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Questioni emergenti e soluzioni possibili

Alla luce di quanto osservato durante le interviste gli esiti sono stati raccolti facendo riferimento alla ricerca: “Prepare for Leaving Care”3

che si è svolta sul territorio nazionale della durata di circa due anni ad iniziare da gennaio 2017 fino a ottobre del 2018.

Questa ricerca si è strutturata su dieci incontri di giovani dei “SOS Villaggi dei bambini”, quindici incontri dei gruppi regionali dei Care Leavers dell’associazione “Agevolando” e quattro incontri di forma- zione. Questo studio ha prodotto una sintesi esperta tradotta in dieci punti, denominata "il decalogo per gli operatori per sostenere la transizione dei neomaggiorenni" in cui si vogliono rappresentare delle coordinate, utili ad orientare i percorsi alla transizione e che esprimono le soluzioni possibili per accompagnare i ragazzi all’u- scita dai percorsi di tutela. Nel seguito si presenta questo decalogo che ben rispecchia la sintesi delle testimonianze raccolte nella mia ricerca.

I. Non si dovrebbe pretendere da un care leaver più di quanto non si pretende da un qualsiasi ragazzo della sua età.

La legge italiana prevede che al raggiungimento della maggiore età i giovani accolti in affido familiare o in una comunità di accoglienza ritornino nella loro famiglia di origine oppure si avviino alla vita autonoma. Non sempre una di queste due possibilità è praticabile. Spesso le famiglie di provenienza presentano gli stessi gravi proble- mi all’origine della separazione del figlio oppure non ci sono proprio. Al contempo, nel nostro Paese, arrivare ai 18 anni non significa affatto costruire una vita indipendente dalla famiglia: secondo l’Eurostat, nel 2016 l’età media in Italia di uscita dalla famiglia per le giovani donne si attesta ai 29 anni mentre quella per i giovani uomini è pari a 31 anni. L’uscita dall’accoglienza non può quindi tener unicamente conto dell’età biologica, bensì considerare anche altri elementi come la situazione familiare e parentale, le opportunità percorribili, le 3 SOS Villaggi dei Bambini Italia.Il futuro si costruisce giorno per giorno, un decalogo

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competenze, le capacità e i desideri del singolo. Non si dovrebbe pretendere quindi che i care leavers facciano ciò che non si pensa di chiedere a nessun altro della loro età.

II. Preparare la transizione come una nuova fase da realizzar- si in base a un progetto e con un percorso graduale e persona- lizzato, non come un semplice prolungamento dell’accoglien- za.

Gli esperti dichiarano che:"prima si comincia a pensare e a preparare questa transizione del corso di vita, meglio è." Diventare maggioren- ni è complesso e per i care leavers è impegnativo su diversi fronti. Non da ultimo, il contrasto degli accentuati pregiudizi e stereoti- pi che contraddistinguono il senso comune circa chi proviene da un’esperienza di accoglienza. Risulta importante quindi preparare il passaggio con gradualità evitando sorprese e l’approfondirsi delle incertezze. Si dovrebbe prevedere un’attenzione verso questa transi- zione nel “Progetto Quadro” e inserendola nel “progetto educativo individualizzato”. Questo permette di affrontare i diversi aspetti, con la dovuta attenzione evitando il ricorso a percorsi standard tipici dei tempi brevi, dando spazio invece alla personalizzazione dei percorsi e all’esigenza di ciascuno nel sentirsi considerato come singolo, con proprie specificità ed esigenze. Si dovrebbe prestare attenzione alla fase di costruzione del progetto di transizione ricordando l’esigenza dell’ascoltare e del partecipare. Costruendo un progetto che fa del- la flessibilità, della consapevolezza e della co-progettazione i suoi maggiori punti di forza. Diamo dunque importanza alla svolta che avverrà al compimento dei diciotto anni preparando i giovani ed accompagnandoli affinchè mantengano o trovino la motivazione a rimanere nel progetto pensandolo assieme all’adulto.

III. Costruire il percorso e il progetto insieme al care leaver e ai care leavers.

I successi di un’accoglienza, di un percorso e di un progetto della transizione sono associati al livello di condivisione e di coinvolgi-

Una ricerca field qualitativa 77 mento del giovane care leaver nelle decisioni da prendere. Così si dovrebbero prevedere spazi e tempi adeguati per informare i giova- ni adulti sui loro diritti, sulla loro situazione, per confrontarsi sui possibili scenari aperti per il futuro e sui fattori che possono inci- dere sui tempi di realizzazione e sulla riduzione dell’incertezza. Si dovrebbero approfondire la natura e le conseguenze delle decisioni prese affinchè l’educatore e il care leavers possano comprendere le reciproche esigenze e visioni delle opportunità in gioco.

