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CAPITOLO 1: LA RAGIONE

1.5 Ragione come libertà

La ragione, nella misura in cui si identifica nella verità, diventa se stessa; è l’uomo che diventa se stesso, “more himself”, e l’intera filosofia godwiniana nei tre aspetti etico, politico e pedagogico è una filosofia costruttivistica del “miglioramento umano”.

Come si è detto sopra, l’autocostruzione godwiniana dell’uomo, identificando all’interno della natura umana due poli –uno positivo, costituito dalla “reason”, e uno negativo, costituito dal “bias” e sostenuto e concretizzato dal potere- sembra rinviare a una realtà trascendente l’uomo stesso, capace di ordinare le sue conoscenze; l’essere umano infatti, di per sé , o in stato di natura, non è predeterminato verso nessuno dei due esiti, ma è il campo di battaglia di questi due principi che gli sono interni, ma che al tempo stesso sono sociali e lo influenzano socialmente.

Occorre innanitutto tenere presente, quindi, questa polarità tra ragione e potere, parallela a quella tra verità e pregiudizio, su cui si basa tutta la Political Justice.

Analizziamo anzitutto la contrapposizione dialettica tra ragione e potere.

E’proprio questa coppia antitetica che permette a Godwin di legare saldamente antropologia, etica e politica e di costruire una teoria politica del miglioramento umano.

La ragione, contrapponendosi al potere, si identifica con una qualche forma di

libertà. Essa infatti, ha il potere di fare uscire l’uomo dalla sua condizione di “mezzo” determinato da “fini” esterni a sé, che possono essere di diverso tipo, ma che Godwin ascrive senz’altro tutti ad un’unica categoria, quella delle istituzioni sociali, le quali, a livello intellettuale, prendono il nome di pregiudizi, e a livello etico, di concezioni particolari del bene. La ragione, infatti, permette all’uomo di conoscere il “bene” in sé, ossia ciò che per sé, e inevitabilmente, è desiderabile. Una volta scoperta per mezzo della ragione l’esistenza di questo bene, è meccanicamente necessario desiderarlo. Così scrive l’autore:

Whatever is brought home to the conviction of the understanding, so long as it is present to the mind, possesses an undisputed empire over the conduct. 65

Con questo atto, l’essere umano esce dalla condizione di determinatezza sociale, che lo rende simile a un oggetto suscettibile di essere influenzato da forze di vario genere; ed entra in uno stato in cui trova in se stesso le motivazioni della sua condotta, ossia in uno stato che potremmo definire di libertà kantiana.

Ma in questo c’è una vistosa contraddizione con l’asserita dottrina godwiniana del determinismo assoluto dei comportamenti umani.

Nel libro quarto della Political Justice, Godwin espone alcuni argomenti di derivazione hartleiana a favore della necessità del comportamento umano e contro l’indeterminatezza della libertà astratta.

Anzitutto, scrive, la natura umana è il portato di un enorme numero di influenze piccole e grandi che lo plasmano continuamente e influiscono su di essa allo stesso modo che l’ambiente fisico influisce su un qualsiasi corpo inanimato:

65

The idea correspondent to the term character inevitably includes in it the assumption of necessity and system. The character of any man is the result of a long series of impressions, communicated to his mind and modifying it in a certain manner, so as to enable us, a number of these modifications and impressions being given, to predict his conduct66.

Conoscendo sufficientemente bene il contesto in cui un uomo si trova ad agire, e le influenze che lo determinano, potrò prevedere il suo comportamento come se si trattasse di un automa. Infatti la mente umana per Godwin esegue automaticamente un programma e, tra due possibili comportamenti, dato un criterio di valutazione, sceglierà sempre e solo quello ritenuto migliore. Di conseguenza ogni atto è il termine di una lunga catena di atti precedenti, ciascuno dominato dall’immediato predecessore.

