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La radiazione nelle missioni spaziali

La NASA ed altre agenzie spaziali studiano gi`a da diversi anni i rischi per la salute a cui saranno sottoposti gli astronauti nelle missioni spaziali di lunga durata come nei viaggi su Marte: isolamento, problemi psicosociali, modificazioni fisiologiche dovute alla microgravit`a, radiazioni eccetera.

Fra tutti questi il rischio di sviluppare il cancro a causa delle radiazioni `e sicuramente il pi`u importante, ma ci sono ancora grandi incertezze nella sua stima dovute alla mancanza di dati specifici.

La relazione tra effetti della radiazione cosmica sulle cellule umane e lo sviluppo di cellule tumorali `e ancora poco nota; gli unici dati disponibili su cui si possono fare delle estrapolazioni sono quelli relativi ai sopravvissuti alle esplosioni nucleari e sugli esperimenti in vitro; i risultati, per`o, possono fornire soltanto stime approssimative del rischio.

Inoltre non esistono al momento contromisure totalmente efficaci contro la radiazione cosmica: l’ottimizzazione dei parametri, come la durata delle missioni e la selezione dell’equipaggio in base all’et`a e il sesso, oppure l’utilizzo di una dieta antiossidante a base di frutta e verdura e di integratori a base di vitamine (A, C, E), di glutatione e di SOD (Super Ossido Dismutasi), l’utilizzo di farmaci specifici antitumorali (amifostina), la schermatura delle astronavi, sono tutti stratagemmi che possono ridurre la percentuale del rischio, ma non eliminarlo.

Le sorgenti potenzialmente dannose nello spazio sono di tre tipi: la radiazione solare o SPEs (Solar Particle Events), i raggi cosmici galattici o GCR (Galactic Cosmic Rays) e le particelle intrappolate dai campi magnetici planetari (compreso quello terrestre). La radiazione che colpisce una nave spaziale contiene quindi protoni ad alta energia e nuclei ad elevata carica ed alta energia, detti HZE (High Charge and Energy), che sono particelle ad alto LET ed alta RBE (soprattutto i nuclei HZE, dato che dE/dx ∝ z2 ).

La frazione dei nuclei HZE presenti nello spazio `e molto pi`u piccola rispetto a quella dei protoni e dei nuclei leggeri, ma essendo ad alto LET possono provocare danni molto pi`u gravi di questi ultimi.

Il problema della radiazione cosmica primaria `e che pu`o incidere sulle pareti metalli- che di una nave spaziale producendo una radiazione secondaria, dovuta a reazioni di frammentazione dei nuclei bersaglio del materiale delle pareti (di solito alluminio); la radiazione secondaria pu`o poi investire l’equipaggio e le apparecchiature all’interno del- la nave, mettendo a rischio le persone e l’esito della missione. Le particelle secondarie prodotte possono essere neutroni e nuclei del tutto simili in massa ed energia a quel- li studiati nella frammentazione nucleare dell’esperimento FOOT; pertanto le misure di FOOT saranno utili anche per migliorare la progettazione degli schermi per le navi spaziali.

zionale allo spessore di schermatura (figura 4.13); uno strato sottile di materiale `e in grado di ridurre solo un po’ la dose equivalente assorbita, ma all’aumentare dello spes- sore il rischio cala molto lentamente, perch´e le particelle a pi`u bassa energia prodotte nella frammentazione hanno un fattore di qualit`a elevato, anche superiore a quello delle particelle incidenti [5].

Figura 4.13: Dipendenza del rischio di cancro dallo spessore di schermatura in una missione spaziale verso Marte. Le curve continue sono per uno spessore di alluminio, mentre le curve tratteggiate sono per uno spessore d’acqua [5].

Le simulazioni numeriche e le prove negli acceleratori indicano che per gli schermi `e meglio utilizzare materiali a basso Z. L’ideale sarebbe usare idrogeno liquido o acqua, ma il polietilene (C2H4) rappresenta un buon compromesso fra efficacia e facilit`a costruttiva;

pertanto allo stato dell’arte le navicelle e le stazioni spaziali hanno pareti di alluminio schermate con fogli di polietilene, ma non si esclude che un domani non si possano usare anche altri metodi, come per esempio schermi elettromagnetici [5].