IV. Riconoscere in questo percorso l’importanza delle emo- zioni e la centralità delle relazioni significative.

Si è visto come: prima, durante e dopo il passaggio alla vita da mag- giorenne si generino diverse e forti emozioni, anche tra loro contra- stanti: la felicità di potersi liberare finalmente di regole e permessi fastidiosi (come gli orari di uscita e di rientro da casa), la paura di perdere le relazioni significative costruite durante l’accoglienza e di ritrovarsi improvvisamente esclusi da quella che fino a prima si con- siderava la propria “casa”, la paura del “salto nel buio”, di quello che potrà succedere e delle nuove relazioni sociali e affettive da costruire o ricostruire, la paura di quello che si sarà o meno capaci di fare, la paura di ritrovarsi in un nuovo ambiente sociale che non sa com- prenderti e che magari ti teme. La rabbia per non aver fatto o detto alcune cose nei giusti momenti. Queste emozioni vanno riconosciu- te, comprese e accompagnate nel generare forme di apprendimento individuali e collettive utili a favorire processi ed esperienze di be- nessere. Non si parla abbastanza di quanto una comunità debba prepararsi per accompagnare una persona all’autonomia.

V. Allenare il care leaver all’interdipendenza: a individuare e a gestire con coraggio i tempi, le necessità e le opportunità della nuova esperienza di vita quotidiana.

Si ritiene importante che questi ragazzi imparino a costruire e valo- rizzare le relazioni sociali e l’interdipendenza. Il processo di transi- zione dei care leavers dovrebbe consistere non tanto nel liberarsi

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degli altri, ma nel riconoscersi parti di cerchie sociali significative a cui poter ricorrere. Per loro dovrebbe diventare essenziale saper individuare le diverse reti sociali, culturali, associative, professionali oppure i diversi servizi sanitari, occupazionali e giudiziari presenti nel territorio, allenandosi a seguire contratti domestici e abbona- menti, imparando ad amministrare le proprie finanze, sono esercizi che non possono aspettare il giorno del diciottesimo compleanno e che fanno parte del passaggio a una nuova fase del proprio corso di vita. Tutto questo dovrebbe far parte di una nuova quotidianità non necessariamente lontana dalle precedenti relazioni significative costruite durante l’accoglienza. Gli educatori dovrebbero aiutare a mantenere le relazioni significative che si sono costruite prima e du- rante l’accoglienza. I ragazzi non possono trovarsi soli ad affrontare questo passaggio. Si dovrebbe curare il momento dell’uscita come un rito di passaggio: un saluto che permette ai ragazzi e agli operatori di rinegoziare le relazioni, di chiudere l’esperienza di accoglienza, eventualmente di aprirne di nuove in futuro.

VI. Favorire il lavoro intersettoriale e tra le diverse professio- nalità.

Il passaggio alla maggiore età comporta l’uscita dal sistema nazionale e locale dei servizi di tutela ispirati ai diritti associati alla minore età esplicitati nella Convenzione dell’Onu del 1989.Diventare maggio- renni implica automaticamente uscire da questa area dei diritti e la necessità per i care leavers di interloquire con altri servizi pensati per tutti gli adulti (ovvero senza una specifica attenzione ai neomag- giorenni), con altri operatori e con altre problematiche della vita quotidiana. Per questo è importante che nel costruire il progetto della transizione si faccia attenzione a individuare i diversi nuovi interlocutori con cui collaborare (ad esempio: servizi di alloggio e immobiliari, servizi universitari, servizi occupazionali, servizi per gli adulti, ecc.), con cui i giovani entreranno in nuove relazioni. Do- vremmo fare in modo che queste collaborazioni si realizzino per tempo e permettano ai care leavers di poter conoscere e farsi rico-

Una ricerca field qualitativa 79 noscere dai nuovi referenti.

VII. Individuare dei referenti adulti del percorso capaci di ascol- tare, accompagnare e costruire opportunità nella transizione.

