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qui e ora, questo deposito si propone.

Nel documento Fogli. Scritture per l'architettura (pagine 99-123)

Architetture dell’attesa

Architekturen des Wartens è la titolazione del catalogo che fu di corredo alla personale di Ursula Schulz-Dornburg tenutasi presso l’Architekturforum Aedes West di Berli- no nel 20041. L’esposizione venne poi riproposta l’anno

successivo presso la Galleria Elke Dröscher di Amburgo e nel 2006 al Museum Ludwig di Colonia. Con la dicitu- ra Bus Stops gli sviluppi della ricerca sono poi approdati nel 2014 per la prima volta negli Stati Uniti presso la Lu- isotti Gallery di Santa Monica, California, accompagnati da Von Medina an die Jordanische Grenze, “Da Medina al confine con la Giordania”, una campagna del 2002/2003 il cui fuoco tematico era costituito dal tracciato ferroviario oggi abbandonato di Hedjaz in Arabia Saudita.

Ursula Schulz-Dornburg è nata a Berlino nel 1938 e dopo iniziali interessi per l’antropologia ha studiato tra il 1961 e il 1963 a Monaco di Baviera presso l’Institut für Bildjour- nalismus2; un soggiorno a New York sul finire degli anni

1 Ursula Schulz-Dornburg, Architekturen des Wartens/Architectures of

Waiting: Photographs con testi di Kristin Feireiss, Hans Jürgen Comme- rell, Matthias Bärmann, Walther König, Köln 2007 (seconda edizione).

Sessanta la introduce alla produzione di autori quali Do- rothea Lange, Walker Evans e Robert Frank, cioè la pun- ta di diamante della fotografia di inchiesta sociale che con forza e pietas narrò l’America del New Deal3; successiva-

mente è Edward Ruscha, e il suo livre d’artiste Every Buil- ding on the Sunset Strip4 che assumerà valore d’esempio:

his sequential planning and “uncensored montage” of an existing architectural pattern along a given lane added a conceptual strength to the banality of the object — which I found very inspiring5.

Dal 1969 l’autrice ha fissato la propria residenza e atelier a Düsseldorf.

L’oeuvre di Ursula Schulz-Dornburg è stata esposta, tra le altre sedi, alla Tate Modern di Londra, all’Instituto Va- lenciano de Arte Moderno, alla Galleria Giorgio Masti-

a photographer I studied social education. I made a book about adventu- re playgrounds in Amsterdam, 1969, and I worked for the Youth Institute in Munich. For many years I also worked with heroin addicts, using pho- tography for awareness therapy. This had been suggested to me by the ear- ly work of Christian Boltanski and his self-portrait. The results were not very encouraging, and I stopped that work in 1984”. Ursula Schulz-Dor- nburg, Encounters, Annotations, exhibition catalogue: A través los Territo- rios / Across the territories. Fotografias / Photographs 1980-2002, IVAM In- stitut Valencia d´Art Modern, Valencia 2002. Per una bibliografia sull’au- trice cfr. https://portal.dnb.de/opac.htm?query=ursula+schulz-dornbur- g&method=simpleSearch (ultimo accesso: 05/2017).

3 Cfr. Charles Hagen, American Photographers of the Depression: Farm

Security Administration Photographs 1935-1942, Thames & Hudson, London 1991; Walker Evans: Photographs for The Farm Security Admini- stration, 1935-1938, Da Capo Press, Boston 1973.

4 Ed Ruscha, Every Building on the Sunset Strip, 1966. Libro auto-prodot-

to in offset lithograph (seconda edizione 1971) 7 1/8 x 5 3/4 x 3/8 in; foglio steso: 7 1/8 x 297 in. Su questo autore vedi: Edward Ruscha. Catalogue Raisonné of the Works on Paper, Volume One, 1956— 1976, a cura di Lisa Turvey con un saggio di Harry Cooper, Gagosian Gallery e Yale Universi- ty Press, New Haven and London 2014.

5 Corrispondenza dell’artista con Joshua P. Smith, 12 settembre 1993; ora

in Joshua P. Smith, Sonnenstand; cfr. http://www.schulz-dornburg.info/ english/Presse/Sonnenstand-Smith.html (ultimo accesso: 06/2017).

nu di Venezia, al Musée d’art moderne de la Ville de Pa- ris, al Chicago Institute of Art, e alla Corcoran Art Gallery di Washington, DC; nel 2016 Schulz-Dornburg ha vinto l’Aimia AGO Photography Prize, noto anche come Gran- ge Prize, il più prestigioso premio di fotografia contempo- ranea del Canada.