Siamo costretti a concludere che, o la mente è determinata sia quando segue le influenze esterne e sociali che quando obbedisce alla ragione, cioè che è soggetta a due determinismi alternativi e inconciliabili; o che i due determinismi coincidono, il che azzererebbe qualsiasi possibilità di “miglioramento umano” e renderebbe la posizione di Godwin simile al relativismo sociologico; o infine che la libertà, negata esplicitamente, deve pur trovare spazio in qualche forma nel sistema. La soluzione che Godwin propone in effetti è proprio quest’ultima, anche se l’autore non è capace di darne contezza a causa dell’inconsistenza fondamentale della sua trattazione, cioè il fatto di partire da premesse metafisiche interamente mentaliste e deterministe.

F.E.L. Priestley nota infatti che il problema e la critica del libero arbitrio in Godwin si riducono a una questione nominalistica. In realtà Godwin non esclude la libertà in quanto tale, ma solo la sua concezione “negativa”, sostenuta da D’Holbach, accettando l’esistenza di quella ”positiva” caratteristica dell’antropologia filosofica di Tommaso d’Aquino.

Proprio la capacità di lasciarsi determinare dal bene è ciò che Godwin identifica come libertà, ed inoltre è il fondamento della perfettibilità dell’uomo. La libertà intesa come mera irresponsabilità è “foolish and tyrannical” mentre la libertà intesa come adeguamento della volontà all’intelletto è addirittura una condizione simile a quella comunemente attribuita a Dio. Così la Political Justice:

Man being, as we have here found him to be, a creature whose actions flow from the simple principle, and who is governed by the apprehensions of his understanding, nothing further is requisite but the improvement of his reasoning faculty to make him virtuous and happy. But did he possess a faculty in dependent of the understanding, and capable of resisting from mere caprice the most powerful arguments, the best education and the most sedulous instruction might be of no use to him. This freedom we shall easily perceive to be his bane and his curse; and the only hope of lasting benefit to the species would be by drawing closer the connection between the external motions and the understanding, wholly to extirpate it. The virtuous man, in proportion to his improvement, will be under the constant influence of fixed and invariable principles; and such a being as we conceive God to be, can never in any one instance have exercised this liberty, that is, can never have acted in a foolish and tyrannical manner. 67

66

PJ, 3 ed., 4,7, 1, 370.

67

Siamo così di fronte a una chiara concezione della “libertà positiva”, intesa cioè come adeguamento della volontà al bene e non come capacità di scelta irresponsabile. Una libertà del genere puo’ essere perduta o acquistata; la perde colui che, anziché farsi guidare dalla ragione, si fa guidare dal pregiudizio.

In questo processo, secondo quanto prevede la metafisica classica tomista, all’uomo è lasciata comunque la capacità di scegliere tra le due influenze, o quanto meno di confrontarle, valutarle e magari travisarle; la sua scelta di aderire al bene o meno dipende proprio dalla prospettiva individuale secondo la quale egli lo vede, che puo’ essere giusta o sbagliata ma che è tuttavia una prospettiva. Godwin non ammette questa possibilità e non riconosce che l’uomo possa avere una sua prospettiva autonoma; assume anzi un ruolo del tutto passivo, e la differenza tra l’avere la libertà o il non averla, si risolve tutta nell’essere esposti o meno alle influenze positive della ragione e dell’educazione.

Dobbiamo concludere che quest’ultima, quindi, pur essendo portatrice delle istanze liberatorie della ragione, si rivela come un’istituzione sociale ed educativa come le altre, e che l’uomo puo’ solo sperare di essere abbastanza fortunato da subìre l’influenza degli educatori e dei filosofi giusti?