Si è visto che la multidimensionalità che caratterizza il percorso verso l’autonomia richiede specifiche competenze e professionalità. L’esigenza di interconnessione e interfaccia tra il “mondo circoscrit- to” dell’accoglienza educativa e la complessità e varietà del mondo “là fuori” richiama la necessità di individuare dei referenti adulti che assumano e vengano riconosciuti in questo specifico ruolo. Si tratta di individuare in forma condivisa, anche con il neomaggiorenne, una figura dotata di qualità personali nell’ascolto delle aspettative e dei desideri del care leaver, ma che contemporaneamente conosca il territorio come le “proprie tasche”: le attività di orientamento e le offerte formative, scolastiche e universitarie; l’offerta dei servi- zi sociali, sociosanitari, sanitari e occupazionali del pubblico e del privato sociale; l’offerta immobiliare e le soluzioni abitative; le reti associative sportive, culturali, ricreative, amatoriali e le reti formali e informali di solidarietà; le associazioni e gli ordini professionali, l’associazionismo dei datori di lavoro e della rappresentanza degli interessi dei lavoratori. Un facilitatore territoriale o un “tutor di intermediazione sociale” anche profondo conoscitore dei sistemi locali territoriali quindi, che accompagni in forma flessibile e discre- ta i care leavers e che costruisca in forma partecipata le attività di monitoraggio, valutazione e revisione del progetto della transizione.

VIII. Prevedere specifici percorsi formativi per gli adulti a va- rio titolo coinvolti nei percorsi e nei progetti di transizione.

Gli esperti hanno espresso come la complessità e l’approccio multi- settoriale che caratterizzano i percorsi e i progetti di transizione dei care leavers, richiamino la necessità di nuove competenze, e del rafforzamento di competenze preesistenti così come del loro mantenimento nel tempo. Per questo è prioritario che si inserisca- no nella programmazione formativa del personale, degli specifici

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corsi rivolti alle diverse figure professionali che a vario titolo sono coinvolte nell’accompagnamento dei care leavers. Una formazione articolata per processi e progettata anche in collaborazione con i giovani che hanno già avuto esperienza di queste transizioni e che possono avere un ruolo anche nel corso della realizzazione di questi percorsi formativi. Oltre a questi percorsi più aperti, si potrebbero pensare percorsi più mirati alla costruzione della figura centrale del facilitatore territoriale o del “tutor di intermediazione sociale”.

IX. Prevedere specifiche risorse locali per questi percorsi e progetti.

Negli ultimi anni, come abbiamo visto, si sono consolidate a livel- lo locale alcune buone pratiche di sostegno oppure semplicemente delle pratiche correnti verso i percorsi di transizione. Si tratta di esperienze circoscritte, ma che vanno riprese e comunicate per evi- denziare che sono possibili e fattibili. l’importanza di creare una mappatura dei servizi locali per permettere di agevolare il lavoro di rete tra di loro: gli “appartamenti di autonomia”, ovvero progetti abitativi che offrono ai giovani una residenzialità temporanea e un sostegno educativo e necessitano delle reti informali delle famiglie e dei cittadini d’appoggio che possono rappresentare un punto a cui far riferimento nella quotidianità e per gli imprevisti. Inoltre, un sostegno a più livelli, compreso quello economico, alle associa- zioni di promozione e confronto tra i giovani care leavers possono aiutare nel rendere possibili e diffondere queste pratiche e a preve- dere e sollecitare specifiche risorse economiche per la loro copertura.

X. Rinnovare i riferimenti normativi e rendere gli stessi ap- propriati, stabili e congrui. Creare un fondo nazionale e degli specifici fondi regionali per l’innovazione e il sostegno della transizione.

Sono richiesti riferimenti normativi nazionali e regionali più appro- priati di quelli esistenti, ormai desueti, circa i percorsi di transizione dei care leavers che vengono ritenuti fondamentali per legittimare e

Una ricerca field qualitativa 81 sostenere l’impegno dei decisori locali in tema di welfare. Sarebbe utile cominciare ad estendere a 21 anni la durata del periodo di prote- zione e tutela per i care leavers: un presupposto che permetterebbe di lavorare sulla transizione con interventi più graduali e pensati, meno dettati dall’emergenza e più partecipati. Allo stesso tempo si dovrebbe rendere più appropriato, stabile e congruo il fondo de- stinato a sostenere questi percorsi in tutto il territorio nazionale incoraggiando gli interventi innovativi e favorendo la creazione di specifici fondi regionali rivolti a ridurre le diseguaglianze dovute alla frammentazione territoriale dei welfare locali.

Per concludere, bisognerebbe ricordare che queste linee guida e la ricerca svolta, riportano l’esigenza primaria di un percorso da co- costruire tra diverse figure professionali e i care leavers, un processo fatto di ascolto oltre che di protezione, generatore di resilienza ed autonomia, non solo per i ragazzi, ma per la società stessa che deve assumere con coraggio l’idea di una genitorialità sociale, costruita at- torno a momenti di formazione, investimenti economici e creazioni di una solida rete di servizi.