In cammino

“Il mio lavoro è solo uno stare nel mondo. Io però devo andare e non solo stare”: la confessione di Wittgenstein6

potrebbe valere anche per la nostra autrice: dal villaggio di Kurchatov, Kazakhstan, a Kronstadt, Russia, dal confi- ne tra Georgia e Azerbaijan all’Iraq e alla Siria, e poi Indo- nesia, Burma, Arabia Saudita, il viaggio è divenuto il mez- zo abituale per sondare, illuminare i rapporti tra opere dell’uomo e loro ambiente, tra la traccia-impronta dell’u- mano e la cornice naturale che li contiene. Tra i riferi- menti ricordati da Ursula Schulz-Dornburg compaiono Jeff Wall e Per Kirkeby, ma significativo l’interesse dichia- rato per il lavoro di Richard Long, l’autore che con mag- giore decisione e icasticità ha stretto l’operare artistico o lo specifico intervento ambientale al gesto basilare del cam- minare — andatura, respiro, resistenza, affaticamento, ar- resto, visione. Sussiste poi un più sotterraneo legato tra i due; in uno dei testi chiave di Long è precisato:

My photographs are facts which bring the right accessibili- ty to remote, lonely or otherwise unrecognisable works. Some sculptures are seen by a few people, but ca be known about by many7.

6 Ludwig Wittgenstein, Movimenti del pensiero. Diari 1930-1932/1936/37

a cura di M. Ranchetti e F. Tognina, Quodlibet, Macerata 1999, p. 93.

Questa nota richiama ciò che Roland Barthes8 definì il

‘carattere magico’ dell’immagine fotografica, vale a dire la sua vocazione a dare di conto di un esserci-stato, di un è accaduto così (“Il noema della Fotografia è semplice, banale; nessuna profondità: ‘È stato’”9). Stones and Flies,

il cortometraggio girato da Philip Haas nel 1987 duran- te una spedizione nel deserto del Sahara algerino10, rivela

l’operari di Richard Long; tra gli interventi suggeriti dalle condizioni dei luoghi — il suolo, gli orizzonti, le scie dei nomadi e del passare di animali: “I use the world as I find it” —, alcuni di essi hanno vita assai breve: il tempo di fis- sare con una comune reflex il risultato di un’azione — alzare, spostare, ammassare, rimuovere, allineare le pie- tre sparse sul piano lunare dello Hoggar —, poi è l’autore stesso a cancellare le alterazioni compiute:

These works are made of the place, they are re-arrangement of it and in time will be re-absorbed by it. I hope to make work for the land, not against it11.

thony d’Offay Gallery, London 1980; ora in Richard Long Selected Sta- tements & Interviews, a cura di Ben Tufnell, Hauch of Venison, London 2007, pp. 15-21.

8 Roland Barthes, L’obvie et l’obtus. Essai critiques III, Éditions de Seuil,

Paris 1982 (trad. it. C. Benincasa et alii, L’ovvio e l’ottuso, Einaudi, Tori- no 2001).

9 Roland Barthes, La chambre claire. Note sur la photographie, Éditions

de Seuil, Paris 1980 (trad. it. R. Guidieri, La camera chiara, Einaudi, To- rino 1980, p. 115).

10 Stones and Flies. Richard Long in the Sahara, autore/regia: Phi-

lip Haas; produzione/distribuzione: Methodact, Arts Council En- gland, Centre Georges Pompidou, HPS-Films Berlin, WDR (West- deutscher Rundfunk), La Sept, Channel 4; partecipazioni: Arts Coun- cil England, CNAP (Centre national des arts plastiques); diritti: Metho- dact, Images de la culture (CNC), BnF (Bibliothèque nationale de Fran- ce), BPI (Bibliothèque publique d’information), Milestone Films, 1988.