Godwin ammette in effetti un unico ruolo attivo che l’essere umano può avere : è proprio quello di assumere un atteggiamento di apertura mentale, la capacità di rinunciare alle proprie convinzioni e di aprirsi alle influenze della ragione e delle forze sociali che ne sono portatrici. Così Godwin:

Amidst our present imperfections, it will perhaps be useful to recollect what is the error by which we are most easily seduced. But, in proportion as our views extend, we shall find motives sufficient to the practice of virtue, without a partial retrospect to ourselves, or a recollection of our own propensities and habits. 68

La capacità di scelta morale consiste quindi nella possibilità di scegliere la via dell’autoanalisi, dell’introspezione di sé; si tratta di una virtu’ dianoetica, che è il fondamento di tutte le altre virtù.

La libertà dunque coincide con il bene; Godwin nel capitolo undicesimo del quarto libro della Political Justice esamina tre gradazioni di bene: economico, estetico, politico.

Il bene economico è quello che deriva dall’assenza di bisogni materiali. Esso è una prima gradazione di bene, perché consente all’essere umano di staccarsi dall’insensibilità e di praticare le virtù intellettuali. Ma se non è impiegata a questo scopo, la prosperità economica non ha senso e di per sé non costituisce un bene.

Se invece l’uomo si serve della sua libertà dal bisogno per dedicare il suo intelletto alla conoscenza e alla ragione, egli conquista il secondo grado del bene, quello della conoscenza e della ragione. Significativamente, quest’uomo per Godwin non è tanto uno scienziato quanto un poeta: per il nostro autore, la conoscenza è sempre conoscenza del fatto singolo, si concretizza nelle continue e mutevoli forme della vita, mai in sistemi astratti e conclusi. Leggiamo:

68

He [l’uomo buono] admires the overhanging cliff, the wide-extended prospect, the vast expanse of the ocean, the foliage of the woods, the sloping lawn and the waving grass. He knows the pleasures of solitude, when man holds commerce alone with the tranquil solemnity of nature. He has traced the structure of the universe; the substances which compose the globe we inhabit, and are the materials of human industry; and the laws which hold the planets in their course amidst the trackless fields of space. He studies; and has experienced the pleasures which result from conscious perspicacity and discovered truth. He enters, with a true relish, into the sublime and pathetic. He partakes in all the grandeur and enthusiasm of poetry. He is perhaps himself a poet. 69

Se infine le virtù intellettuali sono applicate allo scopo di conseguire il bene pubblico, politico, si ha il terzo grado del bene. A caratterizzarlo è la sua tendenza a diffondersi dal singolo sugli altri individui, o meglio, la tendenza a espandersi e a diventare bene sociale. Così il testo della Political Justice:

there is a rank of man more fitted to excite our emulation than this, the man of benevolence. Study is cold, if it be not enlivened with the idea of the happiness to arise to mankind from the cultivation and improvement of sciences. 70

Si delinea quindi, lo ripetiamo, una concezione positiva della libertà che la fa di fatto coincidere con il bene, sia pure con la non risolta contraddizione tra capacità di aprirsi alle influenze educatrici positive e la condizione di determinatezza della mente.

Torniamo a considerare la polarità ragione-potere. Abbiamo visto che essa necessita di una concezione tomistica e sostanzialistica della libertà.

La concezione del bene, invece, è sì oggettiva (l’utile), ma non è sostanziale; in altre parole, il bene non coincide mai con la visione particolare di un individuo, un gruppo o un’epoca storica.

Nella determinazione del bene, siamo tenuti cioè a spogliarci delle nostre identità storicamente determinate e ad agire secondo quello che Kant chiamava il principio di universalizzazione. Solo in questo modo si sfugge al pregiudizio. E’in questa prospettiva che Godwin affronta anche un classico problema dell’antropologia settecentesca, quello della naturale tendenza all’altruismo o all’egoismo da parte dell’essere umano.

