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Quote dell’Italia sulle esportazioni mondiali per gruppi di prodotti del made in Italy.

Fonte: Rapporto Istat-ice 2015 pag. 39

Dalla comparazione tra trend dell’export italiano e trend delle esportazioni mondiale, per alcune classi di prodotti emerge come l’Italia sia ancora lontana dal recuperare i livelli competitivi pre-crisi. Prendendo in esempio il settore delle calzature la quota italiana nel 2005 era pari al 13.1% del totale mentre nel 2014 la stessa quota è all’8.7%. Nel settore dei tessuti la quota dell’Italia era pari all’11.4% nel 2005 e si attesta nel 2014 al 7%. L’unico comparto che ha retto bene è quello del cuoio e delle pelletterie che ha perso un minimo 0.3%.

La ripresa del mercato italiano in ambito internazionale è legata anche all’ampliamento dei partner commerciali con i quali ha saputo intraprendere relazioni. Tra le possibili vie di sbocco estere sicuramente i Bric hanno offerto nuove opportunità all’espansione del made in Italy, in un momento in cui il commercio Ue si è ritrovato in affanno e ne offrono di gran lunga maggiori adesso che sembra riprendersi. Sul fronte delle

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relazioni commerciali, infatti, l’interscambio con il Brasile, la Russia, l’India e la Cina è in forte crescita dal 2000 e solo la crisi globale ne ha frenato l’espansione. Nel 2009 i Bric hanno assorbito il 6,4% delle esportazioni italiane (rispetto a 5,3% nel 2006), mentre hanno fornito al nostro Paese il 12,4% delle importazioni (contro 10,8% nel 2006).

Complessivamente, ai Bric corrisponde il 9,4% del commercio italiano con l’estero. Se si guarda ai nostri principali partner commerciali, è meno che per la Germania (11,1%) ma più che per la Francia (8,6%). Le relazioni sono particolarmente intense con Cina e Russia, importanti fornitori di beni del settore manifatturiero e primario, che rappresentano rispettivamente il 4,4% e il 3,2% dell’interscambio nazionale. In questo caso sia Germania sia Francia mostrano incidenza maggiore per l’intercambio con la Cina (6,2% e 4,6%) e inferiore per quello con la Russia (3,1 e 2,3%). Come per le rivali negli altri grandi Paesi industrializzati, anche per le imprese italiane, pur in numero inferiore e generalmente più piccole, l’area Bric è rapidamente diventata di grande importanza nel quadro delle strategie di sviluppo. Dal 2001 al 2009, in tutti i Bric si è rafforzata la presenza del numero di filiali, con una crescita (+44%) quasi doppia dell’espansione italiana nel mondo (+23%). All’aumento del numero di imprese nei Bric è corrisposto un ampliamento moderato degli addetti (+23%), a fronte di un raddoppio del fatturato, passato da 18 a 36 miliardi di euro. Certo gli altri non sono stati con le mani e le valigie in mano e in tre Bric l’Italia non figura tra i principali Paesi investitori. È per esempio dodicesima in India, addirittura al 19° posto in Cina. Tanto che, mentre le 1030 filiali italiane in Cina hanno realizzato un fatturato di poco più di 5 miliardi di euro, per le 1800 filiali francesi il dato (oltretutto del 2006) è di 20 miliardi. Anche in Brasile, dove l’Italia è decima, gli investimenti diretti sono modesti rispetto all’intensità dei flussi commerciali, così come all’affinità linguistica e istituzionale tra i due Paesi. In generale questo sottodimensionamento è dovuto al numero ridotto di grandi imprese italiane – confermando anche in questo caso particolare l’affermazione di Fulvio Coltorti secondo cui la vera anomalia italiana non è la prevalenza delle piccole e medie imprese, ma l’assenza delle grandi57

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1.3.2 Il commercio dei tessuti: dati statistici

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Andrea Goldstein, 2011, Bric: l’Italia insegue anche nelle economie emergenti -

Si è dimostrato come il tessile-abbigliamento rappresenti un settore di specializzazione dell’economia italiana. Esso negli ultimi decenni ha conosciuto un notevole ridimensionamento, dovuto alla crescente concorrenza proveniente dalle economie emergenti (in particolare, da quelle asiatiche), che hanno spiazzato parte dei produttori italiani, quelli meno competitivi, spinti fuori dal mercato. Tale ridimensionamento, accompagnatosi anche allo spostamento di parti della produzione all’estero, si è tradotto in una riduzione del peso sul Pil del settore, che dal 2.7 % di inizio anni ottanta è sceso all’1.5%. Resta comunque un settore che produce circa l’8% del valore aggiunto industriale complessivo58.