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u n m o m e n t o d i c o n f r o n t o

a l l a l u c e d e i f at t i

Nella seconda parte della ricerca, in seguito alla raccolta delle in- terviste si è voluto formare un gruppo di lavoro con cui svolgere un momento di confronto attraverso lo strumento del Focus group, con lo scopo di comprendere la percezione del fenomeno oggetto di srudio da parte dei servizi territoriali e le possibili opportuni- tà di cambiamento. Per iniziare si è ritenuto necessario costruire un gruppo tramite campionamento a scelta ragionata/teorico per cui i partecipanti non sono casuali, ma vengono scelti secondo la qualità/quantità di informazioni possedute circa l’oggetto in anali- si, il livello di motivazione ad essere coinvolti e la disponibilità ad esprimere le proprie opinioni in un contesto di gruppo. All’interno del territorio della provincia di Venezia si è costruito un gruppo, formato da: un’assistente sociale della tutela minori del territorio con il compito di referente del coordinamento della tutela minori del comitato dei sindaci del distretto di Mirano-Dolo, una neuro- psichiatra infantile e referente del Casf (Centro Affido e Solidarietà Familiare) per l’Ulss 3, distretto Mirano-Dolo, un’educatrice del Crf (Centro relazioni familiari) sempre del distretto Mirano-Dolo che lavora anche in comunità per minori ed infine un’educatrice del Sil (Servizio integrazione lavorativa) della sede di Dolo. La scelta di un gruppo multiprofessionale ha permesso di creare un gruppo di discussione eterogeneo che fosse in grado di mettere a confronto le prospettive e le esperienze date da diverse competenze professionali,

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la scelta di un numero ristretto di partecipanti è stata adottata al fine di permettere ai partecipanti di interagire tra loro nell’ottica di garantire uno scambio di opinioni utile ad analizzare il problema.

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Il Focus Group, la tecnica

Nel contesto della ricerca qualitativa, Annalisa Frisina nel suo testo “Focus group, una guida pratica”1spiega come il il focus group sia una delle tecniche di ricerca più giovani. Trova una specifica valorizza- zione negli studi accademici e nella ricerca valutativa per valutare opportunità, modalità di implementazione e risultati di specifici interventi o politiche sociali. Affiancata nella ricerca all’intervista discorsiva, trova con essa dei tratti comuni: la documentazione sot- toposta ad analisi è generata dal ricercatore, che la mette in campo ri- correndo all’interlocuzione. Diversamente dall’intervista discorsiva che prevede un impegno nel costruire l’interazione con l’intervistato nel focus group l’impegno del ricercatore è quello di creare una di- scussione di gruppo, non si tratta infatti di una intervista di gruppo, quindi non sarà richiesto ad ognuno dei presenti di rispondere agli stimoli o alle domande. Cambia infatti la forma dell’interazione, si costituirà un intreccio tra la relazione “lineare e asimmetrica” fra ri- cercatore e ogni partecipante, tipica anche delle interviste discorsive tra ricercatore e intervistato, e la relazione “reticolare e simmetrica” tra i partecipanti al focus group. L’interazione sociale sarà essa stessa esame di studio, ancora più che nelle interviste discorsive, nel focus group è possibile cogliere l’aspetto più sperimentale dello studio poi- ché questa tecnica ci permette di vedere come reagisce un gruppo all’inserimento di un particolare stimolo. Il focus group è quindi una tecnica di ricerca qualitativa concepita per generare all’inter- no di un gruppo una discussione focalizzata su un tema proposto ai partecipanti dal ricercatore. Il gruppo che discute è un piccolo gruppo: talvolta costruito ad hoc dal ricercatore, in altri casi invece precedentemente costituito. Il tema di discussione viene proposto al

Un momento di confronto alla luce dei fatti 85 gruppo da un moderatore che si incarica di facilitare e guidare la sua dinamica. L’osservazione dell’interazione fra i partecipanti è affidata ad un’altra figura, che appunto osserva. L’interazione tra i partecipan- ti viene audioregistrata e quando possibile anche videoregistrata. Il focus group raccoglie un insieme composito di informazioni espres- se nell’intreccio dei discorsi dei partecipanti e nelle relazioni che, accanto e attraverso questi discorsi, prendono forma. Il tema di un focus group deve poter suscitare una discussione e avere un profilo minimamente problematico, al quale l’argomentazione dei presenti possa aggrapparsi. La traccia assume dunque un ruolo centrale ed il principale ingrediente è costituito dalle domande pronunciate che possono assumere la forma di brevi narrazioni, in un focus group è possibile sollecitare il gruppo con specifici “stimoli” e disporsi a prendere nota di come il gruppo vi risponda.