L’uomo benevolente è infatti, per il nostro autore, altruista. L’altruismo è per Godwin una facoltà innata e naturale nell’essere umano, che può e deve essere recuperata attraverso l’uso della ragione. E’l’egoismo, per Godwin, non l’altruismo, ad essere stato introdotto nell’uomo dalle istanze sociali e storiche, mentre un attento esercizio delle facoltà intellettuali ci permette di uscire dal nostro ambito storico per riscoprire la nostra vera identità. E’questo il principio di imparzialità:

We are able in imagination to go out of ourselves, and become impartial spectators of the system of which we are a part. We can then make an estimate of our intrinsic and absolute value; and detect the imposition of that self-regard, which would represent our own interest as of as much value as that of all the world beside. 71

69 PJ, 3 ed., 4,11, 1, 446. 70 PJ, 3 ed., 4,11, 1, 447. 71 PJ, 3 ed., 4,10,1,427.

L’uomo è naturalmente benevolo, non perché nasca tale, ma perché può diventarlo se si astrae dalle determinazioni storiche in cui è nato.

Il determinismo in Godwin ha così lo scopo pratico di consentire e rendere possibile il miglioramento umano.

Tuttavia sorge un problema: se i pensieri si concatenano necessariamente, cos’è la ragione, cosa la distingue dal pregiudizio? Se un treno di idee che occupa una mente è classificabile come pregiudizio, non si capisce come, senza soluzione di continuità, possa ritrovarsi a cambiare completamente natura e a diventare ragionamento e pensiero del bene.

Cosa, inquanto processo mentale, distingue la ragione dal suo contrario? Godwin tenta di dare una definizione della ragione basata appunto solo sulla fenomenologia delle attività mentali.

Egli ritiene che il corretto uso della ragione consista nell’analisi. La mente umana contiene un flusso continuo di impressioni, che vengono percepite insieme e trasformate in rappresentazioni mentali. Questo processo è però una astrazione, che comporta una perdita di informazioni; nell’atto stesso in cui trasforma me percezioni in concetti, perde qualcosa delle percezioni. Per recuperare queste informazioni e riprendere possesso di se stessa la mente deve analizzare i concetti riducendoli alle loro impressioni di base. In altre parole, lo stesso treno di impressioni semplici può essere compreso sia in modo superficiale, sia in modo più approfondito; questo accade quando la mente si sforza di analizzare se stessa; e questa attività ha come risultato la prensione della verità. Così Godwin:

The resolution of objects into their simple elements is an operation of science and improvement; but it is altogether foreign to our first and original conceptions. In all cases, the operations of our understanding are rather analytical than synthetical, rather those of resolution than composition. We do not begin with the successive perception of elementary parts till we have obtained an idea of a whole; but beginning with a whole, are capable of reducing it into its elements72.

Ecco invece qual è, secondo Clark, la natura mentale del pregiudizio in Godwin:

We have then, in Godwin’s view, an extremely raplidly moving series of primarily complex ideas. He point out that although our ideas are usually extremely complex, they are always conceived of as a unity. Such a conception requires that the mind blend numerous impressions into one perception. As part of this blending, every perception is modified by all the ideas which have before existed in the mind. It is for this reason that an object takes on as many forms in their minds as there are individuals who view it. This process forms a basis for the force of habit and prejudice73.

Dal punto di vista mentale, dunque, la ragione si configura come attività analitica, che scompone le idee e le separa nelle loro parti atomiche; il pregiudizio nasce al contrario dalla sintesi.

Le impressioni tendono a formare una massa confusa, influenzandosi e contaminandosi tra di loro –in un modo che peraltro, Godwin non chiarisce affatto, se non alludendo a una semplice influenza per contiguità- e la mente, abbandonata a

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PJ, 3 ed., 4,9, 1, 407.

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questo flusso continuo e ininterrotto di impressioni esterne, tende per così dire ad abbassare la guardia, a comporle in una sintesi arbitraria e riassuntiva, a perdere la visione del dettaglio e in definitiva a dar vita all’astrazione. Proprio l’astrazione, come si vedrà anche nel capitolo sulla politica, è un’attitudine mentale negativa tra le più significative; essa costituisce il terreno di coltura del pregiudizio. La visione del vero, per Godwin, è sempre la visione del dettaglio e dell’individuale; come si vedrà oltre, anche la legge morale è fatta solo di casi singolari e rifugge assolutamente dalle norme generiche.