Andando ad analizzare i trend nel corso degli ultimi venticinque anni si può notare come dopo un decennio di stabilità dal 2000 il valore aggiunto del settore tessile è iniziato a calare per avere un picco fra il 2001 e il 200559. A questi quattro anni seguono altri quattro dove il tasso medio annuo di variazione è stato del -1.8%. Ma nel 2009 una nuova crisi si abbatte sul settore riducendo il valore aggiunto del 7.7% in un solo anno. Va però sottolineato che la caduta osservata nel tessile all’indomani della crisi è stata limitata in confronto a quanto osservato in altri settori. Inoltre, nel 2010 si è osservato un rimbalzo, pari al 4.3% che però ha consentito di recuperare solo una parte delle perdite60.

Nel 2014 il fatturato del Tessile-Moda italiano ha invertito il trend (grafico 1.9) ed è tornato a caratterizzarsi per una dinamica positiva, stimata nell’ordine del +3,3% su base annua, beneficiando del buon andamento delle vendite sui mercati internazionali, nonché di una ripartenza del mercato interno intrafiliera, sostenuto anche dalla ripresa dell’import61.

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I dati sono ricavati dal Rapporto Sistema Moda Italia 2013-2014 su www.sistemamodaitalia.com non è possibile osservare quelli del 2015-2016 perché verranno resi pubblici solo nei primi mesi del 2017, per il momento sono appannaggio esclusivo delle grandi industrie

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In questi 4 anni si è avuto un calo notevole pari a -3.6 punti percentuali in media all’anno 60I dati sono stati sintetizzati dal “Tessile e abbigliamento le previsioni al 2015”

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Questi dati sono stati ricavati dalRapporto Sistema Moda Italia 2013-2014 ma dai primi rumors fatti trapelare dal rapporto 2015 e dalle previsioni sul 2016: Con riferimento all’anno 2015, l’industria italiana del Tessile- Moda archivierebbe un fatturato in aumento del +1,1% su base annua. Il turnover settoriale, pertanto, passerebbe a 52,6 miliardi di euro, guadagnando circa 570 milioni di euro rispetto al consuntivo 2014. Entrambi i comparti della filiera si manterrebbero in area positiva, anche se il ‘monte’ archivierebbe il 2015 in sostanziale stabilità rispetto all’anno precedente (+0,1%), mentre il ‘valle’ non andrebbe oltre una crescita del +2% (in rallentamento, dunque, rispetto al dato 2014, che si ricorda essere stato pari al +2,8%). Passando al primo semestre del 2016, ponendo come input del modello econometrico il quadro previsionale elaborato dal Fondo Monetario Internazionale e dalla BCE1, per l’industria italiana del Tessile-Moda si assiste ad una prosecuzione del trend favorevole, pur su ritmi moderati. In particolare, il turnover settoriale è stimato in aumento del +2,2%. Con riferimento ai due macro-comparti della filiera, il Tessile dovrebbe sperimentare un’evoluzione pari al +1%, l’Abbigliamento-Moda al +2,9%.

Grafico1.9: I dati dal 2009 al 2015 di fatturato, numero di aziende e addetti.

Fonte: rapporto sistema moda italia 2013-2014 e scenario 2015 pag.6

Nel corso del 2014 le vendite estere di Tessile-Moda (grafico 1.10) hanno evidenziato una crescita del +3,8% medio annuo, portandosi sui 28,5 miliardi di euro circa. La dinamica positiva ha interessato sia l’export del “monte” della filiera, in aumento del +2,9%, sia l’export del “valle”, che ha chiuso l’anno mettendo a segno un più deciso +4,4%. Dopo un biennio riflessivo, nel 2014 anche l’import dall’estero di prodotti di Tessile-Moda torna interessato da un’evoluzione positiva, rimbalzando su ritmi del +8%, per un totale di

19,3 miliardi. In tal caso, il tessile assiste ad una crescita del +5,1%, mentre l’abbigliamento-moda presenta un ritmo ancor più vigoroso, corrispondente al +9,5%62

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Grafico 1.10: Le esportazioni di tessile-moda italiano, confronto fra mercati UE ed extra UE (2009-