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Ragioni di specificità: un oggetto giuridicamente ‘speciale’

Le malattie rare sollevano, tanto in ambito clinico, quanto in quello della ricerca, una serie di difficoltà di particolare rilievo che le rendono un oggetto giuridicamente speciale.

Nel primo contesto, le complessità derivano dai tempi, particolar- mente estesi, necessari per giungere a una diagnosi accurata – si pensi che trascorrono in media circa cinque anni prima che si giunga ad essa a partire dal momento nel quale si sono manifestati i sintomi152 – e dalla

scarsa attrattività che questo tipo di malattie esercita nei confronti della ricerca for profit153, con conseguenti problematicità in termini di svi-

luppo di interventi terapeutici154.

152 Precisamente, secondo un articolato studio, la media sarebbe di 5,6 anni nel Re-

gno Unito e di 7,6 negli Stati Uniti; molti pazienti, inoltre, devono fornire autonoma- mente informazioni ai medici sulla loro malattia rara (P.A. ENGEL, S. BAGAL, M. BRO- BACK, N. BOICE, Physician and Patient Perceptions Regarding Physician Training in

Rare Diseases: The Need For Stronger Educational Initiatives For Physicians, in Jour- nal of Rare Disorders, 1(2), 2013, p. 1). Ancora, l’analisi riporta che, in media, i pa-

zienti affetti da malattie rare incontrano una media di 7,3 medici prima che sia formula- ta una diagnosi (p. 10).

153 Il tema delle malattie rare è evidentemente collegato con quello dei medicinali

orfani (orphan drugs), nati proprio per far fronte alle condizioni di ‘abbandono’ di per- sone affette da malattie rare (si veda M.E. HAFFNER, Adopting Orphan Drugs - Two

Dozen Years of Treating Rare Diseases, in The New England Journal of Medicine, 354,

2006, pp. 445-447). Per uno studio comparato sulle legislazioni di alcuni paesi europei in tema di malattie rare e farmaci orfani, cfr. A. DENIS, L. MERGAERT, C. FOSTIER,

I. CLEEMPUT, S. SIMOENS, A comparative study of European rare disease and orphan

drug markets, in Health Policy, 97(2-3), 2010, pp. 173-179.

154 Per far fronte a queste difficoltà, sia in Europa, sia negli Stati Uniti, sono state

adottate legislazioni ad hoc, volte a creare apposite incentive. Il Regolamento (CE) n. 141/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1999, concernente i medicinali orfani prevede una serie di incentivi per lo sviluppo di questi prodotti, fra i quali un’esclusiva di mercato per 10 anni e la possibilità di una autorizzazione comuni- taria alla messa in commercio. Al 2017 risultavano, in Europa, 1400 medicinali orfani in fase di sviluppo e 130 autorizzati, numeri inadeguati rispetto a quelli delle malattie rare (EUROPEAN COMMISSION, Rare diseases, cit., p. 9). Negli Stati Uniti, il già citato

Sul fronte della ricerca, poi, logicamente anteriore al primo, il prin- cipale problema è quello, sempre determinato dalla ristrettezza numeri- ca dei casi, della inadeguatezza dei tradizionali criteri adottati per dise- gnare e valutare i trials clinici. La scarsità dei dati a disposizione, infat- ti, mette spesso i ricercatori nella condizione di non essere in grado di formulare tesi e trarre conclusioni dotate di sufficiente rilevanza dal punto di vista statistico o li espone a dilemmi etici circa l’opportunità di costruite studi randomizzati con un gruppo di controllo155.

Infatti, ogni campione relativo a una malattia rara rappresenta un bene di valore inestimabile e, di conseguenza, è necessario che regole e procedure siano orientate a minimizzare i rischi di perdita degli stessi.

Proprio per la loro specificità, inoltre, determinata dal numero limi- tato di pazienti e dalla scarsità di conoscenze e competenze a loro ri- guardo, le malattie rare costituiscono un settore che si distingue per un valore molto elevato in un’ottica di diritto transnazionale.