Così l’autore:

Comparison immediately leads to imperfect abstraction. The sensation of to-day is classed, if similar, with the sensation of yesterday, and an inference is made respecting the conduct to be adopted. Without this degree of abstraction, the faint dawnings of language already described, could never have existed. Abstraction, which was necessary to the first existence of language, is again assisted in its operations by language 74.

L’idea della genesi e della finalità sociale del linguaggio deriva a Godwin dalle

Observations on man di Hartley, che riteneva il linguaggio essere una tipica attività

decomplessa influenzata dal contesto sociale e coincidente in effetti con le infinite e irripetibili condizioni di vita di ciascun individuo.

Così Hartley:

Persons who speak the same language cannot always mean the same things by the same words; but must mistake each other’s meaning. This confusion and uncertainty arises from the different associations transferred upon the same words by the differences of the accidents and events of our lives75.

Il linguaggio in Hartley nasce nella vita e nell’interazione sociale; esso coincide con una pratica sociale, che è l’apprendimento della lingua (materna o straniera). Il linguaggio è in effetti un potente strumento per mezzo del quale la vita plasma l’uomo.

Godwin accetta questa impostazione teorica, che come abbiamo già visto è alla radice del suo storicismo. Ma per il nostro autore la natura sociale del linguaggio è ambivalente: attraverso di essa il linguaggio può diventare arma del potere, e va neutralizzato, rettificato attraverso l’analisi, la pratica dell’autocoscienza; va trasformato da linguaggio del mito in linguaggio della scienza. Occorre insomma che la ragione autocosciente si riappropri del linguaggio.

Torniamo qui a parlare del linguaggio in Godwin. La prima volta abbiamo detto che per il nostro la verità e la ragione sono intrinsecamente comunicabili, ossia hanno uno status linguistico caratterizzato dall’attività dialogica. Ora scopriamo il volto negativo del linguaggio: esso, in quanto istanza sociale, nasce dall’astrazione, cioè dalla pigrizia e dalla nebulosità della mente, e si sviluppa e vive al servizio dell’errore. La filosofia morale ha per Godwin anche un evidente compito di purificazione

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PJ, 3 ed., 1,8,1, 114.

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linguistica, ovvero di rettificazione del linguaggio e di suo adattamento alle istanze analitiche della ragione.

La funzione della ragione consiste in effetti nell’applicare i princìpi generali appresi per mezzo dell’astrazione e della generalizzazione (i concetti) ai casi particolari; pur essendo analisi, insomma, essa non scompone l’esperienza in tante unità elementari reciprocamente inconfrontabili, ma al contrario permette il loro confronto e la loro comprensione. Purificare il linguaggio significa quindi ricondurre da un lato i concetti astratti e generali ai casi particolari; dall’altro, saper inquadrare questi casi particolari in un’ottica generale.

Come spiega Clark:

The most distinctive quality of reason fof Godwin is this process of the application of general truths to particular cases. […] The validity of the entire process us dependent on how carefully we have generalized and how careful we are in applying generalizations to particular cases 76.

Ritroviamo qui la parola “care”, impegno, che lo slancio che lotta all’interno dell’identità umana per affrancarla dalla condizione di ignoranza e pregiudizio; denota insomma l’attività filosofica. “Care” è il principio che differenzia l’attività mentale ordinaria, basata sulle astrazioni e i pregiudizi, da quella razionale, basata sull’educazione filosofica e sulla ragione.

Infine c’è da considerare la terza possibile interpretazione del principio trascendente che costituisce la soluzione del “problema fondamentale” godwiniano, la liberazione cioè dell’essere umano e della società dalle influenze del potere e del pregiudizio

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