Di quelle sculture rimarranno dunque solo poche imma- gini senza avvenire, le uniche prove — residuo, registra- zione, documento — di un evento perduto del tutto se non fosse per quelle effimere e parziali impressioni. Verschwundene Landschaft, “Paesaggio scompar- so”, 1980, è l’esito di un viaggio compiuto da Ursula Schulz-Dornburg nell’antica ‘Mezzaluna fertile’, nella provincia di Thi-Qar, Iraq meridionale. Giardino dell’E- den, luogo incantato, la più vasta area umida eurasiatica occidentale, là dove il Tigri e l’Eufrate confluiscono nello Shatt el-Arab, il grande fiume che sfocia nel Golfo Persico. La Mesopotamia degli ‘arabi delle paludi’, Arab al-Ahwa¯r, di confessione sciita conosciuti anche come Ma‘da¯n, gli ‘abitanti della pianura’, comparsi nei primi documenti al termine del IX secolo a.C.12. Laghi bassi, acquitrini, cana-

li e un arcipelago di insediamenti fatti di case-barca (o bar- che-casa) ficcate su zolle di canne e fango — kibasha, di- bin — e solenni muhdif, le grandi case collettive di canne qasab sotto le cui volte rette da archi parabolici si riunisco- no le comunità in assemblea e si offre riparo e assistenza all’ospite. Una civiltà al cui baricentro risiede ancora la miscela di fatica umana e risorse della natura: sopravvi- venze millenarie conservatesi quasi inalterate nello scor- rere delle generazioni sino a quando tra il dicembre 1991 e il gennaio 1992 la rappresaglia del governo di Saddam Hussein contro le popolazioni tribali del sud, insorte dopo la ‘Prima Guerra del Golfo’ (1990-1991), produce la ful-

12 Tra esplorazione etnografica e diario di viaggio il celebre libro di Wil-

fred Patrick Thesiger, The Marsh Arabs (1964), Penguin, London 2007 (trad. it. G. Guerzoni, Quando gli arabi vivevano sull’acqua, Neri Pozza Editore, Venezia 2004).

minea distruzione di oltre settanta villaggi13 e un esiziale

piano idraulico di prosciugamento dei grandi bacini flu- viali. In un lasso temporale assai breve gli oltre ventimi- la chilometri quadrati di paludi perdono il 90% della loro primitiva estensione: catastrofe ambientale e violenza ar- mata fanno sì che nel volgere di due lustri gli abitanti del- la regione passino da circa 400.000 a non più di 40.000. Accade dunque che le stampe della fotografa tedesca co- stituiscano l’involontaria ultima traccia di un universo che di lì a poco avrebbe subito la più oscena delle viola- zioni: in una luce densa e immota che gela ogni tempora- lità ecco apparire specchi d’acque tra le macchie scure di fitti canneti; un paesaggio piatto, in quiete, il cui unico li- mite pare ridursi al filo altissimo dell’orizzonte — “the ze- ro line of the humanity” — spezzato occasionalmente da modeste emergenze: le tarade, le canoe riconoscibili dal- le eleganti prore appuntite, le sarife, le capanne di giun- co addossate tra loro o il profilo isolato e netto di un muh- dif, eretto contro un cielo di calce abbagliante. E poi, tra i molti scatti, una stanza la cui ombra è il segno più proprio del riparo e una porta sormontata da una finestra di ugua- le fattura impreziosita da una tramatura vegetale: poco ol- tre di nuovo acqua, di nuovo canneti, di nuovo cielo, se- condo una sintassi dell’immagine che richiama alcuni in- terni della pittura fiamminga del XV secolo.

Verschwundene Landschaft per le imperscrutabili scosse e sommovimenti di Tyché e di Historia assurge a paradig- ma del legame che la fotografia può istituire tra viaggio

13 Michael Wood, Saddam drains the life of the Marsh Arabs… «Indepen-

e memoria, tra scoperta e testimonianza: una paradossa- le stigma monumentale fondata sul più vulnerabile dei supporti.

Sulle strade armene

Bushaltestellen, “Fermate dell’autobus”, è la sigla di una ricerca visuale condotta in Armenia in un arco tempora- le di quattordici anni, tra il 1997 e il 2011. Il precipitato è una collezione di cinquantatré stampe in bianco nero su carta baritata rigorosamente presentate in un medesimo formato (stampa ai sali d’argento; 44,7 x 34,8 centimetri / con cornice 70,6 x 59,6 centimetri). A tale proposito è uti- le sottolineare come la ripetizione della foggia materia- le delle fotografie — perfetto equivalente all’idea sottesa di catalogo — trovi una eco nelle modalità in cui esse so- no state poi proposte nello spazio pubblico dell’esposizio- ne; il regolare impaginato dei quadri sulle pareti della gal- leria allestisce un ordinamento dove le singole tessere so- no sistemate nel concatenamento della serie (un ‘campo’ all’interno del quale le eccezioni o alterità, quando pon- deratamente compiute, sembrano irrobustire la trama più che smagliarla):

I have always worked in sequences, as I had particular ideas in my head that I wanted to relate. And I have always wor- ked with a broad time span. The experience of time became a thematic element14.

