte occidentale ad usufruire di tutti i colle- gamenti stradali per arrivare a Berlino ovest; il traffico aereo, navale e ferroviario non avrebbe subito alcun controllo, ma ci sarebbe stata libertà di circolazione.71

Con l’aumento delle tensioni e delle ostilità, la perdita della presenza comunista nei governi europei, nel 1948 i Sovietici decisero di attuare dei controlli sui movimenti da e per Berlino ovest, che oltre ad essere controllati, dovevano anche essere autorizzati.

Ma il fatto che segnò il momento di svolta, e che portò la tensione al suo apice, fu l’attuazione di una riforma monetaria in tutta la Germania ovest. Fino a quel momento, infatti, circolavano in tutta la nazione tre tipi di moneta: un marco tedesco d’anteguerra, un marco stampato dalle truppe d’occupazione, un marco stampato dai Sovietici; la pre- senza di queste monete non permetteva il realizzarsi del piano Marshall nella parte o- vest. Si decise quindi di creare un nuovo marco tedesco, in sostituzione agli altri già presenti.

I Sovietici, ovviamente in disaccordo con questa decisione, tentarono di opporsi e di far valere la loro moneta in tutto il territorio, ma così non avvenne. Di conseguenza decisero di imporre un blocco del traffico ferroviario, terreste e fluviale su tutto il terri- torio. Per loro questo significava anche l’ultimo tentativo per impedire l’alleanza delle tre zone d’occupazione occidentale o, almeno, di ottenere il controllo sull’intera città di Berlino. Gli Stati Uniti superarono questo blocco con un “ponte aereo”, ovvero con il rifornimento di beni di prima necessità, e non solo, sorvolando il territorio che si frap- poneva tra le due parti ovest. In questo momento il rischio di passare allo scontro milita- re fu elevato. Oltre a ciò, nei primi giorni di blocco, vennero trasferiti dei bombardieri nelle basi britanniche, che sebbene non configurati al trasporto di bombe atomiche, lan- ciarono un chiaro messaggio di contrattacco. Si cercò di trovare un compromesso per arrivare all’interruzione della chiusura dei confini ma Stalin, da parte sua, era deciso:

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per ottenerla, gli Alleati avrebbero dovuto rinunciare alla creazione di un governo nella Germania ovest.72

Tuttavia poco tempo dopo, cambiarono le condizioni: si doveva discutere la crea- zione di una Germania federale alla riunione del Consiglio dei Ministri esteri. A maggio del 1949 il blocco fu rimosso e lo stesso giorno cominciarono le trattative per la crea- zione di un governo nella parte occidentale, che nacque ufficialmente a settembre dello stesso anno. Berlino rimase divisa, così come la Germania; si accentuò la percezione di un’Unione Sovietica aggressiva contro la ricostruzione europea, il che aumentò la poli- tica antisovietica, e poco dopo si ufficializzò la nascita del Patto Atlantico. Il blocco di Berlino sancì la divisione definitiva dell’Europa, l’ufficiale contrapposizione di due blocchi opposti, con un modello di sviluppo completamente differente. Fu il primo con- flitto aperto tra i due fronti, che rischiò di diventare armato se una delle due parti avesse agito diversamente; allo stesso tempo, sia Stati Uniti che Unione Sovietica non avevano intenzione di andare oltre le minacce: non erano pronte per una nuova guerra.

La questione tedesca si risolse in questo modo, se si può ritenere questo sviluppo degli eventi una risoluzione: la divisione della Germania e di Berlino rimase tale fino al 1991 con la dissoluzione dell’Unione Sovietica e il precedente crollo del muro di Berli- no nel 1989.

Nonostante l’opposizione dei due blocchi fosse chiara, Stati Uniti e Unione Sovie- tica non cessarono di cercare una negoziazione per evitare l’esplosione di un’ulteriore guerra mondiale; parallelamente a questo ambedue continuarono a fortificare le proprie alleanze e la propria posizione. Il sistema di alleanze si faceva, infatti, sempre più fitto, ciascuna coalizione sosteneva con la propaganda le proprie azioni cercando di aumenta- re l’astio nei confronti del nemico. Questo si realizzò attraverso la creazione della NA- TO, la quale era stata preceduta dal Patto Atlantico, e dall’attività del Cominform.73

In Occidente cresceva sempre più la preoccupazione verso l’aggressività della po- litica comunista e della sua determinazione ad espandersi. Per questo motivo a seguito della firma del Patto Atlantico e del crescente timore europeo, si gettarono le basi per la nascita della NATO, un’organizzazione che permetteva lo stanziamento di un esercito stabile in tempo di pace. Costituito da Stati Uniti, Canada, Francia, Inghilterra, Italia,

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J. Harper, “La guerra fredda”, Il Mulino, Bologna, 2013, pp. 98-101.

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Germania e altri Paesi dell’Europa occidentale, il suo scopo era garantire la sicurezza all’interno e alle frontiere degli Stati aderenti e, in caso di attacco ad uno di essi, agire con un esercito apposito formato dai mezzi per la difesa messi in comune da ciascun partecipante.74

Come risposta alla nascita della NATO e all’annessione ad essa della Germania ovest, l’Europa orientale stipulò il Patto di Varsavia. Quest’accordo prevedeva l’impegno di collaborazione tra l’Unione Sovietica e i suoi Paesi satelliti; similmente alla NATO, anche questo patto garantiva la sicurezza e la difesa di ogni singolo mem- bro e in caso di attacco sarebbe stata fornita l’immediata assistenza, attraverso la discesa in campo di un esercito apposito. Il Patto di Varsavia, sebbene nato non grazie a una collaborazione tra Paesi alleati, ma piuttosto a seguito di una decisione sovietica, segnò l’inizio di una nuova fase; dal 1956 la Guerra Fredda non fu più lo scontro bipolare tra due super potenze, avvenuto prima in Europa e poi in Asia, ma si manifesto sotto altre forme, che alcuni storici definiscono essere i primi passi verso una “distensione”.75

Prima di tutto ciò però, si dovette passare per lo scontro armato. Se all’interno dell’Europa si riuscì in ogni caso a impedire l’uso delle armi, ciò non fu possibile in A- sia.