Non è un caso, per esempio, che le malattie rare rappresentino una priorità per i programmi europei in materia di salute e ricerca, essendo necessarie forme di concentrazione di conoscenza e risorse. L’Unione europea, nel corso degli anni, ha stanziato finanziamenti, costruito pro- grammi dedicati e promosso forme di collaborazione e interazione fra Stati membri e a livello internazionale, agevolando anche la partecipa- zione e il coinvolgimento diretto dei pazienti156. Nello specifico, la

Orphan Drugs Act del 1983 introduce, accanto ad alcuni incentivi di carattere economi- co, una esclusiva di mercato di 7 anni. Dal 1983, secondo quanto dichiarato dall’FDA, sono stati approvati più di 450 medicinali orfani (M. LANTHIER, Insights into Rare Di-

sease Drug Approval:Trends and Recent Developments, nel corso del NORD Rare Di- seases & Orphan Products Breakthrough Summit, 17 ottobre 2017, online: https://

www.fda.gov/downloads/forindustry/developingproductsforrarediseasesconditions/ucm 581335.pdf, ultimo accesso 20 dicembre 2018).

155 Nel braccio di controllo, infatti, non potrebbe essere somministrata la terapia

sperimentale. Questa considerazione vale, a fortiori, quando nella sperimentazione sia- no coinvolti minori (condizione che, in riferimento alle malattie, si verifica in gran parte dei casi): V. GIANNUZZI, H. DEVLIEGER, L. MARGARI et al., The ethical framework

for performing research with rare inherited neurometabolic disease patients, in Euro- pean Journal of Pediatrics, 176(3), 2017, pp. 395-405.

156 L’importanza della collaborazione in Europa su queste tematiche è messa in evi-

Commissione europea, nel 2008 e 2009, al fine di regolare al meglio la materia, ha adottato due importanti raccomandazioni che hanno rappre- sentato la base giuridica per la futura strategia europea per la gestione delle malattie rare157.

La cooperazione europea e quella internazionale rappresentano, in effetti, uno strumento fondamentale per condividere le limitate cono- scenze e informazioni in materia, promuovendo azioni comuni, e per mettere a frutto le scarse risorse esistenti nel modo più efficiente possi- bile158.

Questo bisogno di ‘apertura’, oltre che essere imposto dalle caratte- ristiche biologiche delle malattie in questione, origina dagli stessi pa- zienti affetti da malattie rare, i quali sempre più spesso si muovono (fi- sicamente o virtualmente) per rendere i propri dati accessibili su larga scala (per esempio mediante il ricorso alla rete)159, al fine di incremen-

tare le possibilità di diagnosi, di aver notizia di nuove o diverse possibi- lità terapeutiche o di essere coinvolti in trials clinici.

tional collaboration for rare diseases research: a European perspective, in Gene The- rapy, 24, 2017, pp. 562-571.

157 Si tratta della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al

Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Le

malattie rare: una sfida per l’Europa (11 novembre 2008) e la Raccomandazione del

Consiglio, dell’8 giugno 2009, su un’azione nel settore delle malattie rare.

158 Fra gli interventi più significativi si segnalano l’istituzione, nel 1997, della Eu-

ropean Organisation for Rare Diseases (EURORDIS) con lo scopo di promuovere il dibattito e diffondere consapevolezza in relazione alle principali questioni mediche, sociali ed etiche che ruotano intorno alle malattie rare, oltre che di migliorare le condi- zioni di vita dei malati affetti da patologie rare e l’avvio, nel 2010, del progetto EURO- PLAN, volto a supportare lo sviluppo di piani e strategie sulle malattie rare nei diversi Stati d’Europa. Va inoltre segnalato il finanziamento all’interno del Settimo programma quadro per gli anni 2012-2018 del progetto RD-Connect, volto a creare una piattaforma di ricerca integrata sul tema delle malattie rare (https://rd-connect.eu) (S. GAINOTTI,

P. TORRERI, C.M. WANG et al., The RD-Connect Registry & Biobank Finder: a tool for

sharing aggregated data and metadata among rare disease researchers, in European Journal of Human Genetics, 26, 2018, pp. 631-643).

159 Sulle potenzialità e i rischi della patient-driven research, v. G.R. P

OLICH, Rare

disease patient groups as clinical researchers, in Drug Discovery Today, 17(3-4),

L’orientamento dei percorsi della ricerca, in questo ambito, è spesso determinato ‘dal basso’, piuttosto che stabilito da agenti esterni, poiché i pazienti sono, in questi casi, portatori di forti e diretti interessi nelle attività di ricerca svolte. L’attesa di un beneficio è, in effetti, più elevata che nel contesto generico della ricerca e lo spirito che muove i parteci- panti non è solo quello della realizzazione di un astratto ideale di ‘bene comune’, ma di un concreto interesse di gruppo alla comprensione dei meccanismi che determinano quella specifica condizione e all’indivi- duazione di soluzioni ad hoc160.

4.3. Come regolare la specialità: una risposta alle domande di egua-

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