14 Ursula Schulz-Dornburg, Encounters, Annotations, op. cit. È nella pre-

sentazione del progetto Weizen, Grano, “Dort, wo herkömmliche Arten aussterben, verlieren die Menschen etwas von ihrer Geschichte und Kultur” (P. Mooney), 1988 che il materiale fotografico sarà esposto per la prima volta in veste di installazione spaziale.

L’autrice così ricorda l’inizio dell’avventura:

In 1996, I decided to drive from the very north of Armenia, bordering on Georgia, to the very south, bordering on Iran. I was looking for old monasteries and hermitages. While se- arching, I drove over arid lands and found, to my great sur- prise, these strange ruins: bus stops in the middle of nowhere on the highlands. Passing by Gymri on the way to Armavir to find a famous hermitage from the 5th century, I again saw one of these strange bus stops, and I took the first image in a sequence, which became this ongoing series15.

Seppure progettate per sottostare alla ricorsività della se- rie ogni singola immagine raggiunge un autonomo, sot- tile, stato di equilibrio, una perfetta — seppur mai impo- sitiva o eteronoma — compiutezza. Certamente è que- sta condensazione, questa condizione di coesione e soli- darietà di ogni fattore espressivo che allestisce e salva la Stimmung di ciascuna di queste riproduzioni; tuttavia proveremo qui a isolare alcune parole-guida quali veico- li per una più pertinente decifrazione, avendo comunque contezza dell’impiego strumentale di siffatto smembra- mento dell’insieme secondo elementi discreti.

La struttura

Le fotografie del ciclo hanno una comune, semplicissi- ma, impostazione. L’apparecchio di ripresa — una Has- selblad montata con un obiettivo 50 millimetri; in altri casi una camera Ixus (Heroic Memories, 2002; The Kron- stadt series, 2002/2012) — è disposto in fronte e parallela- mente al suo bersaglio in analogia a quello che potrebbe essere l’esito di una proiezione ortogonale. La posizione

15 Becky Rynor, An Interview with Ursula Schulz-Dornburg, «NGC Ma-

del mirino è baricentrica e la sua altezza coincide grosso- modo con quella di un plausibile osservatore

if you travel by car you see nothing, if you walk you see more and if you sit on the side of the road you see all16.

Del tutto ignorate le seduzioni del virtuosismo tecni- co-performativo o dello spettacolo come choc, colpo, accelerazione affabulatoria. Da August Sander la realtà, l’hic et nunc, “ha folgorato il carattere dell’immagine”17 e

un’esplicita inclinazione descrittivo-documentaria (“Das Wesen der gesamten Photographie ist dokumentarischer Art…”) o di neutrale fedeltà al referente circola tra que- ste stampe:

in order to work today, it is important for artists to be realistic and have several options whereby they can support themsel- ves, in order to be fully immersed in life18.

Di conseguenza del tutto assenti le prospettive oblique, gli effetti di primo piano, le sfocature controllate, il gio- co dei riflessi, il dettaglio estrapolato, l’astrazione graficiz- zante, il colore; tuttavia pur in siffatto milieu di critica alla ‘fotografia soggettiva’ il ciclo non coincide affatto con ‘lo sviluppo’ di stampo becheriano19. Rispetto alle congela-

16 Ursula Schulz-Dornburg citata in Edward Lewis, Two Faces of Diffe-

rent Worlds, in «Daily News Egypt», October 09/2008.

17 Walter Benjamin, Kleine Geschichte der Photographie, in Die literari-

sche Welt 1931 (trad. it. E. Filippini, Piccola storia della fotografia, in Id. Opere complete IV. Scritti 1930-1931, p. 479). Su August Sander cfr. Id., Antlitz der Zeit. Sechzig Aufnahmen deutscher Menschen des 20. Jahrhun- derts, Transmare Verlag/Kurt Wolff Verlag, München 1929 (trad. it. Uo- mini del ventesimo secolo, Abscondita, Milano 2016).