Per quanto riguarda l’esplorazione e la colonizzazione della superficie di Marte da parte di un equipaggio umano, la NASA ha fatto dei modelli numerici di calcolo del flusso di raggi cosmici sulla superficie marziana, basati sulla variazione degli eventi solari SPEs e sui dati della missione di esplorazione robotica Mars Global Surveyor (MGS). Questi modelli stimano che il numero medio di particelle nell’unit`a di tempo, che potrebbero colpire le cellule degli astronauti su Marte, potrebbe essere dai 10 ai 100 protoni per cellula per anno e dai 0.001 ai 0.01 ioni pesanti per cellula per anno [15].

Parte II

Esperimento FOOT (FragmentatiOn

Of Target)

Capitolo 5

Scopi e metodi

L’esperimento FOOT (FragmentatiOn Of Target) ha lo scopo di studiare i processi di frammentazione nucleare che si creano quando un fascio di particelle cariche o ioni incide su di un bersaglio. In particolare FOOT misura tutte le quantit`a cinematiche al fine di identificare i frammenti prodotti e per calcolarne la sezione d’urto di produzione, totale e differenziale. Oltre ad essere di grande importanza per la radioprotezione, la conoscenza dei processi di frammentazione nucleare `e fondamentale in adroterapia e in ingegneria spaziale.

5.1

La cinematica inversa

La difficolt`a principale nella misura della frammentazione indotta da un fascio di protoni, `

e dovuta al fatto che i frammenti prodotti derivano dalla frammentazione del bersaglio e che hanno una bassa probabilit`a di uscire dal bersaglio stesso e di attraversare i rivelatori, a causa del loro range troppo piccolo, dell’ordine dei 10 µm; persino un bersaglio molto sottile potrebbe fermarli.

Un bersaglio gassoso aumenterebbe il range nel bersaglio, ma diminuirebbe la probabilit`a d’interazione con esso, per cui non sarebbe una scelta adeguata.

La soluzione adottata nell’esperimento FOOT `e quella di ribaltare le condizioni sperimen- tali, sfruttando il principio di invarianza relativistica della sezione d’urto; cio`e, anzich´e studiare gli urti protone-ione nel sistema di riferimento dello ione a riposo, si studiano gli urti ione-protone nel sistema di riferimento del protone a riposo; naturalmente, affinch´e l’invarianza relativistica sia rispettata, l’energia per nucleone dei due fasci deve essere la stessa. Questo viene fatto con diversi ioni di rilevanza biologica, quali C, Ca, O ed altri,

su di un bersaglio arricchito di idrogeno come il C2H4 (polietilene) e su di un bersaglio

di C (grafite); la sezione d’urto ione-protone si ottiene per differenza: dσ dE(H) = 1 4  dσ dE(C2H4) − 2 dσ dE(C)  (5.1)

La sezione d’urto protone-ione si ricava poi dalla (5.1) con una trasformazione relativi- stica inversa (boost di Lorentz).

La validit`a di questo approccio di calcolo si pu`o verificare numericamente. Per esempio, nella figura 5.1, si vede il risultato di una simulazione fatta con il codice di trasporto di Monte Carlo FLUKA, della sezione d’urto differenziale in energia per un fascio di ioni di 12C di energia di 200 MeV/u, incidente su un bersaglio di idrogeno (in cinematica inversa) [1].

Figura 5.1: Sezione d’urto differenziale in energia, per un fascio di ioni di12C incidente su un bersaglio di idrogeno [1].

I punti blu rappresentano le stime fatte con i bersagli di C2H4 e C, sottraendo le due

sezioni d’urto, mentre i punti rossi (a forma triangolare) quelle fatte direttamente con un bersaglio di H; come si pu`o notare, le due stime sono in accordo entro pochi barn.