18 Becky Rynor, An Interview…, op. cit.

19 Su questi temi cfr. Stan Neumann, Photo: La nouvelle objectivité alle-

mande, Arte France, Camera lucida productions, Le Centre Pompidou, Paris 2011.

te tassonomie dei coniugi Becher, Schulz-Dornburg non esita infatti a introdurre la figura umana o il fortuito acci- dentale, ma soprattutto includere un più generale tenore emozionale, seppure mai consolatorio, e una consapevo- lezza dei luoghi dove cade l’evento: “es geht immer wieder um den Raum…”20. Sul rapporto con la cosiddetta ‘Düss-

eldorfer Photoschule’ e con i suoi fondatori poi è la stessa fotografa a precisare:

We started at the same time, we are the same age, yes, but I am absolutely different. The only thing [we have in com- mon] is perhaps the very formal approach — how they iso- lated a form without clouds, to [emphasise] the physical im- pact of it, this was maybe an influence. But for me there was more influence from America, I think. There were many en- counters that determined the vocabulary I needed in order to find my bearings21.

Esulando da una valutazione circa lo stile, i procedimen- ti e i soggetti affrontati sussiste in effetti un dato che av- vicina questi autori; come accennato in apertura per vie diverse, infatti, i mondi da essi scoperti e catturati sono costrutti materiali sull’orlo della scomparsa, del dissolvi- mento: penso si possa attribuire a ciò quel senso della per- dita imminente che pervade, secondo modalità dissimili, sia le anonymous sculptures becheriane che gli sperduti man-altered landscapes della Schulz-Dornburg e che ap- prossima questa inclinazione della documentazione foto- grafica a certe indagini etnologiche e di antropologia cul-

20 “è sempre una questione di spazio…”. Ursula Schulz-Dornburg — Im

Gespräch, colloquio tenuto il 02 aprile 2017 presso la Hamburger Kun- sthalle in occasione della mostra collettiva: Warten. Zwischen Macht und Möglichkeit.

21 Liz Jobey, Ursula Schulz-Dornburg: photographing the architecture of

turale svolte in società tradizionali/marginali, allorquan- do la scoperta e la presa di conoscenza hanno coinciso, inevitabilmente, con l’inizio della dissoluzione.

L’aperto (news from nowhere)

It’s most important for me to find these special structures in barren areas with the possibility of working with the hori- zon, with very special light, and with time to capture a ba- lance between the object, landscape and myself. By stan- ding in front of the object, my inner eye begins reading it on multiple levels22.

Al pari della grande pittura anche questa costellazione di immagini è sorretta dall’incrocio e dalla tensione genera- ta tra oggetto e sfondo — la polarità tra ciò che sovviene e ciò che dilegua. Una sintassi sostanzialmente immuta- ta nell’intero repertorio, i cui salti e discontinuità, se rin- tracciabili, sono principalmente dovute al posizionamen- to della camera da ripresa e mai dal disconoscere la trama dei rimandi e dei contrasti tra proscenio e fondale. Dun- que, ancor prima che reportage o indagine su singoli ma- nufatti o ricerca di formule linguistiche, in gioco sembra essere quell’immensa tovaglia pietrosa contro cui le cose sono gettate — implicitamente ridotte a divenire inade- guati strumenti di misura e comprensione di quell’illimite che fugge ovunque attorno a loro. La linea dell’orizzonte seca la ripresa in mezzeria:

the horizon is my basic coordinate in space. It divides earth and sky, above and below. It is a delineation and, as a bor- der, it establishes a zone of transition, of being “between”23.

22 Becky Rynor, An Interview…, op. cit. 23 Ivi.

Può capitare che talvolta una misera baracca, un tralic- cio, il fusto di un lampione, o una palazzina fatiscente si frappongano e ne ostacolino la piena percezione; assai più spesso il filo steso tra terra e cielo risulterebbe facil- mente afferrabile se non fosse che il tutto pare affogare nell’indistinto di polveri luminescenti o nascondersi die- tro i profili di lontanissimi rilievi.

It is this union of the arts, mutually helpful and harmoniou- sly subordinated one to another, which I have learned to think of as Architecture, and when I use the word to-night, that is what I shall mean by it and nothing narrower. A gre- at subject truly, for it embraces the consideration of the who- le external surroundings of the life of man; we cannot escape from it if we would so long as we are part of civilisation, for it means the moulding and altering to human needs of the

Nel documento Fogli. Scritture per l'architettura (pagine 99-123)